Autore: Adriano V. Rossi – 22/o2/2019
La vita dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente/IsMEO (e delle entità che gli sono succedute) ha conosciuto, dalla sua nascita nel 1933, tre snodi fondamentali, legati alle figure dei presidenti che si sono avvicendati alla sua guida e al mutare dei tempi e delle circostanze politiche nazionali e internazionali. Queste in particolare hanno condizionato l’interesse scientifico e culturale dell’Istituto – in epoche diverse – verso determinate aree, vuoi per ragioni geopolitiche, vuoi per la possibilità di accedere ad esse in connessione a tensioni e conflitti internazionali, vuoi per la disponibilità di studiosi di alto profilo per le diverse specializzazioni richieste.
La nascita (nel 1933) dell’IsMEO, una felice intuizione del suo primo presidente Giovanni Gentile, ben si inseriva nel quadro della politica estera italiana tra le due guerre del Novecento, e può farsi risalire all’interesse strategico verso uno scenario nel quale l’Italia si presentava affrancata da troppo rilevanti mire e coinvolgimenti colonialistici. Posizione quindi che conferiva all’Italia grande credito, soprattutto in confronto alla politica britannica, presso quei paesi asiatici che guardavano con simpatia al suo Risorgimento come ad un modello culturalmente vicino e politicamente replicabile. L’IsMEO gentiliano, nel quale già si avvertiva l’impronta tucciana, anche attraverso spinte a sprovincializzare la cultura italiana attraverso l’insegnamento pratico delle lingue e delle culture orientali, si occupò prevalentemente di India, Cina, Giappone e, naturalmente, Tibet. È significativo che le prime lingue insegnate presso le sue scuole di Roma e Milano siano state hindi, bengali, thai, giapponese e, solo in un secondo tempo, persiano. Di questo primo approccio dell’Istituto con l’Asia, di cui hanno scritto tra gli altri Valdo Ferretti e Giuseppe Parlato, restano le collezioni del Bollettino e di Asiatica e pochi altri documenti salvatisi dalla distruzione del suo archivio avvenuta verosimilmente alla fine della guerra. L’interesse per gli studi iranici in questi anni è documentato da isolate conferenze, alcune delle quali pubblicate, come quelle di Mohammed Saed, L’Iran (1937) e di Mehdi Vakil, Saadi e il VII centenario del suo «Giardino delle rose» (1941).
Con la presidenza di Tucci, a partire dal 1947, l’IsMEO si propone, spesso in alternativa alle università dove era in atto una lenta e costosa opera di ricostruzione, come centro per l’unificazione e la direzione della ricerca orientalistica italiana in tutte le sue discipline, dall’archeologia alla storia dell’arte, alla filosofia, alla religione, alla filologia, secondo un lucido progetto incentrato sulla idea di ‘Eurasia’, ossia di un unico grande continente con comuni radici culturali.
E fu appunto la ricerca di queste radici ad attrarre l’Iran, quasi naturale trapasso dall’Europa al subcontinente indiano e all’Asia, attraverso l’Afghanistan, nell’orbita dell’IsMEO tucciano. Se nel 1958 le conferenze di Henry Corbin e Vladimir Minorsky pubblicate in Orientalia romana, Essays and Lectures 1 (come volume 17 della «Serie Orientale Roma»), sono da considerarsi episodiche e comunque inquadrabili in un generico interesse per gli studi storico-religiosi, l’avvio nel 1959 delle ricerche archeologiche in Iran, come già avvenuto in Afghanistan nel 1957 e in Pakistan nel 1956, con una specifica missione dell’Istituto, può essere letto come il primo significativo allargamento stabile agli studi iranici.
Ho più volte evocato i viaggi che Enrico Mattei e Giuseppe Tucci fecero alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso nell’Iran ormai entrato nella fase della modernizzazione dell’industria petrolifera. La gratitudine iraniana all’apertura egalitaria che – primo al mondo – Enrico Mattei propose nella divisione dei proventi dal petrolio produsse i presupposti per un’intensificata presenza culturale italiana in quel paese.
Da subito, questo allargamento si collegò al nome del giovanissimo Gherardo Gnoli, individuato da Tucci tra i suoi allievi come uno dei più filologicamente preparati, quale indispensabile supporto alla ricerca archeologica e insieme storica e filologica, secondo un modello di interdisciplinarietà decisamente all’avanguardia per i tempi. Nel 1962 Gnoli fu chiamato da Tucci a partecipare alla missione nel Sistan iranico, iniziata nel 1960 con gli scavi nel complesso partico-sasanide di Kuh-e Khwaja e Qal’a Tapa (cf. S. Ghanimati, Kuh-e Ḵwāja, Encyclopædia Iranica, online edition, 2015). Gli fu affidata una ricerca sulle fonti relative alla storia dell’antica Drangiana, regione cui in quell’anno la ricerca archeologica era stata estesa, sotto la direzione di Umberto Scerrato, al centro achemenide di Dahane-ye Gholaman (cf. G. Gnoli, Dahan-e Gholāmān, Encyclopædia Iranica, Vol. VI, Fasc. 6, pp. 582-585); i risultati della ricerca furono pubblicati nella monografia Ricerche storiche sul Sīstān antico (Reports & Memoirs 10, Roma 1967). La sua collaborazione aveva già prodotto ricerche sulla diaspora ebraica orientale studiata attraverso le iscrizioni giudeo-persiane venute alla luce durante la ricognizione condotta dall’Arch. A. Bruno nel Ġūr afghano (e pubblicate nel 1964 come numero 30 della Serie Orientale Roma).
In relazione alle origini dello zoroastrismo, il lavoro nell’Iran orientale (anche accompagnato da vero e proprio lavoro di scavo, come documentato da qualche rara fotografia dell’epoca) cominciò a maturare in Gnoli la cosiddetta «ipotesi sistanica», oggetto di rivisitazioni, chiarimenti e modifiche successivi. Negli stessi anni il Sistan divenne oggetto di ricerca dell’iranista e persianista Gianroberto Scarcia, che all’argomento avrebbe poi dedicato molti pregevoli lavori, a partire dalla edizione del manoscritto persiano-kābulī Sifat-nāma-yi Darvīš Muhammad Hān-i Ġāzī. Cronaca di una crociata musulmana contro i Kafiri di Lagmān nell’anno 1582 (Serie Orientale Roma, 32, 1965).
Leggi il resto, scarica la Pubblicazione del Seminario (SPS – ISSN 2704-8969) “Iran Patrimonio dell’Umanità. Le relazioni culturali tra l’Italia e l’Iran” – SPS_2_2019
Testo della relazione del Prof. Adriano Valerio Rossi, Presidente ISMEO, presentata al Seminario “Iran Patrimonio dell’Umanità. Le relazioni culturali tra Italia e Iran“.
Sala Tatarella – Palazzo dei Gruppi Parlamentari – Camera dei Deputati. Roma, 12 febbraio 2019.
Prof. Adriano Valerio Rossi, Presidente ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente