Autore: Tiberio Graziani – 16/11/2023
L’Asia centrale quale oasi di pace e cooperazione economica
Tiberio Graziani – Chairman, Vision & Global Trends – International Institute for Global Analyses – Direttore di Geopolitica
Viviamo in un mondo in piena ed accelerata trasformazione; tale trasformazione si riflette con molta evidenza nell’ambito delle relazioni internazionali. Come man mano stiamo cambiando i modelli classici di comunicazione a causa delle nuove tecnologie digitali, analogamente dobbiamo attrezzarci per ampliare il nostro spettro mentale – senza pregiudizi e con onestà intellettuale – per ciò che concerne le relazioni non soltanto tra gli esseri umani ma anche tra gli Stati.
Il collasso sovietico ci ha lasciato in eredità un sistema internazionale molto critico e turbolento. Dopo una prima fase denominata “momento unipolare” e la concomitante globalizzazione dei mercati, abbiamo assistito alla crescita economica e politica di nuovi attori mondiali (Cina e India) e di nuovi Stati nazionali, alla resilienza della Federazione russa, dopo i turbolenti anni 90 di El’cin, ed alla progressiva perdita del ruolo egemonico degli Usa.
La presenza di nuovi attori implica una ridistribuzione del potere a livello globale. Il non accettare l’idea di tale ridistribuzione, cioè il fatto che Nazioni – un tempo ai margini delle decisioni mondiali – possano, oggi, co-decidere, con pari dignità, le sorti del Mondo, è un nonsense logico e politico ad un tempo. Il tentare di ostacolare tale tendenza, che potremmo definire per semplicità multipolare, la tendenza cioè ad una maggiore democratizzazione del processo decisionale a livello globale, esprime arroganza ed è fonte, non secondaria, delle attuali crisi del sistema-mondo. Ostacolare, poi, tale tendenza, in nome di una unica interpretazione della democrazia, della politica e dell’economia internazionali, incentrata in una particolare definizione dei diritti umani, incurante delle esperienze storiche e delle culture politiche dei nuovi attori regionali e globali, esprime una chiusura mentale inadatta alle sfide del presente e del futuro. In sostanza, impedire tale tendenza esprime il rifiuto allo scambio di idee e prassi, al dialogo di civiltà e – purtroppo – costituisce una preoccupante premessa logica e pratica allo scontro di civiltà ed alla turbolenza mondiale.
Negli ultimi trent’anni sono aumentati i cosiddetti archi di crisi in diversi quadranti geopolitici; gli ultimi in ordine di tempo sono quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese. Non è un caso che io abbia utilizzato l’espressione “archi di crisi”, un concetto espresso da Zbigniew Brzezinski sul finire degli anni 70.
Tutti noi ricordiamo il testo fondamentale del prof. Brzezinski “The Grand Chessboard” (1997). Questo libro descrive, in maniera esemplare, il tentativo più compiuto – da parte statunitense – di formulare una coerente strategia egemone a spese delle entità politiche presenti nella massa continentale eurasiatica, come peraltro esplicitamente dichiarato dallo stesso autore nell’introduzione: “Ma, nel frattempo, è assolutamente indispensabile che non emerga alcuna potenza capace di instaurare il proprio dominio sull’Eurasia e di sfidare per ciò stesso l’America. Lo scopo di questo libro è precisamente quello di formulare un’ampia e coerente geostrategia eurasiatica”.
La tensione tra le forze conservatrici, tese a mantenere la propria egemonia, e il crescente peso dei nuovi attori globali determina, anche drammaticamente, l’attuale politica internazionale.
Nel suo libro, il politologo statunitense (ma anche consigliere alla sicurezza nazionale di Carter) individuava alcune aree regionali suscettibili di diventare nel futuro prossimo “archi di crisi”; tra queste, ricordiamo la regione caucasica (Georgia), quella dell’Europa centro orientale (Ucraina), l’Afghanistan e, in particolare, la regione centroasiatica.
La regione centroasiatica, secondo Brzezinski, era suscettibile di diventare i Balcani di Eurasia: un grande buco nero geopolitico.
Se, per mera ipotesi di scuola, oggi, nell’attuale momento storico, i Paesi dell’Asia centrale, in particolare i due principali dell’area – Kazakhstan e Uzbekistan – si schierassero con uno dei due contendenti: Russia o Ucraina/Blocco occidentale e venissero, perciò, meno alla loro tradizionale politica estera multivettoriale, lo spettro di far precipitare l’intera regione centroasiatica in un caos – che richiama alla mente le sanguinose guerre balcaniche – rischia di tramutarsi in una drammatica realtà.
