Author:Lisa Caramanno – 29/01/2019
“Disuguaglianza, insicurezza economica, esclusione economica, stanno facendo notizia. La rabbia è alta, la retorica populista è in aumento. Cosa si può fare? Quali strategie adottare? Queste sono le domande impegnative prese dal nuovo rapporto dell’OCSE sulla strategia per l’occupazione. Spero che il rapporto inneschi delle discussioni molto serie.” Queste sono le parole di Olivier Blanchard, Senior Fellow al Peterson Institute, Emeritus Professor al MIT ed ex Chief Economist dell’FMI, a proposito dell’ultimo rapporto OCSE sul lavoro.
L’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sulla strategia per l’occupazione dal titolo “Good Jobs for All in a Changing World of Work” presentato a Parigi il 4 dicembre scorso, si propone di fornire una risposta omnicomprensiva e lungimirante ai cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, attraverso la formulazione di dettagliate raccomandazioni politiche nei confronti dei decisori politici in materia di politiche del lavoro.
Secondo l’analisi proposta dall’OCSE, le priorità di tali politiche del lavoro devono essere la forte creazione di posti di lavoro, la promozione della qualità e dell’inclusività del lavoro, con particolare attenzione all’importanza della resilienza e dell’adattabilità dei soggetti protagonisti a un mercato del lavoro in continua evoluzione. Quest’ultimo interessato dai cambiamenti demografici, dall’innovazione digitale e dalla globalizzazione: la metà di tutti i posti di lavoro sono ad alto rischio di automazione o, probabilmente, vedranno cambiamenti significativi. Tutto ciò deve fare i conti con una bassa crescita della produttività e dei salari, l’erosione del sistema di protezione sociale e dei diritti dei lavoratori, oltre che con le diseguaglianze in termini di reddito.
In questo contesto “i paesi devono intensificare i loro sforzi per adattare la politica e le istituzioni alle sfide di un mondo del lavoro in rapida evoluzione“, ha affermato il segretario generale dell’OCSE Angel Gurría, presentando il rapporto a Parigi con il ministro francese del lavoro Muriel Pénicaud.
Da quanto emerge da tale rapporto, le politiche di incremento della flessibilità del mercato del lavoro seguite finora sono state necessarie ma non sufficienti per conseguire, contemporaneamente, ottimi risultati in termini di quantità, qualità dei posti di lavoro e inclusività.
In merito, è intervenuto anche Jason Furman, professore alla Harvard Kennedy School ed ex presidente del Consiglio dei consiglieri economici del Presidente Obama, secondo il quale: “L’ultima strategia per l’occupazione dell’OCSE è un aggiornamento intelligente e ragionevole e un ripensamento su come i paesi dovrebbero promuovere l’obiettivo della prosperità condivisa “.
Dall’analisi comparativa delle politiche del lavoro dei vari paesi fatta dell’OCSE, emerge che i paesi, come Danimarca, Islanda, Norvegia e Svezia, che promuovono una governance del lavoro finalizzata all’aumento della qualità e dell’inclusività stanno conseguendo risultati migliori di quelli che, invece, hanno investito sulla flessibilità del mercato. Quest’ultima, infatti, è stata la risposta strategica che si incominciò a dare, a partire dagli anni 90’, al fenomeno della diffusa disoccupazione, seguita nei successivi anni da una serie di politiche di diversa commistione per promuovere la piena occupazione.
Secondo le linee guida tracciate per orientare l’azione dei poteri pubblici, innanzitutto si deve agire per creare un’occupazione di alta qualità. Quest’ultima richiede un quadro stabile di politiche macroeconomiche capace di raggiungere un giusto equilibrio tra flessibilità dell’occupazione e stabilità, in un sistema che sappia coniugare crescita e competenze secondo le esigenze e le evoluzioni del mercato. Un’occupazione che sia di alta qualità non può prescindere dal ruolo fondamentale svolto da un sistema d’istruzione e di formazione efficace in grado di dotare i lavoratori delle competenze necessarie ai datori di lavoro, e capace di offrire loro opportunità e incentivi lungo tutto il percorso della loro vita lavorativa, visto l’innalzamento dell’età lavorativa.
Secondo le direttrici della nuova Strategia per l’occupazione dell’OCSE, al fine di affrontare con spirito proattivo le sfide future, è necessario spostare l’accento da politiche correttive a politiche preventive in grado incrementare sia l’efficienza che l’equità attraverso interventi sulle regole per la determinazione degli stipendi e sul sistema fiscale-previdenziale tali da rendere il lavoro maggiormente remunerativo e accrescere il sistema di protezione dei lavoratori.
