Author: Giuseppe Giliberti – 30/03/2020
To my European friends
In November 1966, only twenty years had passed since the end of the most terrible of the European wars.
In those days Florence was devastated and brought to its knees by its river.
Thousands of young men and women born at the turn of 1945 in the countries that had clashed and destroyed each other on opposite trenches arrived immediately in Florence. They were born listening to their parents’ stories and having seen with their own eyes the consequences of yet another fratricidal carnage fought on European soil.
They spontaneously rushed to Florence to do everything possible to save the soul of the city that represented, and represents, the center of the European culture and history.
Perhaps they too, in the mud, welded a tacit, unwritten pact between former enemies, which guaranteed Europe the longest period of peace that our common history remembers.
Today another war knocks on the doors of the world and Europe. The new plague that upsets our lives threatens not only the lives of individuals, but also the possibility of coexistence between different peoples and histories.
The calls to “us before them” and “us against them” resume strength and vigor. Scapegoats are indicated to be guilty of everything that happens. Health crises and economic consequences that inevitably we will all have to suffer.
The proclamations of unscrupulous political leaders seem to echo the words heard in the thirties when entire peoples were indicated according to clichés that today find powerful amplifiers in the media.
Europe, as a political body, is giving a poor test of itself. It’s true.
This is why it is our duty, the duty of European women and men, to demonstrate with our means that our homeland is Europe.
We must do everything possible to ensure that the plague of economic selfishness does not prevail over what has been built in the past seventy years.
I lived those days in Florence and for this reason too I feel the absolute need to urge myself and ask my friends to keep on a light, however small, that can illuminate this dark period.
Good luck my friends.
Giuseppe Giliberti
Ai miei amici europei
Nel novembre del 1966 erano passati solo venti anni dalla fine della più terribile delle guerre europee.
In quei giorni Firenze fu devastata e messa in ginocchio dal suo fiume.
Immediatamente, arrivarono a Firenze migliaia di giovani uomini e donne nati a cavallo del 1945 e figli dei paesi che su opposte trincee si erano scontrati e distrutti. Erano nati ascoltando i racconti dei loro genitori e avendo visto con i loro occhi le conseguenze della ennesima carneficina fratricida combattuta sul suolo europeo.
Accorsero a Firenze, spontaneamente, per fare ognuno con i suoi mezzi, il possibile per salvare l’anima della città che rappresentava, e rappresenta, il centro della cultura e della storia europea.
Forse anche loro in quei giorni, nel fango, saldavano un patto tacito, non scritto, fra ex nemici, che ha garantito all’Europa il più lungo periodo di pace che la nostra storia comune ricordi.
Oggi un’altra guerra bussa alle porte del mondo e dell’Europa. La nuova peste che stravolge le nostre esistenze, minaccia non solo la vita dei singoli, ma anche la possibilità di convivenza fra popoli e storie diverse.
Riprendono forza e vigore i richiami al “noi prima di loro” e di “noi contro loro”. Si indicano capri espiatori colpevoli di tutto quello che accade. Crisi sanitarie e conseguenze economiche che inevitabilmente dovremo tutti subire.
I proclami di spregiudicati leaders politici sembrano riecheggiare le frasi degli anni trenta in cui interi popoli vengono indicati secondo cliché che oggi trovano nei media potenti amplificatori.
L’Europa, come organismo politico, sta dando una misera prova di sé stessa. È vero.
Per questo è nostro dovere, dovere di donne e uomini europei, dimostrare con i nostri mezzi che la nostra patria è l’Europa.
Facciamo quanto è possibile perché la peste degli egoismi economici non prevalga su quello che in questi ultimi settanta anni è stato costruito.
Ho vissuto quei giorni a Firenze ed anche per questo sento assoluta la necessità che ognuno tenga accesa una luce, per quanto piccola, che possa illuminare questo periodo oscuro.
Buona fortuna amici.
Giuseppe Giliberti
This article is published within the Platform Europe Project
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