Autore: Emanuela Irace – 02/04/2020
Anche dalla sponda sud del Mediterraneo, in Africa, sono arrivate le cifre dei primi morti. Una faglia aperta nel Continente africano da poco più di un mese, con una progressione dei contagi che ha spinto l’OMS a premere sui governi per spingerli a prepararsi al peggio. Paesi già martoriati dallo sfruttamento economico estrattivo, senza infrastrutture sanitarie e dove è ancora forte la memoria delle morti per Aids che non hanno risparmiato una famiglia.
Con un miliardo duecento milioni di abitanti e una vita sociale comunitaria che ha pochi uguali al mondo, l’Africa rischia di tramutarsi in una vera e propria bomba sanitaria. Da fine marzo si seguono i protocolli dell’Oms, chiusura di scuole, aeroporti, contingentamento dei voli, controllo alle frontiere, divieto di assembramenti ecc.
Tra le misure barriera per contrastare il contagio, la sicurezza e l’igiene rappresentano il primo atout per i 54 Stati del continente, tra questi, secondo l’Oms, solo 43 sono in grado di identificare la malattia grazie ai kit forniti dagli aiuti internazionali.
Resta la sfida contro una serie di fattori che possono portare a vincere o a perdere contro l’epidemia. Tra i pro c’è il dato demografico e il fattore tempo, sempre decisivo ma che in questo caso potrebbe giocare a favore del continente per il vantaggio non trascurabile di usufruire dell’esperienza altrui.
Aiuto internazionale difficilmente a costo zero, settore in cui spicca la Cina che dopo oltre un decennio di soft power – per plasmare i futuri partner, necessari a mantenere e sviluppare la propria potenza – ha tutto l’interesse a tutelare i propri investimenti infrastrutturali, industriali, minerari e strategici. Dopo aver costruito la sua prima base navale a Gibuti nel 2017 – passaggio strategico per le rotte commerciali, ed essersi così tutelata un accesso al Mediterraneo – l’Impero di mezzo nell’era di Xi Jin Ping sta consolidando in Africa il ruolo di player globale in lotta per l’egemonia.
La gestione della pandemia in questi mesi ha saputo dare alla Cina un’immagine moralmente autorevole, prontamente mostrata al mondo dopo una partenza sbagliata. Efficienza militare e civile che poggia su una base politica, religiosa e filosofica tanto affidabile da poter stregare fino alla vittoria. Con il rischio di un effetto imitazione da parte di governi meno strutturati ma con ambizioni autoritarie.
Intanto nell’Africa subsahriana il virus potrebbe essere utilizzato come arma di guerra nel delitto più abietto: quello dell’untore che semina contagio. In questo caso da parte dei rapitori di un politico di spicco, Soumalia Cissè. La notizia riportata dal quotidiano locale Le Pays è serpeggiata tra gli abitanti dei villaggi che costellano il territorio di Timbouctou nello stato del Mali, feudo dell’organizzazione jhadista Katiba Macina, dove il 29 marzo scorso si è tenuto il primo turno delle elezioni legislative per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale. Centotrentuno rappresentanti da eleggere che resteranno in carica per cinque anni.
Tra questi anche il capo dell’opposizione Soumalia Cissè rapito da uomini armati durante un vasto tour elettorale. Pochi giorni dopo, i primi casi di Covid-19 hanno fatto pensare al contagio volontario dei rapitori nel corso dell’imboscata.
Territori fuori controllo quelli del Sahel che negli anni si sono guadagnati il titolo di Sahelestan. Un complesso scenario geopolitico al cui interno opera il gruppo dei G5 Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso e Mauritania) con cui l’Organizzazione mondiale della sanità e la Croce Rossa coordinano misure di contrasto al contagio. Una missione complicata per i cinque stati impegnati a garantire la sicurezza in un territorio crocevia di traffici illeciti e contrabbando, guerre interetniche e tribali, e con intere regioni in mano alle milizie orfane di Al Qaida e Daesh.
Difficile coordinare la sicurezza per contenere il virus di fronte ai conflitti, alla mancanza di accesso all’acqua, elettricità e alla promiscuità dei campi profughi in cui sono ammassati rifugiati e sfollati scappati da guerre o carestie che rischiano di ritrovarsi blindati dal virus, come in un girone infernale.
Emanuela Irace, giornalista, inviata in Vicino e Medio Oriente, socio ISMEO