Autore: Valerij Korovin – 27/02/2023
[In arrivo] la fine dell’Europa come monopolista della cultura, come provincia chiusa del globo terrestre, che pretende di essere l’universo. (N. A. Berdyaev)
Introduzione al libro “La fine dell’Europa” (Konets Evropy)
Chiunque sia interessato ai processi mondiali, seguendo le notizie dall’Europa, probabilmente più di una volta è giunto alla conclusione che nell’Europa di oggi c’è qualcosa che non va. Eppure, formalmente, finora tutto pare al proprio posto: l’Unione Europea è ancora abbastanza forte e rimane tra i leader dello sviluppo economico, le città europee sono abbastanza sicure, l’Europa ha gli Stati Uniti come protettore e la NATO, come prima, rimane il più grande blocco militare che protegge l’Europa dall’aggressione esterna. Eppure, qualcosa ci preoccupa.
Osservando ciò che sta accadendo in Europa e confrontando la sua immagine attuale con gli stereotipi che si sono sviluppati nella nostra mente, sempre più spesso notiamo che esiste un divario tra l’“Europa dei nostri sogni” e l’Europa di oggi, anche se per il momento è appena percettibile. Ma, in realtà, l’aspetto dell’Europa di oggi sta cambiando abbastanza rapidamente, anche al suo esterno.
Siamo ancora convinti di essere noi stessi parte della civiltà europea. Ma guardando i volti dei “nuovi europei”, vediamo come i loro lineamenti, i loro abiti, le loro abitudini sono già cambiati e come sta cambiando, davanti ai nostri occhi, il comportamento di coloro che si uniscono alle fila degli abitanti delle tradizionali capitali europee. E più musulmani, neri, arabi ci saranno, più gli abitanti nativi delle città europee si preoccuperanno per la propria incolumità.
Certamente, l’Europa è ancora forte nella sua cultura, nelle sue tradizioni di democrazia, libertà, uguaglianza e diritti umani. Ma questi valori sono abbastanza allettanti per chi oggi vi arriva in numero piuttosto elevato? Sono pronti i nuovi arrivati, come in passato, ad assorbire con smania la cultura europea, impararne le lingue, assimilare i valori della democrazia europea, assumere una nuova identità, abbandonando definitivamente quella precedente?
L’Europa non è immobile, ma continua a sviluppare e a perfezionare quei valori che lì hanno cominciato a prendere forma nell’Età Moderna, nell’Illuminismo, e hanno formato l’immagine dell’Europa attuale (“Moderno” – paradigma ndr.) a noi così familiare. Le libertà europee hanno raggiunto l’apice della loro emancipazione, l’apertura alle altre culture si è formata nel multiculturalismo. La democrazia ha dato a tutti pari opportunità, forestieri compresi, e i famosi diritti umani europei hanno eguagliato chi arriva in Europa da altre regioni del mondo con chi in Europa ha sempre vissuto, plasmando i valori della società civile europea.
L’europeo odierno di riferimento è così libero ed emancipato che non ha più nemmeno restrizioni sessuali, le quali, nell’Europa di oggi, pare siano una sorta di arcaismo che si sta dissolvendo nel passato. Essere veramente liberi significa rigettare completamente i “pregiudizi” associati alla determinazione del genere nell’aspetto di un uomo o di una donna. D’altronde, il genere, nell’Europa di oggi, come tutto il resto, non è più un dato immutabile, ma è determinato unicamente dalla scelta personale.
Ma come si relazionano a tale libertà coloro che fino a ieri hanno vissuto sotto rigide restrizioni religiose? Come vengono percepite le opportunità che si spalancano dalle donne che arrivano da paesi dove l’usanza musulmana è molto forte, o dagli uomini che osservano rigorosamente le tradizioni dei loro antenati? Sono pronti, così all’istante, a rinunciare a tutto ciò che ostacola la loro emancipazione? Per loro è davvero così attraente l’immagine dell’europeo odierno di riferimento, che dispone liberamente non solo del proprio corpo, ma anche della propria identità di genere? E questo non crea una certa tensione tra questi due mondi, anche se apparentemente si muovono l’uno verso l’altro?
Sì, l’Europa è ricca ed economicamente molto più sviluppata rispetto a quei paesi dai quali a grandi e piccoli flussi arrivano i nuovi abitanti per reintegrare le fila, secondo i burocrati europei, dei futuri contribuenti e consumatori di beni europei di alta qualità. Eppure ci vuole del tempo per adattarli alle condizioni della società europea, alle leggi linguistiche e alle caratteristiche culturali. Tuttavia il sistema europeo è pronto ad aspettare, fornendo ai nuovi arrivati alloggi temporanei e un pacchetto minimo di welfare. Ma come si sentono i nativi europei di fronte a questa “esibizione di generosità senza precedenti”, che col loro lavoro e le loro tasse creano il benessere europeo, per mezzo del quale viene condotto un esperimento sociale per sostenere e integrare i nuovi arrivati nella società europea?
