Autore: Lisa Caramanno – 01/10/2019
In un momento storico in cui pare ‘soffiare un vento che spinge all’indietro l’umanità’ Vision & Global Trends ha avuto il piacere di intervistare Giorgio Benvenuto – economista, illustre protagonista della vita politica e sindacale italiana, e attuale presidente della Fondazione Bruno Buozzi, autore dell’ultimo libro ‘1968-1969 Quando soffia il vento del cambiamento” (insieme a Massimo di Menna).
D. Presidente, in un’intervista rilasciata al Financial Times, alla vigilia del summit del G20 ad Osaka, il presidente russo Vladimir Putin ha analizzato la crisi del liberalismo occidentale. A tal proposito, qual è la sua opinione?
R. Viviamo in una fase di grande trasformazione. Se c’è una critica da fare è che, in quest’ultimo periodo, dopo la caduta del Muro di Berlino c’è stata un’esaltazione del mercato, della globalizzazione e della finanza in cui le cose si sono rovesciate. Mentre fino al 1989, anche nella costruzione dell’Europa, contava la persona: si facevano le riforme con le quali si interveniva per tenere conto della dignità della persona, dei problemi di uguaglianza, del miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Dopo il 1989 è avvenuta questa specie di ‘ubriacatura’ per cui il mercato è il mercato: l’uomo si deve adattare alla globalizzazione e le persone passano in seconda linea. Io, invece, penso sempre che sì la globalizzazione è un fatto importante, sì il mercato è una realtà, quella che è la liberta e il momento liberale è importante, ma penso che ci deve essere sempre un equilibrio. Io penso che, oggi, bisogna aggiustare una tendenza che ha portato all’esplosione dei populismi, dei sovranismi. Il mercato non è la giungla perché se non ci sono regole prevale sempre il più forte. Ciò mi ricorda che nel momento di maggiore novità nel mondo che avvenne proprio in Italia con i Comuni, la cosa più importante era il mercato perché il mercato era il centro del Comune, della città dove si svolgevano gli scambi da un punto di vista commerciale, ma c’erano delle regole. Queste regole devono esserci anche oggi. Non ci può essere uno sviluppo per lo sviluppo. Ci devono essere delle regole che permettano di sapere che l’obiettivo è quello di valorizzare la persona, non di mortificarla nella sua dignità, non come, invece, sta avvenendo adesso nel mondo del lavoro ove si ha questo paradosso per cui i giovani studiano e si impegnano di più, ma non c’è la corrispondenza tra il loro sapere e qual è la loro possibilità di essere impiegati. Io penso che non c’è da scegliere tra un sistema e un altro, c’è da correggere la globalizzazione.
D. E sulla politica dei dazi…
Io sono molto polemico sui dazi che sono l’anticamera delle guerre. Perché quando si erigono dei muri, poni dei problemi, alla fine sono gli interessi quelli che determinano gli scontri. Penso piuttosto che sia importante trovare un modo, delle regole con il quale correggere, definire delle regole che permettano di affrontare i problemi. Serve un mercato, gli scambi sono un fattore di democrazia, e non è solo lo scambio della merce, ma anche della cultura, del conoscersi…
D. In tutto ciò quanto è importante la storia?
La storia è importante. La storia non è nostalgismo, non è passatismo. La storia è come un setaccio, serve a ricordare le cose che sono state positive, e le cose che sono state negative, perché possano essere il segnale di una conoscenza. Oggi, invece, è come se fossimo figli di nessuno, dei trovatelli che non sanno chi siano i loro genitori. Ritengo che sia importante sapere da dove si viene, quale sia il proprio bagaglio culturale. È importante saperlo perché dà l’idea di continuità, di progresso, di cambiamento.
