Autore: Virginia Morena Gatto – 14/06/2024
200 pagine e trent’anni di storia fondamentali per capire la Russia di oggi. Nel suo ultimo libro “Da Gorbačëv a Putin. Geopolitica della Russia” (Sandro Teti Editore, 2023 – Roma), Aleksej Pushkov – politico, storico e giornalista russo, presidente della Commissione Esteri alla Duma di Stato dal 2011 al 2016 – ripercorre e approfondisce le ultime tre presidenze dell’Unione Sovietica prima e della Federazione russa poi, restituendo un quadro lucido e preciso della Russia contemporanea. L’enfasi posta sui rapporti tra Mosca e il blocco transatlantico rende questo volume essenziale per una più completa comprensione degli eventi susseguitisi a seguito del 24 febbraio 2022. Una comprensione che non può prescindere dalla prospettiva russa su uno sconvolgimento dello scacchiere internazionale che in pochi, in Occidente, avevano previsto. Puskov, attivo politicamente sin dalla presidenza Gorbačëv, accompagna il lettore attraverso organi istituzionali e personaggi di spicco, corroborando i suoi racconti con aneddoti inediti da lui vissuti in prima persona. La sua esperienza diretta della politica russa e dei vari retroscena costituisce un evidente valore aggiunto che facilita la comprensione di dinamiche spesso poco approfondite – se non mal rappresentate – negli ambienti occidentali.
Il nome del primo capitolo, “Gorbačëv: l’inizio della fine” è indicativo del sentimento russo nei confronti dell’uomo della perestroika. Puskov racchiude in questo e nel secondo capitolo una serie di considerazioni che ben spiegano la diffidenza e l’ostilità di buona parte dei russi verso il presidente che in Occidente viene ricordato per essere stato insignito del Nobel per la pace. “Per esempio, Gorbačëv, che qui da noi è considerato un benefattore, gli han dato anche il Nobel, in Russia se si fa vedere per strada lo tirano sotto con la macchina”[1] sono le parole di Paolo Nori, esperto di letteratura russa che ha vissuto a Mosca durante i primissimi anni 90. Leggendo parole e racconti di Puskov, queste due contrastanti visioni diventano chiare: l’autore parla di Gorbačëv come di un uomo dal limitato orizzonte intellettuale, senza la preparazione e le competenze necessarie per attuare un processo di riforma così necessario per l’Unione Sovietica di allora. Affidargli la massima carica del partito fu “un gravissimo errore” (pag. 21). A Gorbačëv mancava una concezione precisa della direzione da far prendere al Paese: diede il via a un enorme processo di rinnovamento che, non disponendo di una strategia solida in grado di identificare obiettivi e mezzi, condusse, per l’appunto, “alla fine”. In politica estera, il presidente non si dimostrò in grado di salvaguardare gli interessi nazionali di Mosca, nonché la sua sicurezza strategica: le posizioni conquistate a livello internazionale vennero, di fatto, perdute. Non riuscendo a liberarsi della dimensione ideologica e a separarla da quella geopolitica, Gorbačëv divenne succube delle controparti occidentali: durante le trattative con Baker a proposito della riunificazione tedesca, Gorbačëv arrivò a cedere la DDR senza chiedere nulla in cambio, anzi declinando l’offerta di garanzie scritte e formalizzate formulata dal segretario di stato statunitense: garanzie riguardanti un non allargamento della NATO oltre i confini della Germania occidentale. Di questo celebre “accordo tra gentiluomini” si è sentito molto parlare all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina e la mancanza di un documento ufficiale ha certamente costituito una spina nel fianco per la Russia di oggi, al contempo dando un amplissimo margine di manovra alla Casabianca e ai vertici della NATO. L’atteggiamento arrendevole e accondiscendente di Gorbačëv è, per l’autore, la prova di una profonda inadeguatezza della dirigenza sovietica, ma soprattutto di un’inconsapevolezza dell’enorme ridimensionamento strategico cui sarebbe andata incontro l’URSS. La volontà del presidente del partito di voler porre fine allo scontro con l’Occidente si tradusse inevitabilmente al suo piegarsi alla volontà delle controparti occidentali. Una situazione che fece molto comodo agli Stati Uniti, che sfruttarono questo momento di debolezza per porre le basi per un nuovo ordine mondiale, dando il via al momento unipolare.
