Autore: Pietro Minei – 10/07/2022
L’art. 1 della L.238/2016 ovvero il Testo Unico della vite e del vino recita così: “Il vino, prodotto della vite, la vite ed i territori viticoli, quali frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituiscono un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale.”
Uno dei principali obiettivi della vitivinicoltura moderna, consiste nella produzione di vini di qualità e nello stesso tempo soddisfare le esigenze di un mercato che richiede prodotti sempre più innovativi e di “tendenza”. Tuttavia a prescindere dalle esigenze del mercato, la scelta degli obiettivi enologici richiede necessariamente la conoscenza di tutti i fattori del “sistema vitivinicolo”, vale a dire quelli che stanno alla base della qualità del buon vino, ovvero: – clima (soprattutto come quest’ultimo, in considerazione dei cambiamenti climatici in atto, influenzi le singole fasi fenologiche della vite); – Terreno (dal colore alla tessitura); – Entità biologica del nesto o portainnesto relazionato al terreno. Al centro di questo sistema prevale sempre e comunque l’azione dell’uomo che svolge il ruolo di regista nella gestione delle relazioni che intercorrono tra questi tre fattori. La vitivinicoltura è una delle pratiche agricole più antiche e nobili della storia dell’umanità ed anche quella che più di ogni altra ha influenzato gli usi e costumi delle società di ogni tempo. Oggi si potrebbe parlare della geopolitica del vino, poiché il dominio culturale ed economico del “prodotto vino”, soprattutto nell’area mediterranea, è conteso da diversi paesi e regioni. Nella nostra penisola la viticoltura destinata alla vinificazione è stata introdotta dai fenici e dai greci già a partire dal VII a.c. e molto probabilmente i primi approdi furono la Calabria la Puglia e la Sicilia, non a caso nell’Odissea si deduce che nel dialogo tra Ulisse e il Ciclope, quest’ultimo rammenti che nell’Isola l’uva esiste, si mangia, ma non viene vinificata: <<Dammene ancora, sii buono, e poi dimmi il tuo nome, subito adesso, perché ti faccia un dono ospitale e tu ti rallegri. Anche ai Ciclopi la terra che genera frumento, produce vino nei grappoli e a loro li gonfia la pioggia di Zeus. Ma questo è un fiume d’ambrosia e di nettare>> . Furono i romani nei secoli successivi ad “istituzionalizzare” il vino, rendendolo elemento imprescindibile delle cerimonie, dei riti sacri e comunque della vita di ogni giorno. La diffusione della vite in Europa e nel mondo avviene proprio in concomitanza della massima espansione dell’Impero Romano. I romani infatti dimostrarono che la vite può essere coltivata ovunque, ma a condizione che ne si rispetti il “genius loci” ovverol’essenza spirituale che collega la dimensione materiale a quella mistica di un determinato luogo. Una sorta di magia che riunisce in se il paesaggio, la cultura e la natura in tutta la sua espressione. Oggi in un’ottica più moderna e razionale possiamo affermare che conoscendo i tre fattori base della vitivinicoltura (clima, terreno e vitigno) possiamo determinarne il “genius loci”. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un drastico cambiamento del clima e dell’ambiente. Le ondate di calore sono diventate più intense, più lunghe e più frequenti. Si sente sempre più spesso parlare di desertificazione e salificazione del suolo. Seguono lunghissimi periodi di siccità, interrotti da brevi ed intensi nubifragi che molto spesso provocano danni devastanti al territorio. Piogge quasi sempre in difetto e temperature elevate che stressano le piante compromettendone la fotosintesi e di conseguenza tutte le fasi fenologiche. La vite come ogni altro essere vivente, risente gli effetti di questi eventi. I vitigni danno prodotti di qualità solo se coltivati in terreni idonei e se si rispettano le peculiarità del luogo. Oggi è di importanza strategica il ricorso alle “mappe vocazionali” della vitivinicoltura (rapportate ai disciplinari di produzione ed ai regolamenti dell’ UE).
Fig . 1 Mappa vocazionale Franciacorta
I degustatori esperti amano spesso parlare di terroir o meglio “teru̯àr” (per intendere un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico ed identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità). L’Area Mediterranea è uno spazio di confine anche per la biodiversità dove le specie vivono in un delicato equilibrio biologico costantemente minacciato ed a rischio di estinzione. L’Italia è la prima produttrice mondiale di vino, con circa 40 mln di Hl ed un indotto di 13 mld di euro. La viticoltura italiana riesce paradossalmente a stravolgere le regole dell’economia globale proprio perché si presenta al mercato come espressione della varietà, della bellezza, della peculiarità e tradizione dei suoi territori. A livello nazionale, il vino si ripropone annualmente come locomotiva dell’export. I vitigni che oggi prevalgono nelle denominazioni d’origine si riducono però a poche varietà, rispetto al patrimonio biodiverso custodito nel nostro paese, confermando la particolare attenzione che la vitivinicoltura moderna sta riservando al vitigno rispetto ai principali fattori che lo condizionano (clima, terreno, fisiologia della pianta). Il rischio che la nostra viticoltura potrebbe correre è la massificazione del prodotto vino. L’area Mediterranea è un patrimonio di biodiversità e pochi vitigni non sono sicuramente espressione del genius loci.
Isola Maddalena “Paesaggio protetto per la cultura del vigneto”, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO Ph dal web
Secondo Index 2021 del Global Wine Brand Power (il nuovo indice che misura il potere e la reputazione dei brand nel mondo del vino), nella Top 15 dei vini più consumati al mondo, mancherebbero i vini italiani. Il dato non è sorprendente, perché il nostro paese con piccole porzioni di territorio, si trova a competere contro grandissimi colossi della produzione come Yellow Tail, il cileno Casillero del Diablo, l’altro australiano Jacob’s Creek che producono in territori geograficamente smisurati. Tuttavia rimane un dato preoccupante, perché molti altri paesi favoriti dal riscaldamento globale, stanno entrando nei mercati internazionali, vedi Messico, Russia, Canada, Svezia. Oggi bere vino è anche un atto culturale. I consumatori sono sempre più consapevoli e sensibili. L’Italia non può competere quantitativamente, ma può proporsi qualitativamente. Per questo motivo nelle scelte enologiche comunitarie, bisognerebbe far prevalere il “genius loci” ovvero: la scelta della terra, la conservazione del patrimonio biodiverso, la salute dell’ambiente, la bellezza e la cultura del territorio. “Vino vendibili suspensa hedera non est opus”, Il buon vino non ha bisogno di insegna.
Pietro Minei – Analista di Vision & Global Trends
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