Ora, se assumiamo, realisticamente, un criterio, un paradigma diverso, basato non sulla pretesa egemonica statunitense di ostacolare lo sviluppo e la crescita di un qualunque paese eurasiatico, ma sull’idea di governare, in maniera condivisa, il processo di democratizzazione delle decisioni mondiali, riconoscendo la forza e la legittimità dei nuovi attori globali, allora le aree suscettibili di diventare “archi di crisi” si tramuterebbero in potenziali “isole di pace e cooperazione”, nelle cerniere del nuovo ordine mondiale, in desiderabili “gate ways”, secondo la definizione del geopolitico statunitense Saul Bernard Cohen.
Negli USA, c’è chi si è posto il problema del ruolo del proprio Paese in un mondo multipolare; tra questi il prof. Jeff Sachs, economista dell’Università di Harvard e membro della Pontificia Accademia delle Scienze ed il politologo realista John Mearsheimer. Vale la pena citare Sachs. Scrive Sachs nel suo articolo del 13 aprile 2023 recante il titolo The Need for a New US Foreign Policy: “The aim of US foreign policy is a US-dominated world, in which the US writes the global trade and financial rules, controls advanced technologies, maintains militarily supremacy and dominates all potential competitors. Unless US foreign policy is changed to recognize the need for a multipolar world, it will lead to more wars, and possibly World War III”. Il prof. Sachs ci ricorda che gli USA hanno appena il 4% della popolazione mondiale e mancano delle capacità economiche, finanziarie, militari e tecnologiche per dominare il restante 96%.
Torniamo ora alla regione centroasiatica. Questa regione, invece di diventare i Balcani dell’Eurasia, assumendo una posizione di terza parte nell’odierna crisi tra l’Occidente e la Russia, inizierebbe a porre le basi per la formulazione di una sua specifica identità geopolitica e di una più accentuata funzione geoeconomica; diverrebbe, quindi, una vera e propria cerniera tra Russia, Cina ed Europa.
L’unicità della regione centroasiatica risiede nella variegata ed eterogenea composizione etnoculturale, nel profondo e comune sostrato culturale turcico. La complessità geografica e quella etnoculturale, risultato di un lungo processo storico, la centralità tra i maggiori Paesi eurasiatici, Russia e Cina, sono fattori che – nel quadro di un nuovo paradigma multipolare – definiscono la funzione geopolitica dell’Asia centrale nel nuovo ordine internazionale, quale spazio di co-prosperità, quale hub continentale, quale segmento della cerniera mediterraneo-centroasiatica.
Per le attuali leadership dei Paesi centroasiatici – giovani stati nazionali di appena una trentina di anni – trovare un proprio specifico posto nel nuovo quadro multipolare costituisce una sfida ed una responsabilità storica ad un tempo.
Il compito storico che li attende è ampio; esso riguarda prioritariamente:
– l’innalzamento del livello sociale ed economico dell’intera area e renderlo il più equilibrato possibile a livello regionale. È questo un compito la cui responsabilità ricade, al momento, principalmente sulle leadership dei due Paesi più strutturati dell’intera area: Uzbekistan e Kazakhstan.
– il consolidamento delle relazioni all’interno della regione centroasiatica.
– l’avvio di un ampio programma infrastrutturale in accordo con i principali attori regionali.
– l’avvio di una politica estera multivettoriale congiunta che tenga conto dei rapporti con Russia, Cina, Turchia ed Europa.
– il rafforzamento della cooperazione con gli attori regionali per una più efficace sicurezza regionale.
Nell’immediato, nel quadro della costruzione della propria identità geopolitica e della propria funzione geoeconomica finalizzate a far della regione centroasiatica un’isola di pace e cooperazione, le leadership centroasiatiche dovrebbero cogliere l’opportunità di partecipare al processo di pace sostenendo le varie iniziative in atto, da quelle negoziali, promosse dalla Turchia, a quelle del Vaticano, della Cina, del Sudafrica, del Brasile e dell’Indonesia.
Tutto ciò – a mio avviso – costituisce oggi una delle precondizioni per l’ampliamento e il progresso dei processi di cooperazione industriale, economica e finanziaria dell’intera regione centroasiatica.
(elaborazione dell’intervento del dott. Tiberio Graziani al XVI Verona Eurasian Economic Forum – Samarcanda, 3-4 novembre 2023)
XVI Verona Eurasian Economic Forum in Samarkand
November 03-04, 2023
Silk Road Samarkand Congress Centre
Organizer: Association Conoscere Eurasia