D. Tra i maggiori critici dell’idea liberale vi erano e vi sono i fautori del cd. comunitarismo fra questi il sociologo Robert Nisbet secondo il quale il benessere di una società dipende dallo stato di salute delle istituzioni intermedie, ossia delle “comunità”, e poi il filosofo Russell Kirk per cui “La più grande minaccia alla libertà è il tramonto della comunità”[1]. A suo parere il declino dell’assetto politico può essere dipeso anche dal declino delle singole comunità?
R. Il declino? Molto dipende da questo. La comunità è importante. La libertà è qualcosa che deve essere esercitata in una comunità, e la garanzia della libertà è che si abbia un pluralismo anche nell’economia. La democrazia è pluralismo. Governare è complesso, non ci si può affidare solo ai partiti. Deve esserci pluralismo nelle istituzioni, perché si deve fare in modo che si realizzi una coesione. Avere il valore del sindacato dei lavoratori, dei datori di lavoro, delle associazioni professionali, imprenditori, avvocati etc.: quello che venivano chiamati come corpi intermedi che però non devono essere corporativi, devono progettare, proporre. Le comunità intermedie sono una ricchezza della democrazia e un completamento della libertà.
D. Il sindacato è una forza intermedia. Lei è stato per anni leader della UIL, quando con CGIL e CISL i sindacati italiani contavano tantissimo in Italia. Oggi, in un contesto in cui un lavoratore viene spesso considerato una ‘merce’ e non un ‘valore, perché il sindacato è in difficoltà?
(fonte: Archivio del Quirinale)
R. Perché io penso che loro si sono chiusi in se stessi, non guardano ai cambiamenti, non guardano alle persone che sono possibili avvocati, possibili operai. Non riescono ad entrare in questa realtà. Il linguaggio ci aiuta. Quando sentiamo parlare i politici, anche di sinistra, o che pensano di essere di sinistra che però vengono da quel mondo, o quando si sente parlare un sindacato, qual è il termine che viene usato? “bisogna difendere le donne, bisogna difendere i giovani, i lavoratori, il mezzogiorno, l’ambiente”, ma chi difende si accontenta di quello che ha, ed è su una posizione difensiva. Si difende, ma è costretto ad arretrare, e non apre le porte agli altri. Allora perché non arricchire la parola ‘difendere’ e sostituirla con una parola più impegnativa, con un messaggio più forte dato dalla parola “valorizzare’. Se io dico ‘difendo le donne/lavoratori o valorizzo le donne/lavoratori’ c’è una differenza enorme. Questo manca! E poi c’è questa specie di angoscia sui problemi di immigrazione e, invece, il grande silenzio sull’emigrazione dei giovani che vanno fuori, all’estero. Le ultime statistiche parlano di 250 mila giovani di cui la metà hanno cambiato già residenza, e di cui nessuno parla.
D. Possiamo quindi dire che hanno difeso i lavoratori ma non li hanno valorizzati…
Man mano, di fronte alle difficoltà sono arretrati. Una forza intermedia deve avere una visione positiva, propositiva, non solo difensiva, deve essere attenta e deve fare in modo che il progresso vada nella direzione di migliorare le condizioni della vita delle persone. Paradossalmente è avvenuto che le vecchie organizzazioni intermedie non avevano paura del futuro. Se uno vede i titoli dei giornali dei grandi partiti popolari, in Italia ma anche in Europa, i socialisti dicevano “Avanti”.
D. Perché hanno paura del futuro?
Perché si sono chiusi al loro interno, non hanno capito che non devono fare la morale ai giovani, devono capire i problemi. L’Italia, e non solo l’Italia, è invecchiata. I giovani sono su una linea di rifiuto, si è interrotto il dialogo. Penso che occorra un ripristino dei valori della comunità, e che non si debba aver paura.