E un’altra domanda, forse più profonda, che ossessiona oggi non solo gli stessi europei, ma anche coloro che si associano mentalmente alla cultura europea e alla civiltà europea – ma chi sono oggi questi “nativi” europei? Qual è la loro immagine di riferimento: culturale, intellettuale? Cosa significa oggi essere europei? Come dovrebbe essere un europeo, quali qualità e caratteristiche dovrebbe possedere? E quanto è competitiva questa immagine per quei rappresentanti di altre civiltà e culture che oggi riempiono l’Europa? È così attraente e sono pronti questi ultimi a rinunciare alla loro identità a favore di un’identità europea?
L’Unione Europea continua a ottimizzare il proprio sistema burocratico, accogliendo nelle sue fila anche quegli Stati che solo ieri facevano parte del blocco ideologico opposto al progetto occidentale. Ma quali sono le motivazioni dei nuovi membri dell’UE: il desiderio di unirsi alla comune cultura europea, alla comprensione europea dello stato di diritto, al trionfo del diritto, all’incrollabilità degli ideali democratici e all’attrattiva delle libertà europee? Oppure sono guidati da una congiuntura momentanea, dalla brama di “beni” europei, dal desiderio di ricevere sussidi e agevolazioni finanziarie? L’impulso dei nuovi membri dell’Unione Europea a entrare a far parte della civiltà europea è davvero così sincero, o il loro euro-entusiasmo scomparirà non appena il volume delle iniezioni finanziarie nella loro economia diminuirà?
E come intendere i tentativi di alcuni paesi di uscire del tutto dall’UE? Quanto è seria la sfida delle tendenze separatiste rimaste invariate per decenni, e talvolta anche secoli, all’interno di un’Europa così unita e monolitica, come sembrerebbe dall’esterno? Quanto saranno dure le conseguenze della Brexit britannica, la Spagna riuscirà a trattenere la Catalogna, la Gran Bretagna l’Irlanda e la Scozia? E alla fine il Nord e il Sud dell’Italia si separeranno?
E come ignorare il ruolo degli Stati Uniti nel destino dell’Europa. Che cos’è l’America per l’Europa: un rampollo grato per i valori europei in un certo momento messo al mondo dalla civiltà europea, un fedele alleato sempre pronto a proteggere chi lo ha generato col proprio potere militare e diplomatico? Oppure è il nuovo padrone che regna incontrastato sul continente europeo e talvolta percepisce la vecchia Europa come la sua nuova colonia, come oggetto di sfruttamento e mercato di merci americane?
Le domande sono davvero tante e ogni volta che le poniamo è sempre più difficile trovare una risposta chiara e precisa, è sempre più complicato affermare con certezza che l’Europa è ancora forte e attraente e che, con certezza e facilità, potrà superare tutte le prove che oggi gravano sulla sua sorte. È improbabile che con egual certezza un nativo europeo, che ogni giorno deve affrontare personalmente le sfide e i problemi che tratteremo nel nostro libro, possa rispondere a tutte le domande che poniamo.
La cosa più importante che preoccupa davvero tutti noi, non solo per chi vive in Europa, ma anche per chi, dall’esterno, osserva le trasformazioni in corso – l’Europa resisterà alle sfide che deve affrontare? L’uscita della Gran Bretagna dall’UE, ad esempio, non significa forse l’inizio della disgregazione di questa costruzione politica? E l’Europa sarà in grado di far fronte alla crisi migratoria, che ha fatto traboccare il bicchiere della pazienza europea? La civiltà europea assimila i nuovi arrivati, o diventerà essa stessa oggetto di assimilazione? Reggerà alla pressione del Covid e degli altri successivi virus che gli ideologi globalisti stanno già minacciando, riuscirà a far fronte alle loro conseguenze e ai cambiamenti già avvenuti? Reggerà alla particolare situazione geopolitica dovuta alla crisi ucraina. Cosa rimarrà dell’Europa alla fine dell’Operazione Speciale Militare russa in Ucraina? L’Europa starà in piedi o crollerà?
L’unico dato che non solleva alcun dubbio è che l’Europa, davanti ai nostri occhi, sta attraversando gravi trasformazioni di civiltà, le cui conseguenze riguarderanno non solo se stessa, ma anche la situazione mondiale. Del resto, l’Europa è proprio la fonte di molti progetti di civiltà, l’asse geografico di tutte le civiltà indoeuropee, la matrice culturale di molti stati e popoli. Se l’Europa reggerà, o alla fine si disgregherà sotto il giogo delle crescenti sfide interne ed esterne, da questo esito dipenderà il tipo di mondo in cui vivremo domani. Alla resa dei conti, l’Europa terminerà come una civiltà indipendente, distintiva, di riferimento per molte civiltà, e se ciò accadrà, quando?
