Autore: Stefano Schiavi – 16/07/2022
Per anni le vere guerre si sono combattute, e non a torto, per il controllo degli idrocarburi, vero motore del mondo. Petrolio e gas, dunque, a farla da padroni nello scacchiere geopolitico internazionale. Così in molti, anche oggi, pensano che il conflitto tra Russia ed Ucraina sia improntato fondamentalmente su questo al di là delle speculazioni e delle rivendicazioni più o meno territoriali. In fondo il ragionamento è logico visti gli aumenti spropositati dei combustibili fossili che stiamo subendo in seguito alle sanzioni comminate a Mosca da parte dell’Occidente.
Eppure, secondo il Financial Time (FT) il vero problema di Mosca non sono e non saranno certo le sanzioni alle esportazioni di petrolio e di gas, e su questo ha ragione da vendere. Il vero problema secondo l’icona mediatica economico-finanziaria del mondo occidentale e capitalistico, il vero problema per Putin, sarà, a breve, l’approvvigionamento di quei piccoli affarini che oggi regolano di fatto il mondo e la nostra vita quotidiana: microchip e semiconduttori. Ed anche qui ha ragione da vendere il quotidiano economico londinese, la bibbia della City. Quello del FT non è semplicemente un articolo/report ma un messaggio chiaro non rivolto esclusivamente a Mosca ma a tutto l’Occidente.
La guerra delle sanzioni, e con essa quella economica, l’Occidente la sta perdendo e questo è chiaro a tutti coloro che osservano attentamente l’evoluzione dei mercati e della economia. Specie a quei Paesi UE che alzano i distinguo sul blocco delle forniture di gas e petrolio dalla Russia.
Esattamente come l’agitare lo spettro della crisi alimentare a causa del blocco delle forniture di grano e cereali dall’Ucraina. Sono notizie ad effetto che scatenano aumenti speculativi senza un fondo di realtà. Fa parte del gioco insomma. Ma è bene sapere che l’Ucraina non è il granaio del mondo in quanto ben più di lei producono Russia, Cina, India, Stati Uniti, Canada e pure la Francia. Insomma, se è vero che un tempo lo era, oggi Kiev, al di là della guerra, non è più il granaio d’Europa se si pensa che i dati del 2020 sulla produzione mondiale forniti dalla Fai dicono che anche la Germania produce poco meno di Kiev.
La guerra in Ucraina nasconde la vera guerra in atto
La vera guerra, silenziosa, che si sta combattendo, dunque, non è quella guerreggiata bensì quella che si combatte per il controllo delle cosiddette “ Terre rare” che non rappresentano solo il futuro ma anche il presente. Chi controlla le “Terre rare”, che comprendono minerali come il Cobalto il Litio e i metalli del gruppo Pgm, cioè del Platino controlla il mondo.
Sembra uno slogan d’altri tempi ma elementi come Litio e Cobalto sono fondamentali per la produzione delle batterie, il Palladio viene utilizzato nell’Automotive, per la produzione di gioielli e nel settore elettronico
Tornando a Mosca, e non solo, il problema vero e concreto, che ci coinvolge tutti in realtà, e appunto quello dell’approvvigionamento dei microchip e dei semi conduttori la cui produzione è gran parte nelle mani di Taiwan (60%) e della Corea del Sud (19%).
Due Paesi strettamente legati agli Usa e all’Occidente. Vero, ma c’è un piccolissimo particolare che sfugge ai più. Per produrre microchip, che servono a far funzionare i server di tutto il mondo e tutti i sistemi d’arma e le nostre automobili e i nostri computer e i nostri cellulari e…la nostra intera vita, si utilizzano quelle che vengono chiamate, per l’appunto. “Terre rare” il cui quasi monopolio è nelle mani della Cina sia internamente al suo territorio sia con l’acquisizione, già da diversi anni, dello sfruttamento delle miniere dell’Afghanistan dei Talebani. E sì, perché quella terra brulla e montagnosa da cui l’Occidente è letteralmente fuggito dopo 20 anni di guerra praticamente inutile, è tutto fuorché improduttiva. Una terra arida ma ricca di “Terre rare” ora saldamente nelle mani di Pechino, che dispone del 97% della produzione mondiale a differenza degli Usa che estraggono sì minerali rari, ma devono importare per il fabbisogno interno qualcosa come l’80% del necessario.