Tuttavia Washington non fu la sola ad approfittare di questo momento: all’interno della classe dirigente sovietica si stava delineando un’opposizione sotto forma di “alternativa democratica” il cui principio cardine consisteva nello smantellare tutto ciò che era “sovietico”. Emerse quindi la figura di Boris El’cin, eletto Presidente della Federazione Russa nel 1991. Puskov parla di El’cin come di una figura instabile e impreparata, disposta a tutto pur di mettersi in mostra. La nuova dottrina militare russa prevedeva una serie di ampie concessioni agli Stati Uniti in cambio dell’ingresso nell’Alleanza occidentale. Una speranza che non vide mai la luce: in tutta risposta, Washington aumentò il proprio vantaggio strategico dispiegando le truppe NATO nei Paesi dell’Europa orientale. Questa dinamica suscitò delle profonde perplessità nell’opinione pubblica, nettamente contraria alla sottomissione all’Occidente; il malcontento maturò in un moto di reazione interno nell’ottobre del 1993 cui El’cin rispose bombardando il Parlamento.
L’epoca liberale cui Boris El’cin diede il via, caratterizzata dall’ideologia anticomunista, da un ingente numero di privatizzazioni e dall’avvento degli oligarchi portò l’economia russa al collasso con conseguenze sociali disastrose. La crisi finanziaria del 1998 segnò l’apice di questo momento ponendo le basi per la fine di El’cin. Contemporaneamente, il bisogno di pragmatismo, concretezza, e di ritorno alla salvaguardia degli interessi nazionali si faceva sempre più sentire tra gli elettori delusi e schiacciati dalle condizioni in cui riversava la Russia di allora. L’inesorabile espansione a est della NATO pose definitivamente fine alle illusioni russe di poter venire accolti nel sistema occidentale e quindi di un ipotetico partenariato tra Mosca e Washington. Il Paese aveva ora bisogno di risollevarsi dalla crisi in cui era sprofondato in modo da opporsi all’egemonia americana, ma non aveva ancora i mezzi per farlo. L’arrivo di Vladimir Putin, prima come primo ministro e poi come presidente, segnò una svolta in tal senso. Già direttore dell’FSB, Putin aveva una visione chiara, slegata da contaminazioni ideologiche e, soprattutto, era determinato a difendere gli interessi nazionali russi. Il suo obiettivo principale era il ripristino della posizione di prestigio di Mosca a livello internazionale e, per fare ciò, era necessario ridefinire le relazioni con l’Occidente: venne reso chiaro sin da subito che la Russia non avrebbe più accettato qualsiasi posizione di subordinazione, così come qualsiasi accordo che non avrebbe tenuto conto del suo interesse nazionale. Dal canto loro, gli Stati Uniti capirono immediatamente che l’avvento di Vladimir Putin rappresentava un segno di forte discontinuità rispetto a El’cin e a come erano abituati a considerare la Federazione Russa durante gli anni ’90. Puskov traccia in maniera precisa i punti salienti che hanno segnato l’evoluzione della presidenza di Vladimir Putin: a partire dal celebre discorso di Monaco, alla conseguente guerra in Georgia e al tentativo di distensione (la cosiddetta politica del “reset”) sotto la presidenza di Barack Obama – conclusosi con l’attacco alla Libia del 2011. Passando anche per la Siria, l’acuirsi delle tensioni tra la Federazione Russa e l’Occidente va tracciato in concomitanza con il colpo di stato in Ucraina del 2014, all’indomani del quale maturarono, da una parte, il dilagarsi di un sentimento russofobo in tutto l’Occidente, con l’applicazione delle prime sanzioni a Mosca, dall’altra una maggiore assertività del Cremlino che Puskov definisce come “una scelta obbligata” per muoversi in un clima di confronto aperto. Approfondire questo delicato periodo storico è necessario per capire i risultati mediocri delle massicce sanzioni applicate nel contesto dell’invasione russa del 24 febbraio e, più in generale, dell’atteggiamento di Mosca degli ultimissimi anni: almeno dal 2014 è in atto una grande manovra diplomatica volta a non subire le conseguenze l’isolamento decretato Washington e da Bruxelles, con il fine ultimo di porre le basi per un mondo multipolare. È in questo contesto che va collocata l’“amicizia senza confini” tra Mosca e Pechino e il rinvigorimento delle loro relazioni commerciali, militari ed energetiche. A questo proposito, ci sarebbe da chiedersi se alla Casabianca fa più paura l’asse russo-tedesco (che a lungo ha cercato di scardinare e, ad oggi, sembra esserci riuscita) o un asse autoritario russo-cinese.
