Autore: Emanuela Irace – 26/02/2019
Intervento di Emanuela Irace al Seminario: Iran Patrimonio dell’Umanità, le relazioni culturali tra Italia e Iran.
Grazie per l’invito, sono onorata di trovarmi qui, insieme a eminenti relatori dai quali durante queste prime ore di seminario ho imparato veramente molto… io volerò più basso e sarò breve. Nel mio intervento parlerò di come attraverso i media l’opinione pubblica italiana si sia fatta, per la maggior parte, una opinione culturale, sociale e politica troppo spesso distorta dai cliché.
Quando si parla dell’Iran non si può quindi prescindere dall’uso strumentale degli stereotipi e dalla tipizzazione politicamente negativa che ne viene data. Prima però di addentrarmi in questo campo, più vicino alla mia esperienza diretta, vorrei dedicare qualche riflessione a due condizioni che dal mio punto di vista caratterizzano più di altre lo Stato iraniano: la posizione geografica e la dimensione culturale, ossia storica e religiosa.
Il ruolo della Persia e dell’Impero persiano hanno rappresentato e rappresentano oggi, nella contemporaneità di una geopolitica sempre più aggressiva e incapace di mediazioni, un elemento “disturbatore” per l’enorme potenziale che ha l’Iran, affacciata su opposti agglomerati continentali e in posizione strategica tra Oriente ed Europa.
L’Iran viene considerato un elemento “disturbatore” per le potenzialità demografiche, economiche, militari e naturalmente per la ricchezza energetica dei suoi giacimenti di idrocarburi. Elemento disturbatore per il peso rappresentato dalla sua storia millenaria e dalla dimensione imperiale che ne ha delineato il passato.
Zoroastro, Mithra, la gnosi, e poi l’Islam nelle sue varie declinazioni, Alì, la scuola Sciita duodecimana sono alcuni dei concetti sapienziali e religiosi che scandiscono il procedere di una civiltà che, anche nella sua dimensione statuale più recente, ha saputo conservare autonomia e forte identità. Un caso raro, non essendo parte delle configurazioni nazionali che in quella porzione di mondo del Vicino Oriente, sono state tracciate artificialmente e a tavolino dai vincitori della Prima Guerra Mondiale.
Troppe potenzialità dunque per questo pivot geopolitico incastonato dall’Occidente in quella che poteva diventare la cosiddetta “Trappola di Tucidide”, quando cioè una potenza emergente minaccia di prendere il posto di quella dominante, che inevitabilmente le dichiara guerra. Condizione che ha dato luogo ad anni di politiche preventive che hanno impedito all’Iran di diventare reale potenza egemone nell’area. (si allude al passo di Tucidide: in La Guerra del Peloponneso, I,23, Bur, Rizzoli, 2007).
Una guerra non convenzionale, dunque, combattuta dagli Usa con le armi della propaganda, del Regime change, dell’embrago e delle operazioni segrete made in Cia, come l’operazione Ajax del 1953, contro Mossadeq e la nazionalizzazione del petrolio, lo scandalo Irangate…
E negli scorsi anni la campagna contro il diritto dell’Iran di accedere all’energia nucleare a scopo civile denunciata da Obama nel celebre discorso del Cairo del 2009.
E’attraverso la propaganda che l’immagine veicolata dai media mainstream rimanda a una serie di stereotipi apparentemente sensati e razionali sui quali si fonda lo storytelling contemporaneo, il racconto. Già, perché il problema sono proprio le fonti giornalistiche da cui arrivano le informazioni e come queste comunichino la lettura degli eventi, non soltanto politici, che riguardano l’Iran.
Basta che il flusso di dati sia verosimile o che tra quattro notizie vere se ne ponga una falsa e il gioco è fatto; in pochi se ne accorgono. Il risultato è la distorsione della cronaca, la manipolazione della storia, l’orientamento del consenso.
