Autore: Stefano Ricci – 23/11/2019
In un momento come quello attuale, in cui il dibattito quotidiano – mai come in nessun altro momento storico – appare dominato dai temi dell’ecologismo, della lotta al cambiamento climatico e della riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, ecco lo United States Army War College intervenire al riguardo con la pubblicazione di un’interessante analisi.
Commissionato dal Generale Mark Milley (attuale direttore del Joint Chiefs of Staff per la Presidenza Trump), lo studio, intitolato Implication of Climate Change for the U.S. Army, è stato redatto da alti ufficiali e analisti provenienti da differenti agenzie nazionali statunitensi, come la DIA (Defence Intelligence Agency), la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e gli Stati maggiori dei diversi eserciti a stelle e strisce.
Fra le ipotesi più allarmanti (e verosimili) contenute nello studio, la possibilità che entro venti anni l’infrastruttura elettrica nazionale collassi e che si entri in una fase storica dominata dalla diffusione incontrollata di malattie epidemiche altamente contagiose.
Non solo, a complicare uno scenario reso già instabile sarà l’emersione di tutta una serie di conflitti locali e internazionali, figli diretti del complessivo aumento dei livelli del mare: ricordiamo, al riguardo, che nel mondo oltre 600 milioni di persone vivono a ridosso delle fasce costiere e non è certo difficile immaginare quali instabilità possano derivare dalla combinazione di simili fattori.
Collasso della rete elettrica
Lo studio redatto dallo United States Army War College sottolinea come l’infrastruttura elettrica statunitense sia de facto impreparata per affrontare (e tantomeno per gestire) un tale mutamento nell’assetto climatico mondiale: molte delle infrastrutture critiche già identificate dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale, difatti, non sono state affatto progettate per affrontare simili condizioni.
Parallelamente, circa lʼ80% del comparto agricolo statunitense dipende oggi dal trasporto navale; improvvise alluvioni derivanti dal mutamento climatico avranno come conseguenza diretta non solo il rapido deterioramento dell’infrastruttura elettrica nazionale, quanto l’indebolimento del settore commerciale statunitense e la fine della stessa stabilità sociale americana, costituendosi così come una minaccia diretta alla sopravvivenza delle comunità urbane degli Stati Uniti.
Il rapporto, infine, chiarisce come l’infrastruttura elettrica nazionale, già “vecchia” di suo, continui a operare senza un vero e proprio investimento infrastrutturale condiviso, elemento – questo – che sancirà il tracollo energetico dell’intero Nord America.
I nuovi requisiti energetici derivanti dalle mutate condizioni climatiche potrebbero condurre al sovraccarico del sistema energetico stesso: fasi incontrollate di siccità e piovosità andranno ad aumentare in maniera esponenziale le richieste di energia elettrica, stressando una rete già appesantita, con conseguenti continue interruzioni di corrente e pericolosi scintillamenti sui cavi elettrici.
Quanto visto recentemente in California, insomma, con una vera e propria “esplosione” di incendi di enormi proporzioni, sembrerebbe non essere altro che l’inizio di una nuova epoca umana.
«Se la rete elettrica dovesse collassare definitivamente», continua il rapporto, «gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare: scarsità nel reperimento di farmaci e acqua potabile, scarsità di cibi freschi, difficoltà nelle telecomunicazioni, fine del trasporto pubblico nazionale, crisi del comparto petrolifero, impossibilità di garantire il trasporto aereo».
Epidemie
Le aree meridionali degli Stati Uniti vedranno aumentare la piovosità media, con un aumento nelle precipitazioni compreso fra i 5 e gli 8 millimetri giornalieri, oltre a un aumento della temperatura annuale media, entro il 2050, pari a 2 gradi Celsius.
Inverni più caldi e stagioni più umide, dunque, condurranno a una proliferazione incontrollabile delle colonie di zanzare, zecche e mosche, con la conseguente diffusione di nuovi ceppi malarici e malattie rare quali il virus del Nilo Occidentale, la malattia di Lyme e l’infezione Zika.
