Autore: Zornitsa Ilieva – 01/11/2020
Sullo sfondo delle minacce provenienti da oltreoceano nel voler imporre sanzioni a Nord Stream-2 e a Turkish Stream, come pure nei riguardi della situazione infuocata del conflitto del Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian, sulla stampa occidentale sono diventati più frequenti le opinioni sulle azioni che potrebbero essere intraprese per fare dell’Italia un centro del gas europeo.
È indiscutibile che i conflitti diventino più frequenti quando di mezzo vi siano gasdotti, oleodotti e ambizioni di hub energetici, nell’interesse di alcuni, o in conflitto con gli interessi di altri attori geopolitici.
Il conflitto tra Yerevan e Baku è sorto, infatti, non lontano da un gasdotto (il TANAP – Trans Anatolian Pipeline ndr.), su cui alcuni fanno affidamento, mentre altri lo vedono come un competitore sleale.
A tal proposito, il 12 ottobre, è stato annunciato che la costruzione del gasdotto TAP (Trans-Adriatic Pipeline) in costruzione da quasi 5 anni, costato almeno 4,5 miliardi di euro, è praticamente terminata [1]. Il suo definitivo compimento e il collaudo sono previsti per metà novembre, data in cui saranno anche completate le attività di collegamento con i sistemi di trasporto del gas naturale Snam Rete Gas in Puglia e nell’Italia orientale. Questo gasdotto è parte integrante del progetto “Corridoio Meridionale del Gas” [2].
La sua capacità iniziale sarà di 10 miliardi di metri cubi di gas per anno, ma con la possibilità, se necessario, di raddoppiare. L’Italia ne riceverà 8 miliardi.
Nel 2017, infatti, Snam ha presentato la sua ambiziosa idea di fare dell’Italia un hub del gas per l’Europa [3]. Non si può negare che Roma abbia un certo vantaggio nel realizzare questa idea: ha un’idonea posizione geografica e un buon mercato per il gas naturale. Inoltre, il progetto prevede la possibilità d’inversione dei flussi di gas attraverso tre interconnettori: sul Passo Gries al confine tra Italia e Svizzera, a Tarvisio al confine con l’Austria e a Gorizia al confine con la Slovenia. Si stima che questo progetto garantirà una capacità di 40 milioni di metri cubi di gas, che consentirà ai paesi europei di utilizzare attivamente gli impianti italiani di stoccaggio di GNL (gas naturale compresso) [4].
Snam che dichiara una capacità di stoccaggio di 18,6 miliardi di metri cubi di gas tra Italia e Francia, rappresenta il 17% della capacità totale di gas immagazzinata nell’UE. In Italia Snam, tramite una società affiliata (Stogit ndr. [5]), controlla 9 impianti di stoccaggio gas con una capacità complessiva di oltre 16 miliardi di metri cubi di gas pari al 96% del mercato italiano. L’ambizione è di espandere i collegamenti in direzione di Gran Bretagna e Paesi Bassi. Da un punto di vista economico ciò sarebbe vantaggioso per l’Europa, a tal riguardo questo progetto avrebbe un importante ruolo da svolgere.
Tuttavia, nonostante l’entrata in servizio del TAP, in questa fase l’Italia non dispone delle risorse necessarie per garantire il raggiungimento della capacità prevista per questo possibile hub del gas.
Gli 8 miliardi di metri cubi di gas promessi all’Italia sono meno competitivi se messi a confronto dei sistemi di distribuzione del gas della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi. Nonostante il TAP prospetti di aumentare almeno due volte la capacità del gasdotto, la domanda fondamentale è da dove arriverà tutto questo gas e come verrà garantito il suo trasporto in sicurezza. La fonte primaria di gas per il TAP (tramite il “Corridoio Meridionale del Gas” ndr.) è il giacimento azero di Shah Deniz sul Mar Caspio, le cui riserve ammonterebbero a 1,2 trilioni di metri cubi di gas. Ma rimangono dubbi sulla sicurezza e l’affidabilità dell’Azerbaigian per una tal fornitura.
Ci sono anche posizioni favorevoli sul fatto che Baku sia un partner affidabile per i progetti energetici italiani. È noto che, per cautela, “tutte le uova non vengono mai messe nello stesso paniere”, ancor più quando si tratta di progetti così grandi per un valore di miliardi di euro. Tuttavia: incidenti, instabilità politica, o conflitti armati locali hanno sempre un impatto sul processo decisionale e sulla realizzazione dei progetti.
In tal caso, i sogni sui dividendi svaniscono: ciò che sta accadendo attorno al Nagorno-Karabakh, ad esempio, non fa altro che aggiungere benzina sul fuoco di tali paure. Basti ricordare l’incidente avvenuto nel 2017 all’hub del gas austriaco a Baumgarten, che costrinse l’Italia a dichiarare lo stato di emergenza nel settore del gas. Inoltre, la cooperazione con la Russia, o l’Iran, in questo senso, è stata percepita come un rischio per l’Italia, dato il noto stato d’animo dell’UE e degli Stati Uniti.
