Autore: Lisa Caramanno – 13/03/2020
Vision Global Trends ha intervistato il Senatore Stanislao Di Piazza[1], Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con il quale si è parlato di finanza etica, della Riforma del Terzo settore, dei limiti del capitalismo e di reddito di cittadinanza.
Secondo l’esponente di governo del Movimento Cinque Stelle stiamo vivendo un periodo di trasformazione epocale in cui bisogna portare avanti politiche capaci di riporre la persona al centro della società e dell’economia, e non lasciare indietro i più fragili e i più deboli.
D. Sottosegretario, vista la sua vicinanza ai temi del mondo no profit e le sue competenze in materia, se lei dovesse dare una definizione di ‘Finanza etica’ (due termini, in apparenza, inconciliabili) che definizione darebbe?
Per prima cosa parlerei di finanza senza aggiungere l’aggettivo ‘etica’, perché la finanza in quanto tale è etica. La finanza nasce per aiutare le imprese, le persone in difficoltà. Purtroppo, in questi ultimi 40 anni, la finanza si è trasformata in finanza speculativa. Dovremmo invertire la tendenza.
D. Banche etiche, finanza etica…Quali soluzioni e sinergie possono derivare da una corretta relazione fra la risorsa denaro e la mission sociale?
In effetti il denaro se usato bene è una risorsa, perché aiuta chi ne ha bisogno. La risorsa denaro deve essere utilizzata per creare le condizioni dirette a migliorare la qualità della vita delle imprese e delle persone. Bisogna portare avanti una politica capace di far sì che gli istituti finanziari possano gestire bene la raccolta del risparmio finalizzata ai prestiti nei confronti delle persone e delle famiglie.
D. Lo svilupparsi della finanza etica in Italia, sul finire degli anni 70’, prende le mosse dall’esigenza di richiamare le logiche finanziarie all’interesse collettivo, di riscoprire la vocazione a proteggere i bisogni comuni e di ricostituire un sistema di garanzie sociali.
Cosa pensa al riguardo?
A partire dagli anni 70’, la finanza etica è nata a fronte di una settore finanziario sempre più speculativo. E visto che la distanza tra stato e mercato cominciava a essere sempre più ampia, emerse un impegno da parte della società civile finalizzato a sopperire a questa mancanza, a questa assenza di welfare da parte dello stato. Da questa necessità nacquero infatti molte leggi come quella sul volontariato e sulle cooperative sociali, infrastrutturando sul piano legislativo quello che oggi chiamiamo Terzo Settore.
D. Sembra essersi passati quindi da un Welfare State a un Welfare Society. In un tale contesto il Terzo Settore e le organizzazioni no profit si sono trovate di fatto a gestire molti di quei servizi pubblici che prima erano gestiti direttamente dallo Stato. In che modo, secondo lei, il Terzo Settore, il No Profit, possono diventare motore di una nuova politica di welfare?
Anche attraverso la normazione, come la Riforma del Terzo Settore il cui compito era, ed è, quello di ordinare tutta la disciplina di questo ambito.
D. A tal proposito, a che punto è l’attuazione e l’applicazione del processo di riforma normativa del Terzo Settore?
In tempi brevi si ultimerà la questione relativa al Registro nazionale del terzo settore, utile per regolare il ruolo degli enti del terzo settore affinché possano essere di ausilio quale ‘terza colonna’ accanto allo Stato.
D. A gennaio del 2012 lei ha organizzato assieme al Prof. Stefano Zamagni e al Prof. Luigino Bruni, alla Banca Etica, a diversi sindaci, ad Avola, in provincia di Siracusa, il Primo laboratorio nazionale di economia civile. Al riguardo, in diverse occasioni, lei ha affermato che l’impresa sociale è un nuovo modello di economia. Ci può spiegare meglio?
Visto che ci si è resi conto che il modello del capitalismo esasperato è, profondamente, in crisi e sta creando enormi diseguaglianze, lo Stato insieme alla società civile devono porsi l’obiettivo di lavorare per costruire nuovi paradigmi di economia, che sappiano costruire coesione sociale a partire da i più deboli e i più fragili. Ci si deve, quindi, impegnare per realizzare un nuovo modello economico che si può definire ‘terza colonna’ capace di porsi accanto al modello capitalista affinché possa generare nuova economia e sviluppo per diminuire le diseguaglianze.
Oggi di fronte a una cultura eccessivamente liberista – e ne vediamo tutte le conseguenze, da ultimo anche col discorso del ‘coronavirus’, in merito al quale la nostra preoccupazione è che siano i più deboli a esserne maggiormente penalizzati – è importante rispolverare il valore della fraternità laica cioè quella della comunità.
Ci si deve impegnare, il più possibile, per rafforzare il modello economico dell’economia civile in cui ritorni la persona al centro dell’economia. Ciò si può fare attraverso la riscoperta del ruolo della comunità e, in particolare, per mezzo della figura giuridica dell‘impresa di comunità che, di fatto, dovrà essere una costola dell’impresa sociale. E, in tal senso, è stato presentato, a dicembre, un Progetto di legge , ed è stato aperto un tavolo di confronto al Ministero del Lavoro per discuterne insieme agli stakeholders.
D. Un progetto di legge a sua firma?
È un progetto di legge a firma di quattro senatori dei quattro partiti della maggioranza di governo, fortemente trasversale, sul quale si lavorerà con competenza e serietà, anche grazie alla professionalità degli stakeholders. È, infatti, importante che si possa costruire veramente questa ‘terza colonna’. L’impresa di comunità è lo strumento che deve condurre all’economia civile, quella di Antonio Genovesi – economista napoletano del XVIII – che pone la persona al centro dell’economia.