D. E i giovani devono avere coraggio?
R. A me non piace la parola coraggio, mi piace di più la parola audace. Un giovane deve essere audace.Il coraggio, a volte, è un fatto disperato, invece l’audacia è un progetto. E penso che l’altra cosa fondamentale è quella della conoscenza, del sapere. Ad esempio, la differenza tra socialisti e comunisti: tutti e due quando hanno avuto maggiore forza, avevano questo simbolo importante che era l’unità tra gli operai e i contadini, la falce e il martello che era il simbolo dell’unità di classe, di questa forza che aveva il mondo del lavoro. I socialisti introdussero un altro simbolo: il libro. All’epoca un operaio durante un’assemblea in fabbrica disse: “bisogna resistere un minuto di più del padrone”, si è giusto…ma bisogna conoscere un libro, più di un padrone.
D. Lei, nel suo interessante intervento, al dibattito dal titolo “Attualità del socialismo liberale in Europa“, organizzato a Roma nel mese di maggio scorso ha citato una espressione di Sandro Pertini: “la libertà deve avere sempre un significato sociale”. Qual è il significato di questa espressione?
R. Un significato universale. La libertà deve essere legata ai valori dell’uguaglianza, della pari dignità. Rifacendoci, sempre, a Pertini, se si assicura la libertà ma poi si è disoccupati, non si ha il pane per mangiare, non si ha la possibilità di mandare i figli a scuola, che libertà si ha? Quindi non basta avere la libertà, la libertà ci serve affinché non ci sia questa forbice immensa tra privilegiati e la grande massa che è libera. Pertini, in ciò, ricordava l’art. 3 della Costituzione italiana. Mentre la costituzione americana è basata solo sulla libertà, la costituzione italiana è sociale: una delle poche nel mondo perché all’art. 3, comma 2, della Costituzione dice che: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.
D. Veniamo all’Europa, le elezioni europee del 26 maggio scorso, le prime ad avere posto in gioco la stessa sopravvivenza dell’Unione europea, sono capitate proprio nel trentennale del crollo del muro di Berlino che si celebrerà fra qualche mese. Quale ruolo per l’Italia?
R. Fino al 1989 le cose sono andate bene, l’Italia ha svolto un grande ruolo. Dopo la caduta, la politica italiana si è indebolita. L’Italia si è ridotta a negoziare dei decimali che la gente non capisce, invece di proporre delle grandi soluzioni, si è immiserita a trovarsi uno spazio per governare il debito pubblico. E poi ha concepito la parola sovranità in un modo sbagliato, perché si dice “cediamo la sovranità agli altri” non è esatto! perché sempre la costituzione italiana all’art. 11 prevede che si può cedere la sovranità ma a pari dignità. È chiaro che se noi cediamo la sovranità all’Europa, e la Germania non lo fa, la gente si inquieta.
D. la nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen nel suo intervento programmatico al Parlamento europeo ha messo al centro della sua agenda politica l’impegno per una società più tollerante, giusta ed equa oltre alla piena attuazione del pilastro europeo per i diritti sociali. Si può veramente realizzare una ‘Europa sociale’?
R. L’Europa deve, prioritariamente, fare alcune cose. La prima questione è che deve avere questo pilastro sociale che ha dimenticato. In Europa c’è il dumping sociale. In Italia i lavoratori hanno dei diritti, c’è una buona legislazione che bisogna far applicare, che vieta di sfruttare i lavoratori, che vieta le discriminazioni, e che dà la possibilità ai sindacati di fare i contratti. Nell’Europa allargata, invece, ci sono paesi che non hanno questi diritti, vedi l’Ungheria, la Polonia, la Romania, la Bulgaria. Sono paesi dove non c’è la nostra stessa legislazione, i nostri stessi diritti. Cosa significa ciò? Che se io ho dei diritti e chi lavora in quei paesi non ha questi stessi diritti, si ha dumping sociale: finisco così per perdere anche i miei diritti perché molte aziende vanno a fare le fabbriche in quei paesi.
