Autore: Andrej V. Kortunov – 04/12/2019
A Caterina la Grande viene attribuito il merito di aver affermato che l’unico modo per proteggere i confini dell’Impero russo consisterebbe in quello di espanderli continuamente. Questa logica è in qualche misura applicabile all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), che ha intrapreso un percorso di allargamento geografico fin dai primi giorni della sua esistenza. Sette round di allargamento nell’arco dei successivi 70 anni hanno portato la NATO da 12 a 29 paesi. E, da quel che appare, l’espansione non sembra ancora arrestarsi.
È tutt’altro che ovvio che esiste una correlazione lineare tra il numero di membri della NATO e l’efficacia militare e/o politica dell’organizzazione. L’allargamento geografico ha un costo: l’accumulo di contraddizioni interne; l’emergere di tensioni tra membri con interessi divergenti; e occasionali conflitti all’interno del gruppo. Un esempio recente di tali conflitti è fornito dall’acquisto da parte della Turchia di sistemi d’arma antiaerei russi Triumph S-400 e i falliti tentativi degli Stati Uniti per impedirne la conclusione.
Il sesto e il settimo round dell’allargamento della NATO nella regione -cronicamente instabile ed esplosiva – dei Balcani occidentali (Albania, Croazia e Montenegro) hanno creato più problemi che nuove importanti opportunità per l’organizzazione. Il previsto ottavo round di allargamento (al fine di includere la Macedonia del Nord e la Bosnia ed Erzegovina) solleva anche una serie di domande sulla capacità dei nuovi membri di rafforzare il potenziale militare dell’organizzazione e aumentarne la sicurezza generale. La possibile adesione di Cipro, per non parlare di quelle della Georgia e dell’Ucraina, pone altrettante domande.
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Andrej V. Kortunov – Direttore generale del Consiglio russo per gli affari internazionali – Russian International Affairs Council (RIAC), Mosca, Russia