Bisogna, infatti, individuare gli strumenti appropriati per evitare l’esclusione dei lavoratori dal mercato del lavoro assicurando maggiore uguaglianza nell’accesso alle opportunità lavorative, e proteggere gli individui dai rischi del mercato del lavoro in un mondo in cui il ricorso a forme flessibili di lavoro potrebbe aumentare. Sono in aumento varie forme di lavoro non standard, compresi i lavori temporanei, il lavoro autonomo e quello di gruppo.
Per far fronte ai rischi e alle conseguenze di questi cambiamenti, è necessario che tutti possano avere accesso a una protezione sociale sempre più universale, e con delle tutele normative di base, a prescindere dal tipo di contratto o di occupazione. In tutto ciò, le parti sociali devono svolgere un ruolo chiave nel promuovere l’inclusività, la protezione dei lavoratori e la creazione di efficaci sistemi di contrattazione collettiva.
Tali strategie riformistiche non possono prescindere dalle specificità politiche ed economiche di ogni Paese, ovvero dal suo assetto istituzionale, dalle preferenze della comunità, dalle capacità delle amministrazioni pubbliche oltre che dal capitale sociale.
Quindi, secondo il rapporto OCSE, si deve incentivare un mercato del lavoro più inclusivo, nel quale gli stessi ricavi possano essere divisi tra imprese e lavoratori, ove si possa conseguire una più elevata occupazione femminile con conseguente riduzione delle disparità di genere e del rischio di povertà.
In questo quadro, l’intervento pubblico rimane necessario in quanto urge l’esigenza di nuove leggi sul lavoro e riforme complementari per ammortizzare i costi a breve termine.
Dati OCSE: la situazione italiana
Dall’analisi dei dati riportati nel documento dell’Organizzazione internazionale, nei paesi dell’area OCSE, le condizioni del mercato del lavoro sono in miglioramento: nel primo trimestre del 2018 il tasso di occupazione è di circa 2 punti percentuali al di sopra il livello pre-crisi, e le previsioni sono per un ulteriore miglioramento nel 2018 e nel 2019, nonostante la crescita dei salari reali su base annua (pari all’0.6% nel quarto trimestre 2017) risulti bassa: quasi un punto percentuale sotto il trend pre-crisi per livelli simili di disoccupazione.
Riguardo al mercato del lavoro italiano, la situazione risulta migliorata negli ultimi anni, anche se più lentamente rispetto ad altri paesi: una tendenza positiva che, secondo le proiezioni OCSE, dovrebbe continuare anche per i prossimi due anni.
Il tasso di disoccupazione in Italia è sceso all’11,2% nell’aprile 2018, ma rimane il terzo più alto tra i paesi dell’OCSE. I salari reali sono scesi dell’1,1% tra il quarto trimestre 2016 e il quarto trimestre 2017, rispetto a una media OCSE del +0,6% nello stesso periodo. Le motivazioni del perché i salari reali scendano invece di risalire con la ripresa economica, vanno ricercate – secondo l’OCSE – nella stagnazione della produttività e nell’esistenza di una percentuale significativa di lavoratori a basso reddito con contratti temporanei e/o part-time involontario.
La nuova Strategia OCSE per l’occupazione analizza, altresì, i relativi punti di forza e le debolezze dei vari paesi, tra cui l’Italia, sulla base dei seguenti indicatori della performance del mercato del lavoro: a) quantità del lavoro (occupazione, disoccupazione e sottoccupazione), b) qualità del lavoro (retribuzione, protezione nel mercato del lavoro, stress sul lavoro) e c) inclusione (reddito, parità di genere, accesso all’occupazione per i gruppi potenzialmente svantaggiati).
Con riguardo ai tre indicatori che misurano la quantità del lavoro, l’Italia si posizione tra i peggiori paesi con tassi di occupazione bassi, soprattutto tra le donne.
Se, invece, si considerano gli indicatori di qualità del lavoro, cominciando dalla qualità del reddito da lavoro, misurato come il reddito da lavoro corretto per il livello di disuguaglianza, questo è superiore alla media OCSE. Tuttavia, l’altro indicatore di qualità relativo al livello d’insicurezza nel mercato del lavoro (ossia la probabilità di perdere il posto e rimanere senza reddito) risulta il quarto più elevato tra i paesi OCSE, ciò dipende da un elevato rischio di disoccupazione oltre che da bassi sussidi di disoccupazione. D’altronde, a pesare sul livello di insicurezza del mercato del lavoro vi sono i contratti a termine che rappresentano la maggioranza dei nuovi contratti di lavoro. Venendo all’ultimo indicatore di qualità, il livello di stress da lavoro questo si mostra in linea con la media OCSE: il 34% dei lavoratori dicono di lavorare in posti con un elevato carico di lavoro e poche risorse per farvi fronte.