Tal situazione ha portato alla decisione di avviare negoziati con il Turkmenistan, che rappresenta il 4° paese al mondo in termini di riserve di gas naturale. Roma ritiene che il Turkmenistan possa offrire una gamma incredibilmente ampia non solo di dividendi economici, ma anche politici; un’opportunità, inoltre, per non veder fallire l’efficacia del TAP, in discussione da 30 anni.
I preparativi per i negoziati sono iniziati nel 2018 con l’accettazione della Convenzione sullo status del Mar Caspio, ma un ostacolo è diventato chiaro: la posizione del Turkmenistan sulle esportazioni di gas dai confini del paese.
La questione è chi controllerà il gas attraverso i gasdotti e con una garanzia concordata su un ruolo di primo piano – la proprietà. Le leggi del Turkmenistan non consentono in questa fase la conclusione di contratti PSAs (Production Sharing Agreements) con società straniere sia nel sito di estrazione, sia nelle parti continentali del paese. Si tratta quindi di come accedere a questi giacimenti.
La situazione economica in Turkmenistan è deplorevole: cercano di diversificare le loro esportazioni di gas, ma temono in tal senso un diktat europeo. Il presidente Gurbanguly Berdimuhamedow ha posto le sue condizioni. Oltre a ciò sta già scricchiolando, il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) [6], che Ashgabat sta costruendo senza investimenti europei.
Si sta quindi delineando una situazione favorevole per le aziende italiane che col pretesto del sostegno finanziario per la costruzione del un gasdotto transcaspico, potrebbero realizzare il sogno di raggiungere i giacimenti di gas del Caspio. Ma ciò potrebbe provocare una risposta da parte di Mosca, che considera i paesi dell’ex-Unione Sovietica le sue zone d’influenza. Non c’è dubbio che la Russia risponderà non solo attraverso la sua influenza in Turkmenistan, ma anche sui paesi dei giacimenti di gas del bacino del Caspio.
Da questi fattori dipende la disposizione del mercato internazionale del gas e, di conseguenza, i suoi ricavi economici, nel quadro dell’attuale situazione in condizioni di crisi economica.
Nemmeno si può ignorare il fatto che in Turkmenistan esistano perplessità sul suo sistema giudiziario, nonché sul ruolo essenziale del presidente Berdimuhamedow, il quale, in ultima istanza, può prendere qualsiasi decisione nel paese.
In una situazione del genere, come faranno le aziende straniere a trovare un modo per raggiungere i propri obiettivi? Anche la posizione che prenderà Mosca non sarà questione di poco conto; soprattutto nelle condizioni di conflitto riacceso tra Armenia e Azerbaigian, dove il delicato equilibrio di mantenere una posizione che non avvantaggi nessuno dei due paesi è oggetto, oggi, di ampie discussioni a Mosca.
Inevitabilmente, tutto ciò richiederà un cambiamento nelle politiche e nelle strategie delle zone di sicurezza, come del resto lo sono tutti i paesi al confine con la Russia. Questo è direttamente correlato alle questioni dei gasdotti, dove non solo l’Italia, ma anche la Bulgaria rappresentano pedine più o meno importanti nelle battaglie geopolitiche per l’influenza e la supremazia nel contesto energetico.
[1] https://www.tap-ag.com/news/news-stories/trans-adriatic-pipeline-is-complete Il TAP, collegandosi con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) alla frontiera greco-turca, attraversa il nord della Grecia, l’Albania e il Mare Adriatico prima di approdare nel sud Italia, in Puglia, dove si connette alla rete di distribuzione italiana del gas.
[2] Con un percorso di 3.500 chilometri, l’attraversamento di sette Paesi, il concorso di una decina di colossi dell’energia e di molteplici progetti energetici, il Corridoio Meridionale del Gas rappresenta una delle più complesse catene del valore mai realizzate, per un investimento complessivo di circa 40 miliardi di dollari. Prevede:
- seconda fase di sviluppo del giacimento di Shah Deniz – scavo dei pozzi e produzione del gas offshore nel Mar Caspio,
- espansione dell’impianto di lavorazione del Terminale di Sangachal sulla costa caspica, in Azerbaigian,
- espansione della rete italiana di trasmissione del gas,
- possibili ulteriori connessioni a reti del gas in Europa occidentale, centrale e sudorientale,
- tre gasdotti: 1) South Caucasus Pipeline (SCPX) – Azerbaigian, Georgia, 2)Trans Anatolian Pipeline (TANAP) – Turchia, 3)Trans Adriatic Pipeline (TAP) – Grecia, Albania, Italia. Tap-AG
[4] https://www.arera.it/allegati/operatori/gas/pds/2016SRG.pdf
[6] http://isgs.com.pk/projects/tapi/
Fonte: 24May.BG
Tradotto e redatto con l’aggiunta di note da Eliseo Bertolasi
Zornitsa Ilieva, giornalista e analista. Specializzata in Medio Oriente,Turchia, Balcani, con priorità per la Macedonia. Capo esperto presso il Comitato per la politica estera, la difesa e la sicurezza della 39a e 40a Assemblea nazionale. Editorialista del quotidiano Duma, sezione Globes.