Per parte propria, l’esercito americano sarà dunque chiamato ad assistere le popolazioni locali, elemento questo che potrebbe indebolire il comparto militare nel suo insieme, dovendo questo operare – contemporaneamente – in scenari mutevoli in ogni angolo del Paese.
Corsa all’Artico e crisi idrica
Sarà lo scenario artico a costituire, per l’esercito americano, il principale teatro operativo futuro: è proprio l’Artico, secondo gli esperti, a conservare oltre un quarto delle riserve mondiali d’idrocarburi; oltre il 20% delle stesse, potrebbe essere celato proprio al di sotto del suolo statunitense, delineando così i contorni d’un conflitto su vasta scala contro il principale player dell’area: la Russia.
Potrebbe allora esser giunto il momento di abbandonare la produzione industriale basata sul carbon fossile e virare verso fonti d’approvvigionamento energetico alternative, ma ecco subentrare nel discorso un piccolo cortocircuito concettuale: è proprio l’esercito americano a costituire uno dei principali driver in materia di cambiamento climatico, in quanto il comparto militare americano si configura come il più grande consumatore istituzionale d’idrocarburi al mondo.
Lo scioglimento della calotta artica, infine, condurrà paradossalmente sì a un aumento del livello degli oceani, ma anche a un crollo nella disponibilità di acqua potabile, per causa – fra i molti fattori – di una cattiva gestione dei bacini idrici e il costante aumento della popolazione mondiale.
Entro il 2040, la domanda globale di acqua potabile supererà la disponibilità; entro i prossimi dieci anni, invece, oltre un terzo della popolazione mondiale si troverà ad abitare regioni aride come il Nord Africa, il Medio Oriente, la Cina … e alcune aree gli Stati Uniti.
Ma mancanza di acqua potabile può tradursi anche in degrado del suolo, inquinamento delle falde acquifere, crollo nelle produzioni alimentari, aumento della mortalità infantile.
L’avvio, insomma, di un nuovo tipo di conflitto: quello per il controllo dei bacini idrici.
Guerra infinita
Infine, continua lo studio, sarà l’avvio d’un’era nota come “guerra infinita”: non solo gli Stati Uniti si troveranno costretti a finanziare una struttura militare in perenne stato d’allerta, ma dovranno proiettare la propria potenza geopolitica nei principali teatri regionali dal Medio Oriente al sud-est Asiatico, così da evitare un incremento nell’instabilità globale.
Scarsità di risorse idriche si tramuterà in aumento dei flussi migratori, con conseguente inasprimento della tensione sociale; un po’ quanto visto recentemente in Siria: la ripresa delle ostilità nella regione è difatti combaciata con l’avvio d’una terribile siccità nell’area, cosa che ha spinto gli abitanti della Siria rurale a trovar rifugio nelle principali città del paese, anche a causa dell’arrivo di migliaia di profughi iracheni.
Prossima crisi internazionale sarà allora quella del Bangladesh, conclude il rapporto, un paese ormai messo in ginocchio da cicloni, erosione costiera e aumento della salinità dell’acqua destinata alle coltivazioni: negli ultimi due anni, le autorità di Dacca hanno dovuto provvedere alla costruzione di migliaia di rifugi d’emergenza ed è già pronto un piano nazionale per evacuare oltre due milioni di abitanti dalle aree più a rischio.
In media, ogni anno, il livello dei mari si innalza di 3,2 millimetri, in alcune aree del Bangladesh questo livello raggiunge gli 8 millimetri: ma come impatterà una crisi regionale come quella bangladese in un’area contenente oltre il 40% della popolazione mondiale e due superpotenze nucleari antagoniste?
Stefano Ricci, lavora come data analyst, per un’importante società italiana di import – export e come freelance cyber-security analyst. E’, inoltre, autore del volume: Cyber Warfare: Verso Un Nuovo Paradigma Strategico, 2017 (Cyber-Warfare – Towards a New Strategic Paradigm)