Autore: Giuseppe Gagliano – 14/0//2019
Una delle caratteristiche fondamentali della riflessione strategica contemporanea è la consapevolezza che, per interpretare in modo adeguato la conflittualità e la multidimensionalità della realtà contemporanea, è indispensabile servirsi di un modello di interpretazione globale nel quale tutti i fenomeni politici di uno Stato divengono significativi e interagiscono divenendo utili, ai fini della prassi politica, anche per destabilizzare l’avversario.
Proprio per questo valgono ben poco le teorizzazioni specialistiche che tendono a suddividere la geopolitica attuale in diverse branche specifiche come la geoeconomia o la geostrategia che ci saranno fino a quando sarà nell’interesse degli stati e delle oligarchie multinazionali porre l’enfasi su questo particolare fenomeno. Non bisogna mai dimenticare infatti, in un’ottica squisitamente realistica, la storicità sia della strategia che della geopolitica come di qualunque altro fenomeno politico, sociale ed economico.
Allo stesso modo l’attenzione che è andata via via crescendo in questi ultimi anni della geopolitica in relazione alle materie prime durerà fino a quando ci saranno paesi che intenderanno scuotere la finanza mondiale alzando e abbassando in modo artificiale il prezzo di un bene divenuto raro e quindi strategico.
Ciò che stiamo cercando di sottolineare è che un approccio strategico efficace deve sostanzialmente essere olistico. Non bisogna infatti mai dimenticare che ogni strategia è il risultato di una convergenza contemporanea di azioni intraprese a tutti livelli dello scontro ed è anzi proprio l’interazione di questi livelli a costituire il centro di gravità della strategia attuale. Proprio per questa ragione sia il pensiero strategico che quello geopolitico devono avere una dimensione multilaterale .
Infatti ogni innovazione sociale, politica o tecnologica che si verifica può determinare una nuova prospettiva strategica. Proprio per questa ragione la geopolitica e la strategia stanno tra loro come il libro e l’indice: la geopolitica è l’intelligenza dei rapporti di forza tra le nazioni e la definizione delle condizioni oggettive sulle quali questi rapporti si fondano ed essa indica inoltre i principi base utili per la trasformazione di questi rapporti di forza.
Tuttavia oggi i decisori appaiono spesso ignari della sapienza storica, strategica, psicologica e militare necessaria per interpretare la complessità della realtà contemporanea. Il loro approccio è finalizzato a mantenere il potere, ad essere rieletti e sono attenti alle strategie di mercato dei mass-media come se un progetto politico fosse una merce piuttosto che un processo.
Se in linea di massima le scuole di geopolitica classica condividono la riproposizione della vecchia divisione tra strategia britannica di controllo del mare -e quindi di accerchiamento delle masse continentali, al fine di ostacolare un altrui potere egemonico stabile- e strategia continentale francese o tedesca interessata alle aree marittime -come proiezione del controllo delle corrispondenti aree continentali- è arduo negare che sono individuabili dei limiti intrinseci nella riflessione Geopolitica. Per esempio il modello teorico di Spykmann si scontra con la realtà prodotta dalla fine della seconda guerra mondiale: la potenza terrestre che ritiene la Hearthland eurasiatica si affaccia sulla scena politica anche come potenza marittima; è ciò che accade alla fine gli anni 70 e che modifica completamente sia il pensiero strategico sovietico che la risposta occidentale. Inoltre sia Spykmann che MacKinder non riescono nemmeno a teorizzare modelli di uso dello spazio che possano cambiare la forma, logica interna del potere militare esercitato su un’aria: l’arma atomica, il potere aereo, la guerra missilistica e la strategie indiretta. Tutti questi elementi determinano una modifica dei fattori di potenza in cui tempo e spazio si scindono e subiscono forti differenziazioni qualitative. Tuttavia non c’è dubbio che la teoria di Spykmann abbia trovato conferma nella azione di penetrazione degli Stati Uniti nella Rimland dell’URSS e ai bordi della massa eurasiatica, azione che ha permesso di contenere l’avanzata della potenza continentale sovietica.
Ad ogni modo i due studiosi di geopolitica non hanno mai analizzato nei particolari la geopolitica del Mediterraneo e del Medioriente.
Proprio per superare questi limiti lo studioso Weigert ha analizzato il valore geopolitico di quelli che ha chiamato i mari marginali che sono particolarmente importanti per chi vuole detenere e raggiungere il dominio marittimo: lo stretto di Gibilterra e il Canale di Suez, lo stretto di Bab-el -Mandeb e quelli di Malacca, Sunda, Singapore, Lonbok, Maccasar e Torres. Nè minore importanza hanno le porte di accesso ai mari chiusi i passaggi per il Mar Baltico, gli stretti turchi, gli stretti di Hormuz all’entrata del Golfo Persico e le varie entrate al Mare del Giappone(stretti di Tartaria, Tsugaru, Tsushima, Shiminoseki). D’altra parte il controllo del mare non solo permette di avere il libero uso degli stessi ma anche di interdirlo al proprio avversario.
Ritornando ai fattori di debolezza intrinseca dell’approccio geopolitico ai problemi strategici -soprattutto se si interpreta lo spazio in termini hausferiani- uno di questi consiste nel fatto che una situazione geografica non è un fattore immutabile. Infatti ci sono sempre dei mezzi per correggere, compensare o addirittura rovesciare una situazione geografica favorevole o sfavorevole. L’uso dell’arma atomica e delle strategie indirette non ha forse aumentato la portata delle armi fino a permettere di raggiungere qualsiasi punto del pianeta a partire da un qualsiasi altro?
Marco Giaconi,Spazio e potere. Modelli di geopolitica, FrancoAngeli,2003