Autore: Elham Makdoum – 16/04/2024
L’Iran all’assalto di Israele (e del criptoverso)
Negli stessi istanti in cui Teheran invadeva di missili e droni il firmamento israeliano, nei criptomercati si consumava uno dei peggiori terremoti speculativi dei tempi recenti. E a scatenarlo sembra che sia stato proprio l’Iran.
Il secondo weekend dell’aprile 2024 è già nella storia. Nella notte tra sabato e domenica l’Iran diventava il secondo paese islamico ad aver lanciato dei missili su Israele. E nella sera tra venerdì e sabato, ossia esattamente un giorno prima della vendetta di Teheran per l’attacco di Damasco, un gigantesco short selling di bitcoin, e in misura minore di altre crypto, dava il via a un crash generale dei criptomercati. Due eventi apparentemente scollegati tra loro, ma, forse, intimamente connessi. Perché negli ambienti crypto gira una voce: a causare quel crollo è stato l’Iran.
Criptovalute nell’Asse della Resistenza
L’Iran potrebbe essere il responsabile del primo attacco simultaneo nel dominio del cielo e nel dominio ancora non riconosciuto del criptoverso. L’accaduto è il seguente: nella notte tra venerdì e sabato qualcuno cominciava a liquidare posizioni leverage in bitcoin, e secondariamente in altre criptovalute, portando, nel corso del weekend, a un crollo dei criptomercati per un valore stimato di 2,5 miliardi di dollari.
Secondo autorevoli insider del settore, come Ash Crypto, a dare il via a questo short selling di portata eccezionale, che ha condotto al crash temporaneo del criptoverso, sarebbero stati degli operatori iraniani. Un’indiscrezione che merita considerazione per un motivo molto semplice: l’Iran è uno dei re di questa dimensione invisibile agli occhi.
L’idea di un Iran volente e in grado di manipolare i criptomercati non è fantasiosa: è plausibile. Lo è perché si calcola che l’Iran mini il 5% di tutti i bitcoin estratti annualmente. Lo è perché quella percentuale è in realtà molto più elevata, dato che l’Iran scopre ogni anno una media di tremila mining farm illegali, che vengono in larga parte regolarizzate e messe sotto il controllo governativo,
e che i principali membri del cosiddetto Asse della resistenza, in particolare al-Ḥūthiyyūn, Ḥamās e Ḥizb Allāh, sono dei noti cripto-entusiasti che investono, minano, speculano e tradano criptovalute di ogni tipo, dalle stablecoin alle shitcoin. Lo è perché l’Iran ha costruito un’economia parallela nel criptoverso, similmente a Cina, Corea del Nord e Russia, che gli permette di evadere il soffocante regime sanzionatorio occidentale. E speculazione e cripto-reati fanno parte di questo gioco senza regole.
Gli iraniani usano le criptovalute per aggirare le sanzioni occidentali, per foraggiare le loro ricerche militari, per far girare l’economia dell’Asse della resistenza e per pagare l’importazione di una vasta gamma di prodotti. Le crypto sono la valuta alternativa di Teheran, che insieme a Mosca sta sviluppando una stablecoin da utilizzare per l’interscambio transcaspico e che come i BRICS+ pensa che in esse si celi il segreto della dedollarizzazione. Le crypto sono la valuta ufficiosa dell’Asse della resistenza, i cui membri hanno iniziato a utilizzarle per fare compere di armi e munizioni nei darknet market illegali del web oscuro.
Un crollo pianificato?
La liquidazione iniziata la sera di venerdì, che è andata avanti e ha subito un’accelerazione nella notte di sabato, secondo gli insider più attenti (e longevi dell’ambiente) sarebbe stata il frutto di un effetto contagio innescato dallo short selling di bitcoin da parte di criptonauti iraniani. Intuibile il perché: coprire i costi dell’operazione militare contro Israele.
L’attacco con droni e missili su Tel Aviv sarebbe costato a Teheran la modica cifra di cento milioni di dollari. Considerate l’ampiezza del bitcoin wallet dell’Iran e il valore del bitcoin al momento della grande liquidazione – circa sessantasettemila dollari l’uno –, ai cripto-soldati iraniani sarebbe bastato shortare cinquantacinque bitcoin per ripagare tutti e centosettanta i droni Shahed lanciati contro Israele.
Dopo lo short selling, l’Iran avrebbe poi scommesso contro il bitcoin nel mercato dei futures sulle criptovalute alla vigilia del lancio dello stormo di droni e missili, operando in leva nella certezza del risultato. È esattamente qui, nel mercato dei futures sulle criptovalute, che infatti è stato fatto il vero buco: la stima provvisoria parla di 2,5 miliardi di dollari. Il secondo buco di Teheran in una nottata storica, dopo quello fatto all’Iron Dome.
Elham Makdoum è un’analista politica. È specializzata in cripto-intelligenza, metaverso, analisi blockchain e geopolitica delle criptovalute. Le sue pubblicazioni sono apparse su Dissipatio, Opinio Juris – Law and Politics Review, Vision and Global Trends e Parabellum.
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