Autore: Federica Santoro – 11/06/2019
Gli enormi progressi economici della Cina hanno assicurato al paese una forte presenza internazionale: gli investimenti diretti esteri, la fondazione di istituti bancari internazionali a guida cinese, la partecipazione alle organizzazioni trans-nazionali e la creazione di partnership regionali e legami economici con l’area euro-asiatica, hanno gettato le basi di quel progetto che Xi definisce la “Chinese’s Rejuvenation” il Risorgimento Cinese. Non solo e non più fondato sulla trasformazione interna da economia agricola a fabbrica del mondo, ma sulla costruzione di una rete economica di investimenti con l’obiettivo di diventare una potenza esportatrice, di tecnologia e manifattura di alto livello. Funzionale a questa visione, la costruzione di un modello di cooperazione economica di cui la Cina rappresenta già in molti paesi un attore chiave, percepibile come partner non sostituibile di sviluppo. Basti pensare alla presenza cinese in Africa, in America Latina ma anche nell’Europa centrale e orientale, dove l’espansione di Pechino sta conquistando sempre più consenso traducibile in un futuro peso politico a livello internazionale. Il che significa una maggiore capacità di influenza nei processi di governance globale, in linea con il ruolo che la Cina vorrebbe svolgere nel sistema internazionale.
Le riforme avviate da Deng, quarant’anni fa restano una pietra miliare della strategia del Partito Comunista Cinese oggi, che punta a conquistare più influenza e potere fuori dai confini nazionali, in funzione della proiezione all’estero dei propri interessi e nella difesa della propria sovranità interna e dello ‘status quo’ economico: basti pensare alla volontà di Pechino di mantenere presso l’OMC lo status di paese in via di sviluppo, e con questo i benefici economici in termini di sussidi alla produzione dell’industria locale colpevoli di distorcere i prezzi internazionali spesso anche attraverso pratiche di dumping. L’ eccezionale crescita economica cinese è stata conseguita attraverso la sottomissione dell’economia allo Stato. Un sistema che è stato recentemente oggetto di critiche internazionali, sia per il vantaggio che come è noto è riservato ai prodotti sviluppati in Cina negli appalti pubblici, sia per la chiusura di Pechino verso l’ingresso, per mezzo di acquisizioni da parte di capitale straniero, di aziende cinesi. Nel 2001, attratti dalla prospettiva di un mercato enorme come quello cinese, i paesi occidentali accolsero la Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, OMC, accettando le promesse di riforma e liberalizzazione di Pechino. Ad oggi la Cina mantiene lo status di paese in via di sviluppo, e con questo i benefici economici dei sussidi. Riconoscere Pechino come attore globale significherebbe riconoscerne lo status di economia di mercato, cosa che Pechino vuole evitare perché sfiderebbe il suo modello di sviluppo mettendolo su un piano di parità con le altre potenze economiche sfidanti. I funzionari di Pechino si difendono dalle accuse mosse dall’OMC di voler abusare dello status di “nazione in via di sviluppo” (per continuare a ricevere i sussidi statali), citando i bassi livelli di reddito pro capite, i ritardi nell’istruzione e gli insufficienti standard sanitari.
Non così facilmente Pechino accetterà di cambiare questo stato di cose. Deng, pioniere della riforma economica cinese, è stato l’artefice della teoria che mirava a giustificare la transizione dall’economia pianificata a un’economia aperta al mercato. Una strategia a lungo termine, un pensiero proiettato nel futuro basato sull’idea vincente del “socialismo con caratteristiche cinesi”, il modello che rappresenta tutt’oggi per la Cina una alternativa di sviluppo politico ed economico alle economie liberali occidentali, nella strategia di Xi, come in quella di Deng. In più di una occasione il Presidente cinese ha affermato l’idea che l’esperienza della Cina rappresenti un esempio di successo e una prospettiva per altri paesi in via di sviluppo.
Nel volume “The Governance of China”, uno dei documenti essenziali per comprendere il futuro delle relazioni cinesi con il resto del mondo, si fa ampio riferimento al concetto del ‘peaceful development’ e della cooperazioen win-win, considerato oggi lo standard che la Cina vuole promuovere nelle relazioni internazionali. Pubblicato in occasione del 65° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il libro raccoglie vari discorsi e commenti di Xi Jinping nei primi due anni del suo segretariato. Secondo Xi i “Cinque principi di coesistenza pacifica” teorizzati da Deng rappresentano l’unica via al raggiungimento del Sogno Cinese di “un mondo prospero e stabile” e sono l’opportunità che la Cina cerca. “Lo sviluppo della Cina offre un’opportunità per il mondo intero”. L’apertura della Cina secondo Xi Jinping è funzionale all’acquisizione di una visione globale: “in questo modo, – scrive Xi, “è possibile promuovere lo sviluppo cinese e lo sviluppo del mondo nel suo insieme e avanzare entrambi”. Il principio di mutuo avanzamento è quello che sottostà alla creazione del modello di cooperazione win-win che la Cina vorrebbe attuare attraverso il progetto della One Belt One Road – OBOR, “una cintura una via”. Affascinante prospettiva imperniata sull’idea che si possa realizzare uno sviluppo equo avviando partnership economiche basate sul principio di un mutuo beneficio, su cui la Cina ha costruito gran parte del suo recente “soft power” sfidando il sistema politico-economico attuale costruendosi una nuova sfera di influenza ma che ad oggi stenta a decollare soprattuto in Europa per la reticenza europea che considera l’impatto negativo dell’iniziativa sul libero scambio.
Come è stato più volte messo in luce dall’attuale ministro degli esteri Wang Yi, gli obiettivi di Pechino in politica estera vanno ben al di là dell’adesione alla tradizionale dottrina delle relazioni internazionali basata sulla “realpolitik”, puntando verso l’affermazione di una nuova “global governance”, cioè verso la creazione di un nuovo ordine multipolare che abbia caratteristiche cinesi. Attraverso il Progetto Silk Road la Cina potrebbe giocare un ruolo di primo piano come potenza economica sia a livello regionale che a livello globale e a incidere sulle prospettive nazionali di sviluppo della intera regione euroasiatica. Non è difficile pensare che i rapporti tra Washington e Pechino continueranno a rappresentare un problema nella politica estera cinese, mossa talvolta dalla convinzione che la potenza statunitense sia visibilmente in declino, talvolta dalla visione (questa apparentemente la linea di Xi) che il confronto aperto sia troppo pericoloso e che anzi un tale comportamento devierebbe la Cina dalla realizzazione dei suoi obiettivi economici e politici a lungo termine.
Federica Santoro è collaboratrice di OSSMED, Osservatorio per la Sicurezza nel Mediterrano Allargato, precendentemente ha svolto attività di ricerca presso il Centro Militare di Studi Strategici a Roma e di recente ha conseguito il Master di Secondo Livello in Strategia Globale e Sicurezza presso l’Istituto Alti Studi per la Difesa. La sua ricerca si concentra sulle sfide geopolitiche rappresentate dalle potenze emergenti in particolare sulla Cina. Focus di analisi: la strategia cinese nelle relazioni con l’UE.