Dal testo di Pushkov trasuda una profonda passione per la politica e una grande capacità nel saper riportare e raccontare fatti, ma soprattutto nell’avvicinare il lettore alla mentalità russa, che non può essere compresa applicando la lente occidentale. Un testo quantomai necessario alla luce degli sviluppi più recenti della crisi russo-ucraina.
[1] Paolo Nori, La grande Russia portatile. Viaggio sentimentale nel paese degli zar dei soviet, dei nuovi ricchi e nella più bella letteratura del mondo, 2018, Salani
Aleksej Puškov
Da Gorbačëv a Putin. Geopolitica della Russia
prefazione: Paolo De Nardis
traduzione: Giordano Merlicco
prezzo: 18,00 €
pagine: 232
ISBN: 9788831492102
Dalla fine dell’Urss al grave deterioramento dei rapporti con l’Occidente. Trent’anni di politica del Cremlino descritti da un protagonista d’eccezione. Un testo fondamentale per comprendere le dinamiche che hanno portato all’attuale drammatica crisi internazionale.
IL LIBRO: Sin dalla caduta dell’Unione Sovietica, Mosca ambisce a riaffermarsi come protagonista sullo scacchiere globale. In questo trentennio, tuttavia, le sue posizioni sono sempre state poco note e spesso distorte in Occidente. Il testo di Aleksej Puškov colma quindi un vuoto nel panorama editoriale italiano, consentendo al lettore di conoscere, senza mediazioni, il punto di vista russo su questioni cruciali come allargamento della Nato, Siria, questione ucraina, politiche commerciali e dossier energetico. Puškov è un testimone d’eccezione della politica russa, sin da quando, giovanissimo, iniziò a lavorare nello staff del presidente Gorbačëv. Politico influente, con molte legislature alle spalle nei due rami del Parlamento, è uno dei maggiori esperti russi di affari internazionali. Con un’analisi tanto chiara quanto profonda e rigorosa, l’autore offre uno spaccato dell’evoluzione della società e della classe politica del suo paese: dalla caduta dell’Urss ai drammatici anni Novanta di El’cin, dall’ascesa di Putin fino al recente deterioramento dei rapporti con l’Occidente, poi sfociato nella sanguinosa guerra in Ucraina.
Aleksej Puškov (Pechino, 1954) Importante politico russo, storico e pubblicista. Autore di numerosi saggi storici e politici, editorialista di diverse testate internazionali, è stato a lungo presidente della Commissione esteri della Duma (2011-16). Attualmente è senatore e presidente della Commissione comunicazione del Consiglio della Federazione Russa.
Paolo De Nardis Presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Ordinario di Sociologia presso la Sapienza Università di Roma e direttore della Rivista trimestrale di Scienza dell’amministrazione. È stato Preside della Facoltà di Sociologia della Sapienza Università di Roma e cofondatore della Scuola Superiore dell’Interno.