E, infine, una domanda che per alcuni può sembrare strana, ma che, tuttavia, non può non turbare il popolo russo: come e in che cosa noi possiamo aiutare l’Europa? Ecco questo è ciò di cui cercheremo di parlare, prestando attenzione non solo agli eventi e ai fatti, ma anche, dato non di poca d’importanza, al mondo d’oggi rigurgitante d’informazioni, alle loro interpretazioni e trattazioni. Capire l’Europa per salvare l’Europa è il nostro super-compito, alla cui soluzione dedicheremo questo libro. Ma, ovviamente, non per salvare un’Europa qualsiasi, non quella attuale in particolare, ma quella che c’era prima e quella che dovrebbe essere.
La mente che genera mostri
Secondo il modello di antropologia politica europea, qualsiasi persona – di qualsiasi colore di pelle, cultura, lingua – che entri nella società occidentale ne diventa automaticamente un elemento tipico. Teoricamente, diventa esattamente uguale a tutti gli altri – ciò gli viene richiesto dal concetto di società civile e di cittadino atomizzato come soggetto dello stato-nazione. L’intera base legislativa dei paesi europei è configurata in modo tale da operare con queste categorie. Lì il cittadino è un soggetto atomizzato della società civile, la quale è composta meccanicamente da molti individui. Ogni pretesa viene indirizzata all’individuo, come cittadino, come se fosse una specie di individualità atomizzata, senza considerare: che tipo di cittadino è, che religione professa, a quale gruppo etnico appartiene. In quanto, la legge, il sistema giuridico, l’essenza stessa del “Moderno” non prevede l’esistenza di altre identità collettive, caratteristiche, idee. Anche se ci sono.
Se consideriamo l’attuale crisi dell’immigrazione in Europa nel quadro di questa teoria europea, basata sull’antropologia politica del “Moderno”, questa, allora, si risolve velocemente. Insomma, non c’è alcun problema. Teoricamente dovrebbe essere così: quando i rappresentanti del mondo arabo, del Maghreb, del centro del continente africano, della Cina o, ad esempio, della Turchia entrano nei paesi europei, come per magia, verrebbero automaticamente ripuliti da tutte le loro precedenti caratteristiche. In altre parole, come se fossero azzerati e ricaricati. Dal punto di vista del puro pensiero europeo, giunto a sostituire Dio a favore di una nuova fede – il “Moderno”, i nuovi abitanti dell’Europa, dopo essersi ripuliti da tutto ciò che è “vecchio”, si trasformerebbero in un cluster vuoto. Questo individuo azzerato, secondo il criterio europeo, dopo il “reset” sarebbe pronto ad assorbire da “zero” i valori europei. Questi stessi valori, frutto delle raffinatezze filosofiche del “Moderno”, sono stati perfezionati in tre o quattro secoli di storia del pensiero europeo, che si è sostituito a Dio. Tutti questi individui vengono fissati nello spazio giuridico europeo, nel campo sociale e culturale, sotto forma di codici chiari e inequivocabilmente compresi del pensiero razionale. L’unico problema è che un simile “azzeramento” e “reset” dei nuovi europei avviene solo nelle teste dei burocrati europei che registrano meccanicamente gli arrivi ai posti di frontiera e raccolgono statistiche nei centri d’immigrazione.
Secondo i burocrati europei, gli immigrati appena arrivati spadroneggiando tutti i tipi di contabilità e indennità, dopo aver studiato l’una o l’altra lingua europea (più necessariamente l’inglese) e aver trovato un lavoro, si trasformeranno nei tipici cittadini dei vari paesi europei e in coscienziosi contribuenti-consumatori. Ricevuti gli opportuni passaporti, loro diventeranno “francesi”, “tedeschi”, “italiani”, “norvegesi”.. Ed ecco, dal punto di vista legale sono già assolutamente uguali a tutti gli altri europei (con tutti i documenti correttamente preparati e tutte le formalità rispettate). Se una persona ha un passaporto e un visto Schengen è (formalmente) un europeo, tale da non poter essere distinto da un altro europeo, i cui antenati, invece, hanno vissuto per secoli in Europa: in Francia, Germania o Svizzera.. Tra di loro non c’è alcuna differenza legale: ecco come la questione è vista dalla macchina legale europea. Bene, ma dov’è il problema? Sorge la domanda, dov’è la crisi?