D. Il modello economico della massimizzazione del profitto capitalista sembra, dunque, essere fallito?
Non è fallito, va trasformato. Stiamo vivendo un periodo di trasformazione epocale dall’età contemporanea a un’altra era che verrà definita, molto probabilmente, dai nostri posteri. Per cui sarà necessario che, in questo momento di trasformazione, non vengano sacrificati i più fragili, i più deboli.
D. In questo, la comunità deve riscoprire il suo ruolo fondamentale comunicando con lo stato, con le imprese…anche come argine ai populismi…
Si, assolutamente. La globalizzazione ha fatto sì che venissero privilegiati i grandi mercati, le grandi imprese, le grandi banche. E il piccolo ne è risultato sacrificato. Questo è stato l’errore. La dimensione locale va, invece, tutelata. Bisogna ritornare a valorizzare le piccole e medie imprese.
D. L’ultimo film “Sorry, we missed you” del regista Ken Loach ci propone una riflessione partecipe e accurata sulla realtà dei precari’ dei più deboli, dei nuovi schiavi. Una realtà frutto dei limiti di un modello economico dominante che ci avrebbe portato al paradosso di una ricerca della ricchezza economica senza nazioni e nazioni senza ricchezza e, soprattutto, senza qualità del lavoro. Come Sottosegretario al Ministero del Lavoro, lei cosa ne pensa? come ritiene si possa invertire questa rotta che pare essere ‘di regresso e non di progresso’?
Negli anni 50’ esistevano culture di impresa alternative ai valori dell’economia classica: un grande imprenditore come Adriano Olivetti è stato uno dei portatori di valori nuovi nella riflessione del mondo produttivo che aveva cominciato a parlare di un’economia diversa, di un’economia del benessere e non dell’economia del capitale. Ivrea era una comunità ed era, veramente, l’esempio tipico di impresa di comunità. Era un modo di fare impresa teso alla valorizzazione della comunità, degli impiegati e delle eccellenze italiane. Oggi invece molte grandi multinazionali – a seguito di normali circostanze quali concorrenza o altri fattori esterni – effettuano licenziamenti o delocalizzazioni allorquando riscontrano una riduzione degli utili. È su questo che si deve necessariamente intervenire. Ed è in tale direzione che va, ad esempio, il ‘Decreto Dignità’ emanato dal primo Governo Conte.
E poi i redditi degli amministratori delegati delle multinazionali dovrebbero essere più proporzionati agli stipendi dei propri dipendenti. Negli anni 50’, ad esempio l’amministratore delegato della FIAT non prendeva più di 20 volte rispetto all’ultimo operaio. Si deve invertire la rotta.
D. Lei, per anni, ha portato avanti diversi progetti di microcredito. Nell’ottica che microcredito e finanza etica siano strumenti per lo sviluppo e l’inclusione, si potevano sfruttare le potenzialità del microcredito per configurare meglio il reddito di cittadinanza in termini di job creation? Poteva e potrebbe essere un modo per rispondere alle critiche secondo le quali la misura del reddito di cittadinanza sarebbe solo una misura di carattere assistenziale?
Il microcredito è uno strumento che può avere una finalità sociale o imprenditoriale, in quanto da un lato può essere una misura di assistenza diretta ad aiutare chi non è in condizioni di poter vivere, e dall’altro può rappresentare misura di politica attiva del lavoro finalizzata al reinserimento lavorativo, ad esempio di chi beneficia del Reddito di cittadinanza. Va implementato quest’ultimo aspetto, e al riguardo si sta già lavorando con l’avvio e la messa in atto della cd. fase due dell’attuazione del Rdc. Occorrerà fare delle modifiche, ma il Reddito di cittadinanza non può essere cancellato. È una misura essenziale per dare dignità e diritti di base a tutti coloro che vivono situazioni di difficoltà. Non si può andare indietro, bisogna andare avanti.
[1] Stanislao Di Piazza, Nato a Palermo, il 15 luglio del 1957.
Laureato in Giurisprudenza, nel 1997 è nominato direttore di filiale della Banca Popolare Sant’Angelo dove ha dato vita a un progetto di microcredito a favore degli immigrati residenti a Palermo.
Successivamente nel 2006 è stato assunto come direttore della prima filiale di Banca Etica in Sicilia, ruolo che ha svolto fino al 2012, quando è stato nominato referente del progetto Jeremie Sicilia, occupandosi di finanziamenti chirografari a favore delle piccole e medie imprese sociali e di economia civile, utilizzando fondi dell’UE.
Dal 1° luglio 2015 a gennaio 2018 è stato referente per il Sud di Etica SGR società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica.
A gennaio del 2012 ha organizzato – assieme ai professori Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti e Luigino Bruni, alla Banca Etica, a diversi sindaci, giornalisti e movimenti giovanili – ad Avola in provincia di Siracusa, il primo Laboratorio Nazionale di Economia Civile al quale hanno aderito circa 250 partecipanti.
Dal giugno 2015 a luglio 2017 è stato presidente della MECC (Microcredito per l’Economia Civile e di Comunione) primo operatore di microcredito in Italia, ai sensi dell’articolo 111 del T.U.B.
Eletto il 4 marzo 2018 al Senato per i Cinque Stelle, è stato vicepresidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato e Segretario della Commissione Diritti Umani.