Autore: Marco Centaro – 11/01/2023
Mar Rosso e Prosperity Guardian: quali altre opzioni per Washington?
Il 3 gennaio 2024, In un comunicato congiunto rilasciato dalla Casa Bianca assieme ad altri tredici Stati, Washington ha lanciato un monito alle filoiraniane milizie Houthi, stanziate nel montuoso nord yemenita e responsabili di aver causato (e causare) seri danni al commercio marittimo internazionale lungo il Mar Rosso.
Il testo non lascia dubbi: se le attività paramilitari condotte dal gruppo non cesseranno, i ribelli subiranno serie ripercussioni e conseguenze[1].
La coalizione a guida americana, effettivamente, si trova ad affrontare una situazione sul Mar Rosso in concreto peggioramento: non solo le principali compagnie di trasporto marittimo continuano ad evitare il Mar Rosso (optando per la lunga e costosa circumnavigazione dell’Africa), ma, recentemente, gli Houthi avrebbero persino fatto uso sia di ASBM (anti-ship ballistic missile), sia di ASCM (anti-ship cruise missile) per tentare di colpire i mercantili in transito[2].
Pur non avendo causato danni, tali azioni dimostrative non possono che preoccupare la potenza talassocratica degli Stati Uniti. L’operazione Prosperity Guardian è stata lanciata a fine dicembre proprio con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza lungo il braccio di mare che collega Bab el Mandeb e Suez, pur presentando due criticità fondamentali: la prima è che essa viene percepita come un palese schieramento a favore di Washington (e indirettamente di Israele, se inseriti gli sforzi degli Houthi nel più ampio contesto della guerra tra Tel Aviv e Hamas), comportando una conseguente minore efficacia della comunità internazionale nel mostrarsi unita (si pensi alla serie di Paesi che si sono sfilati dalla coalizione); la seconda è che, essendo di natura difensiva, costituisce più un tentativo atto a ridurre gli effetti del sintomo piuttosto che un’azione diretta a sradicare il problema. Inoltre, come dimostrato proprio dagli avvenimenti più recenti, nonostante l’abilità della marina americana nell’intercettare droni e missili, il fatto che questi continuino ad essere lanciati induce le compagnie internazionali di trasporto a non sentirsi ancora sicure[3].
Il problema principale, dunque, è che gli Stati Uniti, coloro che possono vantare effettivamente la supremazia sui mari, si ritrovano con limitatissime opzioni per risolvere la questione.
Non di poco conto, a tal proposito, è la effettiva capacità bellica degli Houthi. Mentre infuria la guerra tra Hamas e Israele, la milizia fa uso di un’ampia schiera di strumenti utili a minacciare non solo il traffico marittimo, ma Israele stesso. Per ben tre volte gli Houthi avrebbero lanciato una variante dell’iraniano Ghadr-F, un missile sviluppato da Teheran sul modello del sovietico Scud, il quale vanterebbe una gittata di 1950 chilometri, sufficiente a colpire ogni parte del territorio israeliano se lanciato dallo Yemen. In tutti e tre i casi il sistema di difesa Arrow sarebbe riuscito ad impedire che i lanci andassero a segno contro la città portuale di Eilat, affacciata sul Golfo di Aqaba[4].
Per giunta, come osservato negli ultimi giorni, il gruppo avrebbe a disposizione anche uno sconosciuto numero di ASBM e ASCM. Tra i modelli in questione pare essere il C-802, un missile balistico di origine cinese che sarebbe stato riadattato dall’Iran per modernizzare il proprio arsenale. Proprio il C-802 sembra essere stato il protagonista degli ultimi lanci verso il Mar Rosso, ma, non disponendo gli Houthi di un adeguato sistema radar di puntamento, questi non sarebbero riusciti a colpire alcun bersaglio[5].
Una tale capacità operativa è stata proprio il motivo che avrebbe spinto l’amministrazione Biden a considerare la possibilità di attaccare le postazioni di lancio della milizia, se non addirittura di lanciare un’offensiva contro lo stesso Yemen.
I motivi per cui simili iniziative sono state, allo stato attuale, rifiutate, sono da rintracciare nell’estrema complessità e delicatezza che avvolge non solo lo Yemen del nord, ma proprio gli instabili equilibri su cui poggia la regione del Medio Oriente (come ben esemplifica la guerra in corso a Gaza). Un’offensiva tesa a colpire le postazioni degli Houthi potrebbe rivelarsi fallimentare per due motivi precisi: in primis va considerato che, una volta polverizzati i sistemi di lancio più complessi, non verrebbe tolta agli Houthi la possibilità di proseguire nella conduzione di attacchi eseguiti a mezzo di altre tecniche asimmetriche (droni, gommoni suicidi e le pericolosissime mine), con la conseguenza di non agevolare il ripristino della tranquillità in quelle acque; la seconda ragione è, invece, di stampo geopolitico, e richiede un’analisi più generale sul quadrante del Medio Oriente.
