Autore: Giuseppe Gagliano – 10/06/2019
Nel quadro dell’espansione della nuova via della seta, la Cina ha concluso diversi accordi internazionali con i paesi che si trovano lungo questo itinerario commerciale, creando nuovi strumenti di risoluzione delle liti così come avevano tentato di fare gli usa con il tafta. Essendosi assicurato un potere non più limitato dalla durata dei mandati, Xi Jinping ha ricordato, di recente, il ruolo di preminenza della politica sull’economia, che non deve mai cessare di essere diretta. Ha incitato i propri compatrioti ad avere «il coraggio di impegnarsi anche in battaglie sanguinose contro i propri nemici» (discorso del 20 marzo 2018).
Gli USA sembrano da parte loro scoprire un po’ ingenuamente che la Cina ha imbrogliato il wto, al quale è stata costretta – a meno che non sia stata una mossa furba – ad aderire nel 2001.
È evidente che la Cina sia oggi in procinto di diventare la prima potenza mondiale. Essa controlla allo stato attuale il 30% dei buoni del tesoro americano ed ha la capacità di mettere in difficoltà l’economia statunitense, quando lo desidera. L’uso della dottrina Monroe da parte degli usa non può fermare l’inesorabile ascesa della Cina: l’imposizione dello yuan come moneta di riferimento potrebbe essere un’ipotesi tutt’altro che improbabile nel medio periodo. Inoltre l’aggressività degli USA non può contrastare a proprio vantaggio il rimescolamento dei rapporti di forza a livello economico e lo spostamento verso l’Asia del cuore dell’economia mondiale.
La recente conclusione di uno storico accordo di libero scambio fra l’Unione europea e il Giappone come la volontà espressa dall’Iran di integrarsi nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai costituiscono le premesse per la crisi di quel nuovo ordine mondiale instaurato dopo il 1991.
Di conseguenza, in questo contesto di guerra economica e di ascesa della potenza cinese, l’Europa ha il dovere di dotarsi di un’autonomia strategica in modo da avere un ruolo nella scena economica mondiale. Per fare questo, bisogna creare una maggiore solidarietà fra gli Stati membri dell’ue e affermare la loro autodeterminazione strategica su alcune questioni, sulle quali essi sono trattati dai propri alleati come nemici, nella misura in cui la loro condotta non è coerente con i propri interessi. Sarebbe in tal senso opportuno tornare a una politica pubblica industriale guidata dagli imperativi di sicurezza economica e staccata dal ricorso alle istituzioni americane (agenzie di rating, banche, moneta, aziende di consulenza ecc. …), che si sono ormai rivelate controproducenti, vettori di indebolimento se non addirittura di boicottaggio.
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Questo testo è pubblicato nell’ambito del Platform Europe Project
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