Autore: Adelaide Seminara – 23/04/2021
Il 31 marzo 1964, due settimane dopo che il presidente João Goulart ebbe annunciato la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere, le forze armate brasiliane ricevettero l’ordine di dirigere i carri armati verso Brasilia e Rio de Janeiro, per abbattere un governo che i banchieri e i latifondisti brasiliani e il Dipartimento di Stato di Washington accusavano di essere al servizio del “comunismo internazionale”; il presidente Johnson ordinò di posizionare navi ed aerei lungo la costa del Brasile, per entrare eventualmente in azione a sostegno dei militari golpisti guidati dal maresciallo Castelo Branco.
Il presidente Goulart fuggì in Uruguay (sarebbe poi morto in Argentina in circostanze oscure), mentre i militari avrebbero governato il Paese sudamericano per più d’un ventennio. “Rivoluzione democratica” e “Allineamento automatico” (con gli USA) furono i programmi enunciati dai golpisti, i cosiddetti Gorilla. Più esplicita la frase che venne pronunciata dal nuovo ambasciatore brasiliano a Washington: “Il Brasile ha fatto due guerre come alleato degli Stati Uniti e non se ne è mai pentito. Per questo dico che ciò che è buono per gli Stati Uniti è buono per il Brasile (o que é bom para os EUA, é bom para o Brasil)”. “Pragmatismo responsabile” e “Universalismo” furono le anodine parole d’ordine con cui i generali vollero definire la loro strategia nelle relazioni internazionali.
Tuttavia fra di loro vi fu qualcuno, come “l’algido generale luterano” (p. 208) Ernesto Geisel (1974-1979), che fu in grado di assumere iniziative politiche e diplomatiche audaci e controcorrente. Per rafforzare la posizione del Brasile nell’Atlantico meridionale il generale Geisel riconobbe l’indipendenza dell’Angola, resistendo alle pressioni di Kissinger; interruppe i rapporti con Taiwan, considerando il governo di Pechino come l’unico governo legale in Cina; stipulò con la Germania Federale, nonostante le proteste statunitensi, un accordo per la produzione di energia nucleare; votò a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che condannava il sionismo in quanto “forma di razzismo e di discriminazione razziale”; denunciò l’accordo di assistenza militare che il Brasile aveva firmato con gli USA nel 1952.
Queste iniziative, totalmente eterodosse rispetto alla iniziale ragion d’essere del regime militare brasiliano, secondo Tadolini devono essere ricollegate ad una realtà poco nota, dalla quale trae origine il titolo stesso del libro. Nella Escola Superior de Guerra di Rio de Janeiro, istituzione creata sul modello del National War College, una cerchia selezionata di ufficiali elaborò una teoria che, applicando alla geografia sudamericana concetti geopolitici tradizionalmente riservati al contesto eurasiatico, considerava come chiavi per il dominio del continente lo Heartland amazzonico e il Rimland andino e configurava il destino del Brasile in termini di Brasil Potência. “Nei testi della scuola geopolitica brasiliana (…) era previsto un percorso graduale: nella prima fase il Brasile, prestandosi a difendere una parte dello scacchiere occidentale, avrebbe guadagnato il ruolo di subpotenza. Solo in futuro, un futuro incerto, si sarebbero realizzate le condizioni per diventare una potenza mondiale indipendente” (p. 341). Il futuro di allora è il presente di oggi. Da Geisel siamo arrivati a Bolsonaro…
Luca Tadolini
BRASIL POTÊNCIA. I governi militari del Brasile fra volontà di potenza ed egemonia USA (1964-1985),
Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2020, pp. 352, € 24,00