Autore: Clara Olivari – 08/04/2024
Recensione al volume di Emanuel Pietrobon, L’ARTE DELLA GUERRA IBRIDA | Teoria e prassi della destabilizzazione – Castelvecchi, 2022
L’arte della guerra ibrida analizza una serie di elementi che compongono l’odierno scenario bellico. Difatti, Emanuel Pietrobon mostra come la guerra, termine da intendersi in senso stretto, sia cambiata negli ultimi cento anni e abbia portato alla quasi totale sparizione della cosiddetta “guerra tradizionale” che vede scontri corpo a corpo tra soldati nelle terre di nessuno.
La guerra descritta dall’autore è appunto definita ibrida: equipaggiamenti militari si uniscono a strategie politiche, ad accordi e limitazioni economiche, oltre che ad una serie di elementi psicologici e a nuove tecnologie.
Permangono di fondamentale importanza i mezzi militari, quali le armi, che attraverso la globalizzazione e un incessante sviluppo delle nuove tecnologie, sta attraversando un processo di modernizzazione, raggiungendo livelli di estrema sofisticatezza.
Si comprende dal testo che il «nuovo volto del Dio della guerra[1]» assume sfaccettature diverse dal passato, permeate dall’avvento e dalla continua evoluzione della tecnologia.
La guerra economica è un conflitto multidimensionale. Non si parla più esclusivamente di sanzioni economiche o di embarghi commerciali. Sono entrati in gioco nuovi attori che influiscono sul potere statuale in maniera diretta o indiretta. Le multinazionali, ad esempio, hanno assunto un ruolo di spicco nel panorama globale e possono orientare le politiche di intere nazioni. L’autore definisce, difatti, la multidimensionalità della guerra economica come una macchina capace «di partorire armi letali come attacchi speculativi, carestie indotte, embarghi e regimi sanzionatori [2]».
Nel corso dell’analisi, si comprende come Pietrobon voglia sottolineare la rilevanza assunta dal fattore psicologico nelle nuove guerre. La disinformazione, che nasce dall’attento impiego di armi propagandistiche dei servizi segreti russi già durante lo stalinismo, ha preso piede in tutto il mondo. La politica stessa utilizza queste armi non convenzionali, ormai divenute d’uso comune.
Vengono riportati esempi recenti che prevendono la combinazione di tecnologie persuasive e di disinformazione per manipolare i contenuti sul web e far sì che una buona fetta della popolazione si faccia abbindolare da contenuti creati a regola d’arte per influenzare l’opinione pubblica. Tra questi troviamo Cambridge Analitica che insieme a Facebook ha utilizzato dati, apparentemente non raccolti per questi scopi, per intervenire sulle elezioni statunitensi del 2016.
La guerra ibrida vede anche l’utilizzo delle armi di migrazione di massa. Riprendendo l’elaborato di Kelly Greenhill, Pietrobon guida il lettore alla comprensione di come la politica e, di conseguenza, i mass media dipingono gli arrivi di gruppi di migranti. Da ciò scaturisce e si alimenta la cultura della xenofobia, legato ai diffusi sproloqui diretti all’opinione pubblica che riguardano la matrice criminale e l’essenziale cattiveria come elementi distintivi dei migranti irregolari. Da una parte si eleva lo spirito umanitario, dall’altra si spinge per l’odio.
In egual modo, i migranti stessi vengono incoraggiati ad effettuare «traversate bibliche dietro la (falsa) promessa che un altro Paese è pronto ad accoglierli a braccia aperte, o obbligati a farlo da minacce e angherie di trafficanti al soldo di un governo[3]». Questo concetto differisce dalla realtà con cui sono poi costretti a interfacciarsi.
L’autore conduce una interessante disamina delle attività svolte dai servizi di intelligence mondiali, che segretamente hanno influenzato eventi storici di grande importanza. Prende d’esempio, come prima forma di guerra ibrida, la «guerra non dichiarata, invisibile[4]» in Cile durante il governo Allende. Questo fu un caso di destabilizzazione indotta da manuale all’interno dell’operazione FUBELT, condotta dai servizi segreti statunitensi.
Attraversando la storia del Novecento, si giunge al giorno d’oggi. Pietrobon affronta la gestione della pandemia da Covid-19 da parte di stati che hanno implementato campagne di disinformazione su più livelli. Cina e Russia sono i casi più lampanti.
Se prima si parlava di guerra senza limiti, oggi si possono delineare confini precisi nella dottrina delle tre guerre[5], che sfrutta dimensione psicologia, informativa e legale. La propaganda disinformativa, l’opinione pubblica e la manipolazione della legge per favorire o annientare scopi politici e/o commerciali di un dato stato diventano la triade perfetta per vincere una guerra in maniera efficace.
Nel nuovo secolo, il web è diventato un fattore di destabilizzazione. Pietrobon con un parallelismo estremamente semplice, ma efficace, ci aiuta a comprendere la potenza dell’eco dei contenuti sui social media: «i social media possono amplificare la rabbia. I social sono la persona che una volta si recava in piazza col tamburo per fare rumore. Ora questo frastuono lo si fa in rete, ma l’intensità è minore: ci si può arrabbiare, ma non è detto che a ciò segua l’azione[6]». Questi possono contribuire direttamente alla diffusione di teorie false, complotti e di tutto ciò che rientra nel mondo della disinformazione. Il metaverso, l’intelligenza artificiale e lo spazio cyber stanno diventando nuovi mezzi che si sostituiscono agli armamenti bellici, ma causano disordini e instabilità in egual modo, se non superiore.
L’autore nel corso del testo supera tacitamente il paradigma vestfaliano di Stato. Difatti, non risulta di fondamentale importanza la definizione territoriale di uno Stato per portare avanti una guerra ibrida: multinazionali, cooperazione internazionale, cybercriminali, L’evoluzione delle tecnologie, dei mezzi di informazione e degli interessi dei nuovi attori internazionali hanno modificato il concetto di guerra nella sua essenza tradizionale e hanno originato nuovi modi di distruggere intere realtà.
[1] Pag. 9
[2] Pag. 70
[3] Pag. 102
[4] Pag. 161
[5] Pag. 232
[6] Pag. 323
Clara Olivari – Laurea Triennale in Scienze della Mediazione Linguistica, conseguita presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa (SSML). Attualmente studentessa magistrale in Criminalità, Investigazione e Sicurezza Internazionale, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma. Stagista presso Vision & Global Trends International Institute for Global Analyses, nell’ambito del progetto Società Italiana di Geopolitica.