L’ultimo indicatore, quello dell’inclusività del mercato del lavoro, questo, in Italia, è piuttosto debole. La povertà relativa è aumentata. Il 15% delle persone in età lavorativa vive in famiglie con un reddito inferiore al 50% del reddito medio, una percentuale nettamente maggiore rispetto alla media OCSE. A ciò si aggiunge che una crescente percentuale dei lavoratori è a rischio di povertà. Il divario tra i redditi da lavoro di genere è superiore alla media OCSE, e il divario occupazionale di genere è anch’esso tra i più alti dei paesi OCSE.
Si ravvisa, altresì, una mancanza di politiche sociali in diversi ambiti come le strutture per l’infanzia, l’integrazione degli immigrati e delle persone con disabilità: un divario che è il terzo maggiore tra i paesi OCSE.
La performance dell’Italia negli indicatori chiave di resilienza e adattabilità del mercato del lavoro risulta al di sotto della media OCSE, da qui gli scarsi risultati negli indicatori di quantità, qualità e inclusività del mercato del lavoro.
A tal proposito, nel rapporto si rammenta, invece, come la resilienza e l’adattabilità del mercato del lavoro siano importanti per assorbire e adattarsi agli shock economici per sfruttare così al meglio le nuove opportunità. La produttività del lavoro dovrebbe essere una pre-condizione fondamentale per una crescita sostenuta dell’economia, dell’occupazione e dei salari al fine di migliorare il benessere economico nel lungo periodo. Le competenze, inoltre, sono cruciali per accrescere la produttività dei lavoratori e per un aumento dei salari.
Tutti questi fattori messi assieme devono mostrare la capacità del paese nel rispondere ai cambiamenti del mercato del lavoro. In Italia, come si è visto già, il tasso di disoccupazione è diminuito negli ultimi anni, ma rimane ancora al di sopra della media OCSE, a causa anche della lunga e profonda crisi economica. Nel periodo che va dagli anni 2010-2016 la produttività lavorativa italiana è diminuita, raggiungendo il penultimo posto tra i paesi OCSE dopo la Grecia. Un calo della produttività che risulta essere dipeso da una sostanziale diminuzione negli investimenti privati durante la crisi, e da vari limiti posti al dinamismo delle imprese.
Nel documento OCSE, si passa al vaglio anche il sistema di formazione e di istruzione obbligatoria italiana, sottolineando come le competenze degli studenti siano inferiori alla media OCSE, a causa dei persistenti problemi di lunga durata in tale ambito, nonché dell’insufficiente finanziamento del sistema scolastico obbligatorio. Tutto ciò si riflette sulla mancata corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e quelle richieste per il lavoro che si presenta molto elevata. A dimostrazione che, per far ripartire l’occupazione, oltre a un maggiore numero di investimenti sia pubblici che privati, servirebbero anche maggiori risorse sia per la formazione che per la riqualificazione professionale in maniera tale da facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro una volta terminato il percorso di studio, attraverso una maggiore interazione tra la scuola e il mondo delle imprese.
Infine, secondo l’OCSE, un altro degli aspetti cruciali è rappresentato dall’assistenza immediata nei confronti dei lavoratori che hanno perso il lavoro per reinserirli nuovamente e in tempi rapidi nel mercato del lavoro. Perché questo avvenga, sono necessarie politiche efficaci e in grado di minimizzare il tempo di ricerca di un altro lavoro. E, in alcuni paesi, grazie a questo tipo di politiche, i lavoratori riescono a trovare un nuovo posto di lavoro molto più rapidamente che in Italia. Nonostante la creazione, nel nostro paese, dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, l’ANPAL, l’OCSE suggerisce all’Italia di continuare a investire nelle politiche attive. È necessario sviluppare una strategia d’intervento precoce per favorire il rapido reinserimento lavorativo. Per fare ciò, occorre fornire ai centri per l’impiego personale adeguato e sviluppare strumenti di profilazione di chi cerca un lavoro, in stretto coordinamento con le regioni.