Autore: Tiziana Ciavardini – 05/03/2019
Il mio intervento oggi è di carattere socioantropologico.
Non vi parlerò delle bellezze naturali dell’Iran e delle meraviglie Unesco che il mondo ci invidia, ma di come queste bellezze troppo spesso siano state oscurate dal giornalismo contemporaneo. Vorrei focalizzare la vostra attenzione proprio su quel giornalismo di massa, che ha gettato fango, e continua, sull’Iran all’insegna del pregiudizio e della manipolazione delle informazioni.
Mi piacerebbe che qualcuno invece ci raccontasse dell’Iran in modo equo, raccontandone le brutture certo che non possiamo negare ci siano, ma al contempo ci narrasse anche di quegli ottanta milioni di abitanti che hanno fatto dell’ospitalità e della gentilezza una caratteristica unica e specifica del proprio paese.
Nell’immaginazione occidentale l’Iran è sempre stato presentato come un paese insicuro e da evitare, caratterizzato da contraddizioni che spesso si traducono in luoghi comuni. Questo atteggiamento di avversione e di paura nei confronti dell’Iran ha creato da tempo una sorta di iranofobia.
La mia esperienza, ultra-decennale di antropologa culturale nella Repubblica Islamica mi ha portato ad avere una visione della cultura e della società contemporanea spesso in contrasto con quelle che sono le notizie, il più delle volte capziose e confuse, dei media occidentali.
Avendo vissuto parte della mia vita in Iran ho sempre pensato ad esempio che il ‘taroof’, la gentilezza o la spiritualità degli iraniani dovessero anch’essi essere considerati quali patrimonio dell’umanità. Ma di questo in Italia, in Europa, in Occidente nessuno ce ne parla mai.
Il più grande reporter del giornalismo moderno Ryszard Kapuscinski, sosteneva
‘I media, anche quando non prestiamo loro fede, anche quando riteniamo che mentano, hanno un’enorme influenza sull’uomo in quanto stabiliscono in sua vece l’elenco degli argomenti, limitando così l’attività di pensiero a una serie di informazioni e opinioni impartite dall’alto”.
Questo è proprio quello che succede all’Iran, spesso ne parla chi non lo conosce, chi non lo ha mai visitato chi non ne ha mai sentito i profumi, visto i colori, chi non si è mai relazionato con gli iraniani. Al contempo però hanno la presunzione di ‘sentirsi’ esperti di Iran, ma prima di poterne parlare, come per ogni altro paese l’Iran va ‘vissuto’.
Tornano utili qui gli insegnamenti di Bronislaw Malinowsky il più grande antropologo di tutti i tempi che spiegava come l’approccio con realtà diverse meriterebbe una sorta di ‘osservazione partecipante’. Un’osservazione sul campo, finalizzata alla valutazione di una realtà diversa dalla propria; senza appunto caricarla di quel latente ‘etnocentrismo’ che faceva della nostra ‘razza’, quella occidentale, una cultura superiore.
L’Iran è u paese, che affonda le sue radici nella culla della civiltà, assorbendo dall’antichissima e regale storia di Persia tradizioni e spiritualità, ma al contempo un paese in continuo fermento e trasformazione, alla ricerca di un suo equilibrio tra un passato importante ed ingombrante ed un futuro tutto da scrivere.
Sul tema dell’Iran, soprattutto negli anni scorsi, il giornalismo di frequente è scivolato dal terreno dell’informazione a quello della propaganda. Troppo spesso il mondo iraniano è stato rappresentato attraverso la comunicazione di pregiudizi o stereotipi derivanti, quando non si tratta di malafede, da una scarsa conoscenza del paese stesso.
Di qui la necessità di riflettere, partendo proprio dai più comuni cliché relativi all’Iran, e su quali siano le ‘colpe’ attribuibili al giornalismo, volte a generare idee precluse e disinformazione nell’opinione pubblica.
Per anni l’Iran è stato associato al male assoluto e per anni anche io, frettolosamente e superficialmente, ho pensato fosse così.
Tutto nasce in realtà dalle attenzioni che l’occidente ebbe nei confronti dell’Iran già dai primi del ‘900 quando furono scoperti importanti giacimenti petroliferi in territorio persiano. La dinastia dei Palavi che regnò dagli anni 20, fu sempre severamente controllata e manovrata dagli anglo americani, che ne rafforzarono il potere per contrastare il Tudeh e le sue idee comuniste, fortemente in ascesa. Per questo i regimi iraniani sostenuti da Washington divennero sempre più autoritari e dittatoriali. Costringendo la maggior parte della popolazione a vivere in miseria usurpandola da ogni potere politico se di stampo social comunista. Tale ideologia si impose sempre più tra la popolazione, in maniera clandestine, a tal punto che gli americani dettero campo libero ad una gerarchia religiosa che avrebbe di sicuro represso la serpeggiante corrente comunista. Così nel 1979 lo Shah Reza Palavi abbandonato dagli americani fu costretto a fuggire e prese il potere il Capo religioso, precedentemente esiliato Ayatollah Ruohollah Khomeini accolto favorevolmente dalla popolazione.
