Author Emanuel Pietrobon – 23/04/2019
21 aprile 2019, domenica di Pasqua per i cristiani di tutto il mondo. In Sri Lanka sei kamikaze si fanno esplodere simultaneamente in sei diversi punti del paese appositamente scelti perché affollati di cristiani, e di turisti, identificati come occidentali.
Vengono colpite tre chiese cattoliche, a Negombo, Batticaloa e Colombo (la capitale), e tre hotel di lusso della capitale, lo Shangri-La, Cinnamon Grand e Kingsbury. Più tardi, nella stessa giornata, cinque persone, di cui tre poliziotti, muoiono durante un confronto con dei sospettati, nella periferia di Colombo, che si fanno esplodere.
La gigantesca caccia all’uomo messa in atto dalle autorità singalesi porta alla scoperta di bombe in tutta la capitale, presso l’aeroporto e nella stazione centrale degli autobus, e all’arresto di 27 persone, legate ad un gruppo islamista locale, di cui si sapeva poco almeno fino a ieri: National Thowheeth Jama’ath (NTJ).
Le origini del gruppo sono incerte e, fino ad oggi, si era reso protagonista di attacchi contro la comunità buddhista e opere di vandalismo nei confronti di monumenti, statue e luoghi di culto della stessa, senza mai attaccare la comunità cristiana, che come quella islamica rappresenta una realtà minoritaria nel paese, che è a maggioranza buddhista.
Il bilancio è dei più gravi nella storia del terrorismo di matrice islamista: 290 morti e 500 feriti, l’ultimo aggiornamento.
13 marzo 2017, un gruppo terroristico noto come l’Esercito di Liberazione del Balochistan, uccide 10 operai in un cantiere aperto di Gwadar (Pakistan). Gwadar è una piccola città portuale che dal 2017 è al centro dell’attenzione internazionale: è infatti stata scelta dalla Cina come uno dei porti più importanti della nuova rete commerciale che vedrà luce una volta completata la gigantesca Nuova Via della Seta.
L’ELB non era nuovo ad attentati nel paese, ma cambia il movente: dall’uccisione di autorità o infedeli, all’attacco di cantieri aperti nel quadro della Nuova Via della Seta, il nuovo nemico è la Cina.
Da quando nell’aprile 2015 il Pakistan è entrato a far parte del cosiddetto Corridoio Economico Cina-Pakistan, dal valore di 46 miliardi di dollari, dopo anni di graduale stabilità il paese è rapidamente ripiombato nel caos, sperimentando un’insurgenza terroristica pari a quella del post-11 settembre 2001.
Come il Pakistan, anche l’Afghanistan, passato dall’orbita d’influenza sovietica a quella americana, per poi oggi essere caduto sotto quella cinese a suon di miliardi di investimenti, sta entrando in una nuova era di instabilità.
Che cosa lega lo Sri Lanka a Pakistan e Afghanistan? Storie nazionali, politiche e religiose molto diverse tra loro, ma un punto in comune c’è: l’appoggio al sogno di Xi Jinping di un’Eurasia a guida cinese e alla Nuova Via della Seta.
Nei piani di Pechino Colombo dovrebbe diventare uno dei più importanti snodi della via della seta marittima che attraversa l’oceano indiano e, affinché ciò avvenga, sono previsti investimenti per oltre 10 miliardi di dollari nell’ampliamento del porto di Colombo e del simultaneo sviluppo di una continua area industriale, che secondo gli accordi siglati sarà affittata ai cinesi per 99 anni.
I lavori del porto procedono, ma quelli dell’area industriale sono stati rallentati da una serie di proteste violente anti-cinesi, causando anche un raffreddamento nei rapporti bilaterali tra i due paesi.
Sempre a Colombo dovrebbe vedere luce un nuovo distretto, a base di grattacieli e luoghi per affari ed intrattenimento, ampiamente pubblicizzato con cartelloni tappezzati per l’intera capitale, disegnato per una capienza di 85mila abitanti. Nel nuovo distretto è prevista l’introduzione di un regime fiscale agevolato per attrarre capitali stranieri e trasformare “la città nella città” in una nuova Singapore.
Da quando la terribile guerra civile causata dalle Tigri Tamil è finita, lo Sri Lanka è stato avvicinato immediatamente dalla Cina, che dal 2007 investe e presta denaro nel paese.
Le autorità singalesi non credono all’idea del terrorismo in casa senza obiettivi politici, e non lo crediamo neanche noi. La polizia e la politica non credono che un gruppo piccolo, mai capace di grandi atti di protagonismo, possa d’un tratto provocare l’attentato più sanguinoso nella storia del paese, e non lo crediamo neanche noi.