Come rivela l’attuale scontro tra Israele e Hamas (affiancato dai proxy iraniani), le conflittualità nella regione presentano una dilagante contagiosità. Ciò lascia indurre che un’escalation nelle acque e sulle coste yemenite porterebbe con sé il rischio di far detonare altri fronti caldi sparsi nell’area. Se già il confine tra Libano ed Israele pare pronto ad esplodere, un’iniziativa militare contro gli Houthi rischierebbe di oltrepassare la linea rossa verso il punto di non ritorno. Va sottolineato, a tal proposito, che le capacità belliche di Hezbollah sono anche superiori a quelle di Hamas, e che, pertanto, le IDF si potrebbero trovare in seria difficoltà nel gestire tale fronte mentre ancora sono in corso operazioni nella striscia.
In aggiunta, se il Mar Rosso (delimitato dai chokepoints di Suez e Bab el Mandeb) costituisce un’arteria vitale per le interdipendenti economie mondiali, non lontano (e non a caso) sorge lo stretto di Hormuz. Da questo strategico chokepoint si assiste all’uscita di oltre un quinto della domanda globale di idrocarburi, la più alta al mondo. Sulle sue sponde, peraltro, si affaccia l’Iran, ossia il principale fornitore di supporto per la costellazione di milizie sciite presenti in Medio Oriente.
L’apertura di fronti caldi, o l’esplosione di questi, genera quindi il rischio che il triangolo Suez/Bab el Mandeb/Hormuz diventi teatro di scontri e avvicendamenti potenzialmente fatali per le economie di tutto il mondo. Uno scenario a cui nessun attore internazionale vorrebbe assistere.
In conclusione, mentre si assiste ad una probabile escalation nelle aree limitrofe ad Israele, la capacità statunitense di assicurare il controllo sulle rotte marittime viene messa seriamente in dubbio. In qualità di potenza talassocratica Washington percepisce l’instabilità del Mar Rosso come fortemente destabilizzante. Tuttavia, tra le opzioni più plausibili presenti sul tavolo dell’Oval Office, la diplomazia pare essere al momento lo strumento più adatto sia ad allentare sia la morsa su Gaza, sia a ridurre la minaccia degli Houthi.
Questo dimostra quanto effettivamente un’iniziativa militare contro le coste dello Yemen sia impraticabile. Al di fuori della diplomazia, che tra l’altro procede proprio tra gli Stati del Golfo e i capi della milizia yemenita, operazioni difensive come Prosperity Guardian costituiscono giusto una soluzione di tamponamento che non fermerà la grave emorragia che vessa il Medio Oriente.
Se l’unico modo per fermare l’escalation in Vicino Oriente e nel Mar Rosso è sottostare alle richieste degli Houthi e degli alleati iraniani (quindi bloccare l’invasione di Israele), gli Stati Uniti si trovano di fronte ad un bivio: tenere a bada la vendetta di Tel Aviv e quindi ripristinare gli equilibri del commercio internazionale presso lo stretto di Bab el Mandeb; oppure continuare a sostenere il proprio alleato e sperare che nel tempo Prosperity Guardian faccia effetto, immaginando che il fenomeno Houthi faccia la stessa fine della pirateria somala della scorsa decade.
LINK UTILI
https://www.cnbc.com/2024/01/02/maersk-red-sea-pause-shows-operation-prosperity-guardian-limits.html
[1] https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2024/01/03/a-joint-statement-from-the-governments-of-the-united-states-australia-bahrain-belgium-canada-denmark-germany-italy-japan-netherlands-new-zealand-and-the-united-kingdom/
[2] https://www.aa.com.tr/en/middle-east/houthis-fire-2-anti-ship-ballistic-missiles-from-yemen-into-red-sea-us/3098744
[3] https://www.cnbc.com/2024/01/02/maersk-red-sea-pause-shows-operation-prosperity-guardian-limits.html
[4] https://breakingdefense.com/2023/12/analysis-houthi-targeting-of-israel-suggests-new-longer-range-missile-in-play/
[5] https://www.edrmagazine.eu/edr-analysis-houthi-maritime-strike-capabilities
Marco Centaro – Laurea Triennale in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza con tesi su Travel Security, conseguita presso Università degli Studi di Perugia. Attualmente studente magistrale in Investigazione, Criminalità e Sicurezza Internazionale, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma., collabora con Vision & Global Trends International Institute for Global Analyses, nell’ambito del progetto Società Italiana di Geopolitica.