Autore: Giuseppe Gagliano 12/06/2019
Cominciamo la nostra rassegna, che non potrà certo essere esaustiva, dal nostro paese e cioè dall’Italia. Fra le diverse criticità ,sotto il profilo strategico, rilevate da Giaconi, vi sono soprattutto quelle relative al ministero del sviluppo economico, che dimostra di avere una sostanziale incapacità nel pensare una geopolitica autonoma, poi quelle relative ad una carenza di una prospettiva dottrinale e alla mancanza di una riflessione sulla necessità di tutelare il proprio interesse nazionale, nonostante che le forze speciali italiane rappresentino una eccellenza nel panorama militare italiano. Infatti queste sono in grado di operare secondo i criteri della guerra a rete e in rete, guerra nella quale si intrecciano la guerriglia tradizionale e la propaganda.
Questi rilievi critici sono anche rivolti alla strategia della marina militare, poiché l’autore sottolinea opportunamente la assenza di un vero e proprio pensiero strategico che risulti veramente e autenticamente indipendente. Inoltre, l’autore rileva come nei documenti ufficiali si parli certamente di sicurezza del Mediterraneo senza però specificare se si tratti di sicurezza nazionale o invece di sicurezza relativa agli alleati, gli stessi, rileva l’autore non senza ironia, che hanno determinato la destabilizzazione della Libia.
Queste criticità emergono proprio in relazione alla questione libica sulla quale l’autore formula una riflessione profondamente realistica. Infatti, dopo la cattura del generale Al Haftar avvenuta nel 1986, durante la guerra civile nel Ciad pianificata da Gheddafi, gli Stati Uniti libereranno il generale grazie ad un’operazione della CIA. Nel 90’i servizi USA lo trasferiranno nel loro territorio, ,guarda caso a pochi chilometri dal quartier generale della CIA.
Ora, al di là degli evidenti legami che si sono creati tra il generale e Washington, non c’è dubbio che tra i suoi sostenitori ci siano l’ Egitto, la Russia-che intende realizzare una base navale in Cirenaica- e naturalmente la Francia, che intende tutelare anche i suoi interessi petroliferi. Risulta allora evidente che il nostro paese, per aver una possibilità di essere credibile, debba trattare soprattutto con il generale Haftar.
Per quanto riguarda l’intelligence americana Giaconi rileva come la tendenza dell’intelligence vada verso l’intelligenza artificiale e la robotica, che tuttavia rischiano di irrigidire le categorie interpretative della politica e che rischiano, inoltre, di non essere in grado di mettere in relazione le trasformazioni tattiche con quelle strategiche. A tale proposito l’autore rileva, da un lato, come i servizi di sicurezza americani siano frazionati e, dall’ altro lato, come siano esclusivamente tecnologici.
Infine, il rapporto troppo fiduciario tra i funzionari dei servizi e la classe politica certo non giova alla efficienza della Intelligence americana. Un’altra criticità che l’autore rileva è la incapacità, da parte dei servizi segreti americani, di porre in sequenza tutti i dati raccolti dalle varie agenzie, allo scopo di verificarli e di interpretarli nel modo corretto. Questa incapacità è la conseguenza della mancanza di una profonda visione politica e strategica rispetto alla massa dei dati raccolti.
Per quanto riguarda i servizi segreti russi ,Giaconi, dopo aver sottolineato la grande professionalità del servizio segreto militare russo e cioè il Gru ( in relazione per esempio alla penetrazione dello Stato maggiore americano tramite il colonnello Whalen, alle operazioni sotto copertura in Afghanistan e in Cecenia, alla abile gestione del passaggio della Crimea alla federazione russa, all’intervento in Siria che ha permesso alla Russia di rafforzare la sua presenza militare e infine ai successi ottenuti in Ucraina e in Siria) ,l’Autore pone l’enfasi sulla grande professionalità del servizio di intelligence estero o Svr . Complessivamente, grazie all’esperienza maturata tramite il KGB, i servizi segreti russi attuali dimostrano di avere una grande professionalità nelle tecniche di guerra politica; e cioè nel fare in modo che l’avversario venga indotto a commettere errori, e nella capacità di creare agenti di influenza che hanno come loro compito sia quello di creare correnti di opinione sia quello di manipolare le classi dirigenti.