Ciò che non vedono i funzionari europei che si occupano di documenti è, invece, chiaramente visibile nelle strade europee. È lì che balza agli occhi il fatto che i nuovi arrivati in Europa, persone di altri continenti, rappresentanti di altre razze e civiltà, seppure con in tasca i nuovissimi passaporti europei, certamente, non diventano “francesi” o “tedeschi”.. in senso culturale, storico, psicologico, mentale. Ma rimangono musulmani, africani, arabi, rappresentanti delle loro tribù, cioè portatori proprio di quelle identità collettive che da tempo hanno cessato di esistere nello spazio concettuale europeo. E poiché in quello spazio non esistono, allora dovrebbero comportarsi come europei, caricandone i corrispondenti valori nella loro memoria ripulita (come la vedono i funzionari europei). Ma ecco la sventura: la memoria di quegli abitanti dell’Europa, arrivati da poco, per qualche motivo non risulta ripulita, pertanto, continuano a comportarsi come musulmani, africani o turchi. E vivono sulla base della loro identità culturale e non secondo le esigenze della società civile europea: non si fanno registrare, ignorano leggi e restrizioni. Avendo già ricevuto benefici, non imparano la lingua e, se la studiano, non è per sistemarsi con un lavoro. Lavorando, tendono a non pagare le tasse. Tutto questo poiché l’identità culturale e religiosa è molto più seria, fondamentale e profonda dei regolamenti e dei codici della società civile adottati dagli europei come patto sociale.
Di fronte a tale malevola noncuranza, da parte dei nuovi arrivati, nei confronti dei paradigmi fondamentali della società europea, fondati sulla stabilità del diritto e sull’assolutezza degli orientamenti razionali della realtà oggettiva positivista, lo stesso diritto europeo, che a sua volta deriva dalla negazione di ogni identità collettiva, si ritrova in uno stato di stupore. Cosicché, uno dopo l’altro, falliscono i sistemi politici degli Stati europei costruiti sull’inviolabilità dei postulati del “Moderno”: l’atomizzazione della società civile dello stato-nazione, il consenso politico e l’osservanza dei diritti umani da parte del cittadino atomizzato senza peculiarità collettive. Di conseguenza, tutto ciò che fino ad ora si era affermato come forma ideale e universale – e non solo per l’Europa, ma per l’umanità nel suo insieme – sta crollando. L’idea stessa di Europa viene erosa alla sua base. Le basi dell’essere del mondo odierno (Moderno) sono rovesciate. E tutto a causa di certi arabi che non vogliono rinunciare alla propria identità, strapparsi di dosso il velo, radersi la barba, che non smettono di riempirsi la testa di “scritti” del Corano, e non si sforzano, invece, come “tutte le persone normali”, le migliori delle quali sono gli europei, a partecipare ai gay pride al termine del lavoro e dopo aver pagato tutte le tasse.
Pertanto, coloro che arrivano e non si integrano in alcun modo nella società europea iniziano a rappresentare una massa critica, già misurabile in categorie statistiche. Inoltre, ci si accorge che coloro che sembravano essersi da tempo integrati, vivendo in Europa come seconda, e persino terza generazione, si sono integrati in modo abbastanza condizionato. Dopo aver appreso la lingua richiesta, continuano a mantenere la loro identità culturale, mostrandosi come un gruppo sociale fuori controllo, che sa orientarsi benissimo nel sistema del diritto e dei valori europei, che utilizza abilmente tutti i vantaggi europei, seppur non applicandoli in nulla.
Masse insolubili di nuovi arrivati creano enclavi di esistenza originale, e lì vivendo se ne infischiano totalmente di tutti gli imperativi sociali degli europei. Poiché per loro, le “conquiste” europee riflettono solo l’esperienza di quel piccolo pezzo di umanità – l’Europa – che si trova alla periferia dei processi mondiali, se visti da altre parti del mondo. Dunque, che siano gli europei ad osservare ciò che hanno escogitato per sé stessi! Ad esempio, gli arabi non lo faranno, dato che non sanno chi sono Locke, Mill o Spencer e comunque, perché mai il pensiero di questi ultimi dovrebbero essere superiore alle Sacre Scritture – il Corano e la Sunna del Profeta! I nuovi arrivati non hanno sentito nulla della società civile e se ne infischiano del “Moderno”.
Gli autentici europei autoctoni, oltre al modello sociale che hanno creato e descritto nei codici formali, portano anche una certa carica di positivismo, riconoscendo solo ciò che è stabilito dall’esperienza o provato dai sensi. Tutto il resto – identità collettiva, fede, tradizione, metafisica, sacralità, Dio – per loro non è un fatto, quindi mettono tutto in discussione. Gli arabi non lo mettono in discussione poiché la loro esperienza storica e le loro fondamenta sono diverse. E quando la massa critica di questi elementi culturali stranieri raggiunge un determinato picco si genera dissonanza cognitiva all’intera civiltà europea.
Valerij Korovin, direttore del “Centro di analisi geopolitiche” di Mosca, vice presidente del “Movimento Eurasiatico Internazionale”
Traduzione a cura di Eliseo Bertolasi