Una Green economy ben poco green
Dunque i minerali delle “Terre rare”, o REE (rare earth elements), sono più importanti del petrolio e del gas? Assolutamente sì, per il semplice motivo che si tratta di minerali divenuti centrali nella nostra vita quotidiana per la produzione di beni civili ma anche militari e, soprattutto, per la Green economy su ci si sta puntando insistentemente per uscire dalla dipendenza dai carburanti fossili senza però accorgersi, o probabilmente sì, vista la guerra durissima anche se invisibile, che si sta combattendo.
Il modello post-industriale che si sta imponendo ha dei costi, e questi sono e saranno molto pesanti. Del resto, se i minerali di cui parliamo si chiamano “Terre rare” un motivo ci sarà. Il problema è che la gente comune non lo sa e non lo pensa minimamente, anche perché siamo abituati a vedere il prodotto finale senza chiederci cosa c’è dietro.
Senza questi minerali rari, di cui la Cina detiene di fatto il monopolio, non si possono produrre, ad esempio, magneti permanenti, batterie ricaricabili, catalizzatori per autovetture e intervengono nella filiera produttiva per ottenere energia “pulita” (turbine eoliche), nel campo aerospaziale e della Difesa (radar, sistemi di guida, satellitari e ottici), nella petrolchimica (il cracking del greggio) e più in generale nella produzione di autoveicoli (motori elettrici e ibridi) su cui la Ue ha puntato tutto imponendo la cessazione dei motori a scoppio già tra pochi anni.
E senza quelle materie prime è impossibile anche la produzione di microchip e i semi conduttori di cui parlavamo in precedenza. Questo vale per Mosca, come giustamente dice il FT, ma vale anche per noi…E sì, la Cina ci è vicina. Talmente vicina che la vera guerra, quella sotterranea e pericolosissima, la sta vincendo lei. Mentre noi continuiamo a discutere di sanzioni, rincari, Pnrr, inflazione e via dicendo. Noi, perché chi deve sapere sa già da tempo la situazione e, probabilmente, la guerra in Ucraina l’ha scatenata appositamente come deterrente e al contempo “copertura” a quello che in realtà accade nel silenzio assoluto. Fantascienza? Fantapolitica? Elucubrazioni mentali dei soliti complottisti? O forse una realtà ben diversa da quella che appare?
Del resto stiamo parlando di risorse fondamentali per il futuro green del mondo, le cui tecniche di estrazione e raffinazione sono in realtà altamente costose e inquinanti, altro che Green economy, con un bassissimo se non quasi nullo tasso di riciclabilità, parliamo di un tasso inferiore all’1% Il tutto è legato innegabilmente a fattori geopolitici che spiegano, di fatto, il perché del grande scontro in atto tra l’Occidente a guida anglo americana e il mondo che piano piano si sta riconoscendo e aggregando intorno ai Paesi del Brics.
Altro che crisi petrolifera e approvvigionamento di gas, siamo di fronte al vero problema di questo nuovo scontro globale: l’approvvigionamento dei minerali delle “Terre rare” senza le quale le industrie occidentali si fermeranno. Non è certo un caso che già adesso si registrano problemi nelle varie produzioni che portano con se tutta una serie di problemi sociali che rischiano di esplodere a breve. A partire dai licenziamenti, agli esuberi, alle inevitabili crisi economiche e inflazionistiche.
Washington corre al riparo
Non è dunque un caso se la Casa Bianca ha tentato di correre ai ripari fin dall’arrivo di Biden nella Sala Ovale. Anche Trump aveva ben presente il problema e venne deriso quando propose di acquistare dalla Danimarca la Groenlandia. Trump era tutto tranne che pazzo quando fece quella proposta, aveva ragione da vendere e vedremo il perché. Poche settimane dopo il suo insediamento, il Presidente Biden firmava un ordine esecutivo riguardante la catena degli approvvigionamenti di beni essenziali, cibo, medicinali ma anche, e soprattutto per due settori fondamentali per gli Stati Uniti legati inevitabilmente alla geopolitica: quello delle batterie di grande capacità (utilizzate nei veicoli elettrici) e delle Terre Rare, indicate come “minerali critici” essendo parte essenziale della Difesa, dell’high-tech.
Non è quindi un caso se, in conseguenza dell’ordine esecutivo della Casa Bianca, il Dipartimento della Difesa ha presentato, in seguito, al Congresso statunitense una proposta di finanziamento per il 2023 di circa 235 milioni di dollari necessari ad aumentare le scorte di minerali critici quali Titanio, Tungsteno e cobalto.