Oggi si chiamano fake news, un tempo semplicemente bufale. E’interessante il modo con cui avviene un certo tipo di comunicazione, orientata attraverso un racconto ben concatenato in cui vengono menzionati solo alcuni degli eventi che riguardano l’Iran. Mi accorgo sempre più spesso dell’uso strumentale e degli stereotipi usati quando si parla di velo, di ebrei, di terrorismo, di accentramento del potere, di assenza di rappresentanza politica…
Personalmente non condivido diversi aspetti che riguardano la politica dell’Iran.. parafrasando la celebre locuzione latina: <<Amicus Plato, sed magis amica veritas>>. Sono convinta che per informare bisogna specificare, suddividere, contestualizzare. Per esempio, andando in Iran mi son resa conto della diversità tra esterno e interno, tra vita domestica e pubblica. Tra i due differenti registri affrontati con codici di comportamento antitetici. L’uso del velo – del foulard- è paradigmatico di un dettame esteriore che a più a che fare con l’usanza religiosa, con i costumi culturali che con l’emancipazione femminile.
Personalmente sono a favore della libertà di scelta da parte delle donne, come avviene in Libano ed Iraq, ma sono anche consapevole che cultura e identità non sono mai costrutti omogenei ma entità complesse e profondamente articolate. E che è sempre più facile difendere alcuni concetti all’estero piuttosto che nei propri confini.
Tornando alla propaganda, cui avevo accennato, il terrorismo per esempio e la psicosi anti iraniana, vale la pena sottolineare un fatto rivelato da Wikileaks, qualche anno fa, ossia quando il re saudita Abdullah, alludendo a Teheran intimò a Washington di: <<Tagliare la testa del serpente>>.
Tra l’altro, apro una parentesi, il serpente che nell’antica Babilonia era un simbolo positivo -il drago-serpente rappresentava il Dio Marduk, protettore del Re – per i Persiani è invece un potente simbolo del male.
Tagliare la testa al serpente pone in maniera efficace a chi legge da che parte si trovi il nemico. Sappiamo però che sono circa 800 i parenti delle vittime dell’11 settembre che hanno fatto causa di risarcimento contro l’Arabia Saudita, ritenuta responsabile della tragedia in cui persero la vita più di 3000 persone. Quindici attentatori delle Torri Gemelle avevano passaporto saudita. Non erano iraniani.
“Chi controlla l’Eurasia controlla il mondo”, recita la dottrina Brzezinski, e questa strategia di controllo e contenimento fatta propria da Washinghton fin dall’epoca di Kissinger con l’obiettivo di mantenere la supremazia mondiale degli USA, ben si adatta all’Iran, considerata a torto o a ragione troppo autonoma e indipendente.
Una guerra dunque combattuta contro l’Iran con le armi della costruzione mediatica, che ha letteralmente capovolto la realtà dando una idea aggressiva e guerrafondaia di uno Stato che al posto di dichiarare guerre si è sempre dovuto difendere per scacciare gli appetiti delle Potenze.
Ma il terreno più scivoloso è sicuramente quello religioso, dove è totalmente assente l’informazione sulle religioni riconosciute dallo Stato iraniano: Cristiana, Ebraica e Zoroastriana.
Per concludere, due parole sull’organizzazione del potere e sul principio di rappresentanza. C’è una dialettica tra la Guida suprema, chiave di volta della Repubblica islamica e il Presidente Rohani. La gestione quotidiana della politica è appannaggio di un Parlamento e un Presidente eletti dal popolo.
La suddivisione del potere è ripartita tra l’Assemblea degli Esperti che può confermare o meno la Guida nelle sue funzioni e poi c’è il Consiglio dei Guardiani che rappresenta una sorta di Senato, il potere non è un unico blocco, ecco, ogni tanto sui giornali si dovrebbe leggere anche di questo… Grazie.
Sintesi della relazione di Emanuela Irace al Seminario “Iran Patrimonio dell’Umanità. Le relazioni culturali tra Italia e Iran“.
Sala Tatarella – Palazzo dei Gruppi Parlamentari – Camera dei Deputati. Roma, 12 febbraio 2019.
Emanuela Irace, giornalista, inviata in Vicino e Medio Oriente, socio ISMEO