La seconda questione è sul fisco: è inaccettabile che in Europa ci siano dei paradisi fiscali. Ci sono dei paesi che sono paradisi fiscali, e altri, invece, inferni fiscali come l’Italia. Ad esempio, analizzando l’andamento degli scambi commerciali tra l’Italia e la Russia ho rilevato che l’Italia si trova al quinto posto, rispetto al terzo posto di prima. Al primo posto vi è la Cina, al secondo la Germania, al terzo l’Olanda. Ebbene, non riuscivo a capire perché l’Olanda: un paesino così piccolo. Dopo ho capito che l’Olanda ospita gran parte delle imprese italiane, tra cui la FIAT, le imprese di Berlusconi, di Ferrero: un elenco di fabbriche italiane che sono residenti, a tutti gli effetti, in Olanda. Perché in Olanda il regime fiscale è favorevole come il diritto societario. Una volta era il fisco che sceglieva le tasse da mettere ad un’impresa, adesso sono le imprese che scelgono dove farsi tassare. È cambiato, prima non potevano farlo.
D. In questo scacchiere mondiale dove giocano dei grandi attori come Cina, Stati Uniti e Russia, quale spazio per l’Europa?
R. L’Europa deve andare avanti. È importante che, all’interno della stessa Europa, si valorizzino delle forze intermedie. L’Europa ha dei colossi all’interno, deve integrarsi. Deve fare degli investimenti in innovazione tecnologica. Perché i cinesi, gli americani sono avanti. Quando vedo che la politica nei confronti dell’Africa la fa la Cina, e non lo facciamo noi…
D. Noi pensiamo soltanto al pericolo che può provenire dall’africa, cioè al fenomeno migratorio…
Quella è una cosa che si deve governare. Mao Tse Tung diceva “Quando c’è la tempesta ed il vento soffia forte, non erigere muri, ma costruisci mulini a vento”. È quello che dovrebbe capire l’Europa che dovrebbe cogliere le opportunità. Ecco perché è sbagliato il messaggio “difendiamoci”, ecco perché è sbagliato il fatto del sovranismo, dell’individualismo. Ecco lo spirito comunitario, perché quando c’è un incendio non si spegne da soli.
L’Europa non è più il centro del mondo, ma può continuare a essere una realtà fondamentale, la prova di una convivenza di una comunità che si realizza, forte di una propria cultura, delle proprie tradizioni. Poi, ha i saperi. Questi saperi li utilizzi per competere con gli altri. E, in questa realtà, l’Italia non ha materie prime, ma ha tanti giovani. Investa sui saperi di questi giovani. È una ricchezza.
Giorgio Benvenuto, nato a Gaeta l’8 dicembre 1937.
Si è laureato a 22 anni in giurisprudenza. La tesi “Natura e funzioni delle Commissione Interne” in Diritto del lavoro con il Professore Francesco Santoro Passarelli è stata pubblicata.
È entrato nella UIL il 1° ottobre 1955. È stato Segretario Confederale della UIL (1968-1969), Segretario Generale dei metalmeccanici della UILM e della FLM (1969-1976), Segretario Generale della UIL (1976-1992) e della Federazione CGIL-CISL-UIL (1976-1984).
È stato più volte negli anni settanta ed ottanta vice presidente della Federazione Europea Metalmeccanici (FEM); vice presidente della Confederazione Sindacale Europea (CES); consigliere del Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL). Segretario Generale del Ministero delle Finanze (1992-1993). Segretario Nazionale del PSI (febbraio-giugno 1993). Parlamentare alla Camera dei Deputati e al Senato per tre legislature (1996-2008) ha ricoperto l’incarico di Presidente delle Commissioni Finanze e Tesoro. Economista ed esperto in materie fiscali, ha insegnato alla Scuola Superiore della Guardia di Finanza. È autore di molti saggi sulla finanza, sulla politica, sul sindacato, sui partiti. È attualmente il Presidente della Fondazione Bruno Buozzi e Vice Presidente della Fondazione Giacomo Brodolini.
[1] Sul punto v. S. Pupo. «Il tramonto della comunità. Nisbet, Kirk e il comunitarismo romantico americano» in https://mondodomani.org/dialegesthai/spu02.htm#nota6.