Il nuovo fronte sarà la Groenlandia
E mentre il mondo è in ansia per la guerra che si combatte nel cuore dell’Europa il vero obiettivo di Washington, perso l’Afghanistan ai favore di Pechino, è la Groenlandia. La terra ricoperta dai ghiacci, ma che pian piano sta ridiventando verde, è infatti il nuovo campo di battaglia tra le vere due potenze mondiali per quanto riguarda lo sfruttamento minerario riguardante metalli preziosi e “Terre rare”. La Groenlandia, infatti, non è ricca solo di oro e platino ma anche di quei minerali rari che, se sfruttati, potrebbe mettere sul mercato annualmente il 30% del fabbisogno mondiale arginando così il monopolio cinese. Ma questo non lo sa soltanto l’Usgs (il servizio geologico nazionale statunitense), lo sanno anche a Pechino. L’Usgs ha stimato che dal sottosuolo della Groenlandia si potrebbero estrarre circa 500mila tonnellate annue di Eudialite e Feldspato da cui si ricavano il tantalio, lo zirconio e il niobio, la cui quotazione sui mercati supera di molto quella dell’oro.
Per non parlare di giacimenti di ferro, piombo, zinco, nickel, uranio. A Pechino, come dicevamo, sanno e si muovono di conseguenza specie nel settore “Terre rare” investendo a piene mani in quote societarie della australiana Greenland Minerals Ltd molto attiva nel sito di Kvanefjeld.
Australiani attivi anche con la società Tanbreez proprietaria, in accoppiata con gli Stati Uniti, del secondo deposito per estensione dell’isola danese di cerio, Lantanio e Ittrio. Ma la Groenlandia è terra di conquista anche per i Cechi con la Czech Geological Research Group e per i Canadesi della Hudscon Resources Inc e la britannica Lingland Resources Ltd. Insomma, dalla via della Seta alla via dei ghiacci, passando per le guerre europee in cerca del nuovo Ordine Mondiale. Arriveremo ad una nuova Yalta e Teheran e ad un mondo nuovamente bipolare dove Mosca sarà subalterna a Pechino e l’Europa continuerà a dipendere dall’asse anglo-statunitense? Una cosa è certa, siamo già nel futuro economico, politico, geopolitico e sociale che non prevede più guerre per il petrolio e lo dimostra il singolare silenzio ed immobilismo dei Paesi produttori soprattutto arabi.
Mamma li Turchi!
Non solo Groenlandia però. Nelle scorse settimane, infatti, a scompaginare le carte sul tavolo, e questo potrebbe far comprendere l’improvviso riavvicinamento europeo, specie quello di Mario Draghi che definì solo pochi mesi fa il presidente turco un dittatore, la Turchia ha annunciato al mondo la scoperta di un enorme giacimento di “Terre rare” a Beylikova, nell’Anatolia Centrale. Un giacimento così esteso, pari a 700 milioni di tonnellate, da poter soddisfare da sola la domanda mondiale per molti decenni con 10 elementi su 17 elementi delle “Terre rare” per altro in prossimità della superficie. Un elemento di non poco conto nei costi di estrazione.
Si tratterebbe del secondo giacimento al mondo per estensione dopo quello cinese da 800 milioni.
Secondo il ministro Fatih Donmez, quando le industrie estrattive e di raffinazione saranno operative, la Turchia prevede di lavorare 570.000 tonnellate di terre rare all’anno, quasi il doppio delle 315.000 tonnellate che sono previste come richieste a livello mondiale nel 2030. Di fatto Ankara ed Erdogan si preparano a vivere la rinascita di nuovo Impero Ottomano e a condizionare la geopolitica del Mediterraneo, del Vicino Oriente e, soprattutto, dell’Europa. Senza intaccare il dominio cinese ma affiancandolo.
L’Autore
Stefano Schiavi: giornalista professionista è specializzato in politica estera. Inviato in aree di crisi, belliche e naturali. Ha seguito negli anni il tracollo dell’Unione Sovietica, la caduta dei regimi comunisti in Albania e nella ex Jugoslavia come inviato nelle guerre civili che ne scaturirono. È stato inviato in Tunisia e Siria per diversi anni. Ha seguito sul posto i diversi eventi sismici in Umbria e Abruzzo e il devastante sisma in Indonesia nella regione di Sumatra. Ha lavorato per L’umanità, il Secolo d’Italia, il Giornale d’Italia di cui è stato Capo Redattore, ha collaborato con il settimanale Panorama, con la Rai. Ha inoltre ricoperto il ruolo di addetto stampa del Commissario della Croce Rossa Italiana, del Ministro della Pubblica Istruzione, di due Sindaci di Civitavecchia. È stato Collaboratore parlamentare e ha lavorato alla Camera dei Deputati per il Gruppo Misto.