Proprio in relazione al ruolo rilevante rivestito dai servizi segreti russi, particolare attenzione viene riservata dall’autore alla Siria. Mosca, infatti, a causa della guerra in corso in Medio Oriente, ha istituito sia un centro di addestramento in Iraq che un centro di coordinamento tra i vari servizi segreti; e cioè tra quello iracheno, siriano e iraniano volto a uno scambio informativo sul terrorismo islamico. Proprio il servizio segreto militare russo, infatti, coordina in Siria-rileva l’autore-tutti gli attacchi aerei e terrestri contro il califfato e contro i gruppi ribelli anti-Assad. Particolare attenzione viene riservata da Giaconi alla quarta branca del servizio segreto siriano; e cioè a quella politica, che dimostra di essere in grado di controllare in modo capillare i movimenti tellurici della società civile attraverso informatori stabili e/o occasionali. Aver sottovalutato questo aspetto, in relazione ad esempio alle rivolte arabe, ha costituito da parte occidentale un grossolano errore di ingenuità strategica. Nonostante la loro efficienza, non bisogna poi dimenticare che i servizi siriani sono egemonizzato dai clan familiari e religiosi, legati strettamente al regime, e che quindi hanno una struttura sottoposta a un precario equilibrio di potere, che dipende dalla capacità della leadership politica di assicurare ad ogni clan un ruolo di rilievo all’interno dell’organigramma dei servizi segreti.
Rimanendo sempre nell’ambito comunista, l’autore non poteva non riservare uno spazio specifico ai servizi segreti cinesi, la cui professionalità si è dispiegata soprattutto nell’ambito della guerra psicologica. In primo luogo, l’autore sottolinea come il servizio segreto cinese abbia svolto il ruolo di cerniera tra il partito, le forze armate e il sistema economico; in secondo luogo Giaconi rileva come la numerosissima comunità di cinesi emigrati costituisca una rete informativa di fondamentale importanza. In terzo luogo, la suddivisione tra servizi interni ed esterni è del tutto sconosciuta all’intelligence cinese. Con particolare chiarezza, l’autore spiega poi come la riforma del 1983 del Ministero della sicurezza dello Stato consenta una precisa verticalizzazione delle informazioni, che passano dalle mani del segretario del partito comunista cinese, poi in quelle degli esponenti principali del consiglio di Stato, per arrivare alla commissione politica centrale fino a quella di alcuni selezionati dirigenti del partito comunista cinese.
Per quanto riguarda l’Iran, la tendenza principale dell’approccio strategico è relativo alla guerra asimmetrica; e cioè relativo al contrasto degli interessi americani nel Golfo in tutto il Medio Oriente, oltre che in Asia centrale.
In relazione alla strategia Saudita l’autore sottolinea la necessità, da parte di Riad, di controllare la costa verso l’Africa e l’ Egitto, di attuare una costante deterrenza ai danni dell’Iran sciita e, infine, di esercitare un’adeguata pressione su Giordania e Iraq. In definitiva, questa strategia è volta a gestire l’equilibrio petrolifero, estrattivo e politico dei concorrenti del regno all’interno dell’Opec.
Per quanto concerne la Turchia, l’autore sfata alcuni luoghi comuni sottolineando come le forze armate turche siano altamente specializzate e molto qualificate sotto il profilo dell‘addestramento. D’altra parte, i servizi turchi sono un caso unico in ambito Nato, poiché hanno una struttura unificata; e quindi dimostrano di essere altamente efficienti. Sotto il profilo della strategia, la Turchia si è rivelata fondamentale per la Nato sia in relazione all’Urss sia in relazione ai suoi alleati regionali. Quanto agli attuali contrasti con gli Stati Uniti, questi, probabilmente, favoriranno un accordo di natura prevalentemente strategica con la federazione russa per la spartizione turco- slava del grande Medio Oriente.