Nonostante alcuni aspetti negativi, il governo degli Ayatollah ebbe anche aspetti positivi, favorendo la modernizzazione del paese, intraprendendo una campagna di alfabetizzazione e migliorando le condizioni economiche di molte famiglie. E anche di questo la stampa mainstream specialmente in questo quarantennale della Rivoluzione Islamica ha pensato bene di non metterlo in risalto.
Alcuni storici definiscono la Rivoluzione Islamica del 1979 come uno degli eventi più significativi della storia degli ultimi 100 anni.
Oggi l’Iran é un paese giovane e colto nel quale una parte della popolazione vorrebbe un assetto diverso, ma al tempo stesso teme il potere angloamericano che ridurrebbe il paese in condizioni semicoloniali. Per questo, a mio avviso, sono state messe in atto una serie di strategie per criminalizzare il paese ed indebolirlo.
Una di queste strategie è proprio la propaganda negativa che in Occidente si fa sull’Iran. Propaganda tanto più efficace quanto è lacunosa ed approssimativa la conoscenza della storia di questa terra. Infatti se è vero che la società iraniana è una società complessa è vero anche che la percezione che se ne ha in occidente è deformata dall’azione dei mezzi di informazione. Questi mezzi finiscono spesso per influenzare in peggio, come già detto, anche quella ricca sfera culturale del paese e non necessariamente quella sociopolitica.
Sistematicamente dagli anni ottanta circa l’Iran è stato oggetto di ‘approssimazione informativa’ in Occidente, se non vogliamo parlare di autentica impreparazione. In effetti, nella disinformazione chi scrive è consapevole di manipolare la realtà ottenendone un vantaggio con lo scopo di occultare una verità scomoda. Così tale verità si sostituisce con un’altra versione dei fatti, falsi o distorti, ma più convenienti per chi scrive.
La manipolazione della realtà è soprattutto un’attività di persuasione che fa leva sui sentimenti, sulle emozioni e sull’ignoranza dei lettori. La disinformazione è efficace soltanto se il lettore crede effettivamente vera la notizia.
La comunicazione e la sua declinazione giornalistica (cartacea, televisiva e oggi internettiana) riescono a indirizzare e modellare l’opinione pubblica secondo dinamiche commerciali prima che squisitamente informative. Il vero obiettivo non è informare ma vendere un prodotto qualsiasi esso sia, come ad esempio una verità più comoda.
E sull’Iran qualche verità che faccia comodo alla propaganda ve ne è sempre una.
Così, durante la mia permanenza in Iran, vivendo giorno dopo giorno la quotidianità ho compreso bene che avrei dovuto interpretare criticamente le informazioni provenienti dall’occidente, stratificate su una verità distorta e spogliarmi del pregiudizio che l’ha accompagnata per disinformazione voluta e malevola, o per pressapochismo superficiale.
Il rischio che all’Italia venga assegnato prima o poi il primato della disinformazione non è poi così lontano. Oggi la disinformazione miete le sue vittime ovunque e spesso ci racconta un mondo diverso da quello in cui viviamo, per cui diventa complesso e difficile interagire. Il mondo dell’informazione ci deve garantire, trasparenza e certezza della notizia evitando così di perdere anche quel poco di credibilità che gli é rimasta. Per questo chi conosce l’Iran dal suo interno ha il dovere, forse più un obbligo morale, di contrastare con ogni mezzo tutte le fake news che vengono appositamente costruite per rendere agli occhi occidentali questo paese come il peggior nemico dell’umanità.
Vorrei infine ringraziare tutti per questa opportunità di poter esprimere liberamente le mie idee su un paese che conosco da anni e che amo forse più del mio di origine.
Il mio augurio nel quarantesimo anniversario della Repubblica Islamica e per tutti coloro che lo abitano, è che la sua forte identità e le sue peculiari caratteristiche che lo hanno reso unico e magnificente, non vadano mai perdute nel tempo di oggi che tutto massifica e livella, ma che, anzi, su tale specificità, possano gettarsi basi nuove e solide. Basi scevre dall’oscurantismo che ha sepolto l’oro della sua plurimillenaria storia. Oggi non desidero per l’Iran l’adattamento pedissequo dei suoi usi, costumi e tradizioni a quelli del più blasonato Occidente, ma vorrei tanto che la nobiltà e la rarità della sua profonda spiritualità potesse ingentilire la freneticità e frettolosità occidentale. Sono sicura che saprà affrontare le sfide alle quali è sottoposto dall’interno e dall’esterno del paese e sono certa che sarà il popolo a dare un impulso vitale per una rinascita di questo meraviglioso Paese all’insegna del rispetto e della sacralità umana, attraverso la quale solo dopo si giunge a quella divina.
Sintesi della relazione di Tiziana Ciavardini al Seminario “Iran Patrimonio dell’Umanità. Le relazioni culturali tra Italia e Iran“.
Sala Tatarella – Palazzo dei Gruppi Parlamentari – Camera dei Deputati. Roma, 12 febbraio 2019.
Tiziana Ciavardini, antropologa culturale, saggista, esperta di Iran, ha recentemente pubblicato Ti racconto l’Iran. I miei anni in terra di Persia (Roma, 2019)