Si è parlato di una “pista internazionale”, che cosa significa? Che i terroristi sono stati armati e finanziati per gettare il paese nel caos e causare una fuga di capitali e persone, con l’obiettivo di non renderlo più un “porto sicuro” per la nuova via della seta.
Come lo Sri Lanka, il Pakistan e l’Afghanistan, anche il Nicaragua è entrato in uno “strano” vortice di instabilità casualmente scoppiato all’indomani di annunci pomposi. In Nicaragua la Cina avrebbe voluto costruire un nuovo canale, capace di rivaleggiare a quello di Panama, progetto andato in fumo quando le proteste anti-cinesi hanno presto assunto i connotati di una quasi-guerra civile, spingendo la Russia addirittura a mandare degli esperti in guerre asimmetriche per aiutare l’alleato Ortega a non cadere vittima di una nuova rivoluzione colorata.
La Cina è infine scappata dal Nicaragua, perché troppa instabilità significa incertezza di ritorno economico, quindi vanificazione degli investimenti, che nel caso di Pechino equivalgono sempre a diversi miliardi di dollari e sono destinati a mutare profondamente equilibri consolidati.
La stessa Cina ha sperimentato una nuova ondata di violenza senza precedenti nelle regioni a maggioranza islamica, in particolare nello Xinjiang.
Pakistan e India si rimbalzano l’accusa a vicenda, e se è vero che il Pakistan ha una lunga tradizione di commistione tra servizi segreti e terrorismo, come palesato dal caso bin Laden, è al tempo stesso vero che numerosi sforzi per chiudere questo capitolo nero della storia del paese sono stati fatti da quando le relazioni con la Cina sono state intensificate, sfociando nel corridoio economico.
Gli attentati sono stati volutamente spettacolari e ad alto potenziale mortifero, avevano lo scopo di incutere timore, ai turisti, ai cristiani, ma soprattutto agli investitori. Pesa sul piccolo paese anche il macigno di un apparato di sicurezza disorganizzato: le autorità erano a conoscenza dei piani di NTJ da inizio aprile, avvertite sia da “fonti estere” che interne, ma nonostante questo nessuna misura di sicurezza ulteriore è stata implementata per il giorno di Pasqua.
Mentre, secondo noi, è abbastanza evidente che l’obiettivo dei terroristi, motivati senza dubbio dall’odio religioso ma al servizio di agende straniere, sia la Cina, non è da sottovalutare l’idea di un secondo obiettivo: ossia il Vaticano. Papa Francesco, un conservatore riformatore che pur non cambiando di una virgola la dottrina della chiesa cattolica è oggetto di una campagna denigratoria costante messa in moto dalla propaganda dell’internazionale populista con sede a Washington, ha infatti fatto della normalizzazione delle relazioni con la Cina uno dei più punti focali del suo papato.
Dopo l’accordo sulla nomina dei vescovi e l’annuncio di una futura visita in Corea del Nord, la diplomazia vaticana ha lavorato arduamente per convincere l’attuale esecutivo italiano ad entrare a far parte della nuova via della seta. Perché? Il Vaticano ha compreso che l’Occidente si è incamminato verso un modello di società post-cristiano e che il futuro delle relazioni internazionali, e della stessa chiesa cattolica, è altrove: in America Latina, in Africa, in Asia.
Il Vaticano ha puntato tutto sulla Cina, che entro il 2050 si trasformerà nel paese con più cristiani del mondo per via di dinamiche demografiche e conversioni, prevedendo che la “bomba cristiana” pronta ad esplodere nei prossimi anni cambierà inevitabilmente l’approccio orwelliano del Partito Comunista Cinese verso la religione, il cristianesimo in particolare.
Terrorismo islamista? Sì, gli attentatori senza dubbio hanno ucciso nel nome della fede, uccidendo perché cristiani, perché occidentali, ma al tempo stesso occorre inquadrare l’intero contesto, tenendo bene in mente che al terrorismo senza sponsor politici e che non segue agende di potenze straniere credono solo i profani delle relazioni internazionali.
I lavori per la costruzione della nuova via della seta procedono a ritmi record, ma tra il sogno di Xi Jinping e la realtà pesa l’incognita dell’impero americano e dei suoi alleati, paesi a maggioranza islamica in primis. Non sappiamo se la nuova via della seta verrà effettivamente realizzata, ma sappiamo una cosa: aspettatevi tanto sangue su di essa.
Emanuel Pietrobon, Higher School of Economics, Saint Petersburg, Russia