Veniamo adesso all’Egitto. Non c’è dubbio che le forze armate controllino almeno il 40% della economia nazionale: basti pensare che sei tra le quattordici società che hanno realizzato il raddoppio del Canale di Suez non sono altro che joint-venture tra militari egiziani e imprese estere. Quanto ai servizi di intelligence, questi hanno un doppio funzionamento, perché non solo operano in modo tradizionale nello spionaggio e nel controspionaggio, ma si occupano soprattutto del controllo della società civile. Non a caso, l’ascesa del presidente Nasser fu possibile grazie al ruolo fondamentale svolto dal servizio segreto egiziano. In questo contesto la figura centrale fu certamente rappresentata da Omar Suleiman, capo dei servizi segreti egiziani dal 1993 fino al 2011. Il suo ruolo, a livello politico, fu di fondamentale importanza, poiché fu consigliere molto ascoltato dal presidente Mubarak, oltre ad essere uomo di fiducia dei servizi segreti americani. Non dimentichiamoci che le più importanti operazioni coperte nei confronti dei terroristi islamici furono proprio affidate dalla CIA al servizio segreto egiziano. In relazione al drammatico caso di Giulio Regeni, Giaconi acutamente osserva come il suo omicidio sia stato certamente anche la conseguenza di un conflitto di potere tra il presidente al Sisi e il suo braccio destro El Tohami. Infine, grazie alla profonda influenza che il KGB esercitò su servizi segreti egiziani durante la guerra fredda, l’Intelligence egiziana attribuisce giustamente più importanza al fine politico dell’intelligence che alla dimensione strettamente tecnologica, nonostante il fatto-rileva criticamente l’autore-che la rete dei servizi segreti egiziani sia troppo divisa al suo interno e con numerose sovrapposizioni.
Per quanto concerne l’Algeria, le forze armate algerine sono considerate quelle meglio addestrate in Africa, grazie anche ad una distribuzione razionale delle risorse che ha sempre dimostrato una specifica attenzione nei confronti delle minacce che provengono da sud e da est. Nel complesso, la strategia militare algerina pone l’enfasi sulla dimensione territoriale e in particolare alle zone del sud e dell’est del paese, che rappresentano un pericolo a causa della presenza diffusa del terrorismo islamico.
Marco Giaconi è stato allievo della Scuola Normale Superiore e ricercatore nel Dipartimento di Political and Social Sciences dell’Istituto Universitario Europeo di San Domenico di Fiesole. Ha insegnato all’Università di Zurigo e presso varie Università italiane; ha tenuto corsi presso l’Istituto di Guerra Marittima di Livorno. Ha diretto ricerche presso il Centro Militare di Studi Strategici di Roma e collabora con il Ministero della Difesa. È membro del Comitato Scientifico del CESDIS di Torino, collaboratore dell’International Center for Intelligence Studies di Parigi, è stato membro dell’Istrid e consulente, per la strategia globale, di importanti aziende italiane. È stato collaboratore come docente presso il Master sull’area mediterranea organizzato dall’Università San Pio V di Roma .È attualmente docente allo Iaasp di Milano. Tra i suoi testi: Le Organizzazioni Criminali Internazionali, Aspetti geostrategici e economici, Roma, Franco Angeli Editore, collana CeMiSS, 2001; Spazio e Potere, Modelli di Geopolitica, Franco Angeli, Milano 2003, Maghreb AlAqsa, L’Estremo Occidente, Roma, CeMiSS Papers, 2001; Israele, dottrine e strategie, Firenze ISPEI 1999; Questioni di strategia, Firenze, ISPEI 2000. Collabora ad Affari Esteri, al sito alleo.it e al sito oltrefrontieranews, oltre che alla rivista Babilon.