Autore: Emanuela Irace – 28/09/2020
L’arte della mediazione della cancelliera Angela Merkel assomiglia sempre più alla formula adottata da Metternich dopo il 1909 e copiata pari pari da Stresemann all’indomani della Prima guerra Mondiale. Ossia: “Giocare d’astuzia” – in tedesco finassieren – per sottrarsi alle grandi discussioni sfruttando le ingenuità altrui. È il sistema inaugurato a Locarno nel 1925 che sembra indirizzare ancora oggi tattica e strategia della Germania in Europa, e non solo.
Rigore e compromesso, sempre senza fughe in avanti, per affrontare dossier complessi come quelli all’ordine del giorno della riunione straordinaria del Consiglio d’Europa del 1 e 2 ottobre. Menu ricco, anche troppo, per i Ministri degli esteri dei 27. Si va dal digitale alle politiche industriali passando per Mercato unico e rapporti con Cina, Mali e Bielorussia.
Ma è sul Mediterraneo orientale che si focalizzano do ut des, scambi under the table, e alleanze di comodo esterne all’Unione. Terreno intricato e scivoloso con al centro la grande contesa che oppone Europa a Turchia. Nello specifico Francia a Turchia. Entrambe alleate Nato. Entrambe forti di una idea imperiale che amplifica la percezione di sé, proiettandole in una dimensione geopolitica antagonista fino allo scontro. Con appendice nell’Egeo e il fantasma della questione Greco-Turca, memoria che non si cancella. La guerra (1919-22) e l’occupazione turca di Smirne. Lo scambio di popolazioni. L’annientamento mirato dei Greci del Ponto. Una ferita difficile da sanare.
A complicare il quadro recente, si aggiunge l’espansionismo turco in Siria e Libia. Le relazioni con l’Egitto e Russia. Il traffico di armi in Tripolitania e Cirenaica. I giacimenti di gas, e la contesa, di sapor post-coloniale che vuole la revisione dei confini degli stati interni all’area del Mediterraneo orientale. Confini marittimi, questa volta, legati all’ampiezza delle rispettive piattaforme continentali e alle reciproche ZES (Zone Economiche Esclusive) per l’accesso allo sfruttamento delle risorse sottomarine.
Miliardi di metri cubi di combustibili fossili, soggetti ai limiti di CO2. Limiti che fanno lievitare i prezzi, a fronte di una domanda in discesa. Ma la geopolitica del gas è nell’appetito di tutti anche a trivelle ferme. Anche per la gestione delle infrastrutture. Tra le conseguenze di tanto attivismo resta la militarizzazione del Mediterraneo, iniziata a giugno, e la formazione di pericolose coalizioni di gravità crescente a seconda dei dossier. Meno appariscente, ma più pericolosa, la competizione tra Israele e Turchia. Grandi vecchi.
Teste di serie di opposte ideologie: ebraismo e fratellanza musulmana. Due modelli statuali di laicità spuria, che nel dossier gas del levante, devono spartirsi l’amicizia del comune alleato Trump. Anche lui nel ruolo di competitor per la lobby dello shale gas che vede nell’Europa un cliente a cui il gas naturale del Mediterraneo potrebbe sottrarre importanti quote di mercato.
Per la Turchia, forte di una relazione apparentemente solida con l’Iran, la neutralità degli Stati Uniti in una eventuale crisi con Israele nascerebbe sotto l’ombrello Nato che, del recente attivismo militare turco non ha voluto discutere perché, come dichiarato dalla sede dell’alleanza atlantica di Bruxelles, almeno fino al 18 settembre scorso, come riportato dall’agenzia Reuters: “è un tema troppo sensibile e divisivo”. Dichiarazione lasciapassare all’espansionismo turco che tra Mediterraneo, Egeo e presenza politico-diplomatica nei Balcani si consolida su più teatri.
Un capitolo delicato per la Germania che deve mediare con Grecia e Cipro su sanzioni che l’Europa vorrebbe imporre alla Bielorussia e che le due rifiutano di votare, se non vengono ratificate le penalità contro la Turchia accusata da più parti di trivellazioni abusive. Oltre che di violazione dell’embargo sulle armi in Libia. Una grande contesa, quella tra Europa e Turchia su cui si innesta l’ennesima querelle con la Russia. È infatti sulla Bielorussia che Berlino si impone in Europa, dichiarando illegittima l’elezione del filo russo Lukashenko. Una partita al rilancio per la Merkel che certifica sempre a Berlino, le analisi sull’avvelenamento di Aleksej Navalny, l’attivista russo che si oppone a Putin.
In questa compagine Washington, a inizio 2019, ha imposto sanzioni alle imprese impegnate nella costruzione dell’ultimo tratto del Nord Stream 2, il gasdotto che bypassa l’Europa dell’est portando il gas dal Baltico direttamente in Germania. Una autostrada energetica che non collima con gli interessi della lobby dello shale gas made in Usa. Ma con quelli dell’Europa forse si.
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