Autore: Alessandro Manca Bitti – 11/03/2024
Recensione volume “50 Anni dalla Conferenza di Stoccolma. Un diritto internazionale dell’ambiente in regressione?” EDS – 2023
Alessandro Manca Bitti – Collaboratore ISGI – CNR
Introduzione
Il volume “50 Anni dalla Conferenza di Stoccolma. Un diritto internazionale dell’ambiente in regressione?” (Editoriale Scientifica, 2023), curato da Andrea Crescenzi e Gianfranco Tamburelli, contiene vari contributi sui principi del diritto ambientale, in merito ad alcuni dei più importanti sistemi pattizi; nonché ad aspetti problematici e prospettive del diritto in materia. Tali contributi, apportati da ricercatori, professori universitari ed esperti (Francesco Francioni; Laura Pineschi; Francesco Munari; Andrea Crescenzi; Sergio Marchisio; Nicola Colacino; Massimiliano Montini; Elena Fasoli; Tullio Scovazzi; Susanna Quadri; Saverio Di Benedetto; Elisa Ruozzi), costituiscono elaborazione di relazioni presentate al Convegno sull’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente, a partire dalla Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente umano del 1972 (Roma, CNR, 8 aprile 2022).
I vari Autori, tutti membri del Gruppo di interesse su “Ambiente e sviluppo sostenibile” (DASS) della Società italiana per il diritto internazionale e il diritto dell’Unione europea (SIDI), analizzano numerosi aspetti della cooperazione e del diritto internazionale dell’ambiente, al fine di descrivere i traguardi raggiunti e le lacune persistenti.
L’introduzione, redatta da Gianfranco Tamburelli, apre la riflessione su alcune questioni rilevanti. Ricordando il discorso di Santi Romano all’inaugurazione dell’anno accademico 1909-1910 presso l’Università di Pisa, Tamburelli fa riferimento al concetto di responsabilità intergenerazionale. In tale discorso, Santi Romano definì lo Stato come un ente a sé, che si erge con la propria personalità rispetto agli individui e alle comunità che lo compongono, elevandosi così al di sopra degli interessi non generali, contemperandoli e armonizzandoli, e ponendosi “nella condizione di curarsi non solo delle generazioni presenti, ma anche di quelle future”.
Proseguendo nel ragionamento, l’introduzione cita la riforma costituzionale numero 1 del 2022, che ha inserito nella nostra Carta fondamentale il concetto di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – anche nell’interesse delle future generazioni – all’articolo 9 del testo. L’articolo riformato afferma inoltre che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. Interessante al riguardo notare come il legislatore abbia avvertito l’esigenza di consacrare anche il principio della difesa delle forme di vita animali. Sintomo questo, forse, di del fatto che va affermandosi una maggiore sensibilità animalista.
Tamburelli considera anche il significativo paradigma di non regressione in ambito ambientale, che da molti è considerato implicito nel Principio 7 della Dichiarazione di Rio del 1992 sull’ambiente e lo sviluppo, e richiama le questioni concernenti l’introduzione di un diritto umano all’ambiente. L’autore sottolinea che il diritto umano ad un ambiente sano è consacrato in molte Costituzioni, ma ne è ancora dubbia la piena affermazione nel diritto internazionale generale.
Le nuove sfide globali del diritto all’ambiente tra ecocentrismo e antropocentrismo
I vari contributi analizzano, tra gli altri, il tema della contrapposizione tra ecocentrismo ed antropocentrismo. Nella Conferenza di Stoccolma del 1972, l’accento era posto essenzialmente sulla tutela dell’ambiente in funzione del benessere umano. Anche nell’ambito della Conferenza di Rio del 1992 si ebbe una situazione simile. Non a caso, il Principio 1 della Dichiarazione su ‘Ambiente e Sviluppo’ afferma: “Gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto ad una vita sana e produttiva in armonia con la natura”.
Nell’ottica del suddetto Principio, la protezione della natura, come quella dello sviluppo sostenibile, si pone come qualcosa di fondamentalmente strumentale al benessere umano, e non un valore in sé, come evidenzia Massimiliano Montini nel suo contributo (Il principio 4 della Dichiarazione di Stoccolma: doveri e responsabilità umane nei confronti della natura). Emerge quindi anche in questo caso, un approccio sostanzialmente antropocentrico nel fronteggiare le problematiche ambientali su scala globale.
Secondo Montini, nella Conferenza di Rio del 1992 si perde qualsivoglia riferimento alla responsabilità dell’essere umano nei confronti della natura e dell’ambiente. La Dichiarazione, in particolare il suo Principio 1, e gli altri atti di soft law adottati (Agenda 21; Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolante per un consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta) paiono concentrarsi sul tema dei diritti degli esseri umani, piuttosto che sui loro doveri in materia di protezione ambientale.
Si potrebbe in realtà affermare che anche l’avanguardistica frontiera della salvaguardia delle generazioni future, approfondita nel contributo di Andrea Crescenzi (Il principio della responsabilità di proteggere e migliorare l’ambiente per le generazioni future), corrisponda ad una forma di protezione ambientale comunque incentrata sul benessere e sulla sopravvivenza della specie umana, più che sull’interesse ad una tutela dell’ambiente in quanto tale.
Nel dilemma forse inestricabile tra ecocentrismo e antropocentrismo, si innesta l’interessante contributo di Nicola Colacino, che introduce un rimando al pensiero di uno dei più celebri filosofi vissuti nel secolo scorso: Martin Heidegger. Colacino ricorda come, nel contesto del diritto ambientale, la visione antropocentrica sia risultata nettamente prevalente nel corso del tempo, anche riguardo alla strutturazione degli strumenti giuridici. L’approccio antropocentrico verso l’ambiente viene messo dall’Autore in relazione con la tradizione filosofica occidentale. Heidegger, nell’opera La questione della tecnica, definiva la persona umana come essere naturale ed altro dalla natura allo stesso tempo.
L’essere umano, in ragione del suo intelletto, che gli dona la capacità di comprendere l’esistente, si pone inevitabilmente in una posizione differenziata ed in qualche modo scissa dal mondo naturale; a differenza, si potrebbe aggiungere, di tutte le altre creature animali. Homo sapiens, generato dalla natura ed evolutosi nel corso di milioni di anni, essendo capace di pensare a sé ed al mondo, ha la facoltà di incidere su di esso in varia misura.
Il pensiero ecologista si è così sviluppato attorno alla contrapposizione tra essere umano quale, da un lato, parte integrante della natura, consustanziale alla stessa; dall’altro lato, trasformatore della suddetta, artefice della modificazione degli equilibri naturali, tramite gli strumenti della tecnica.
Colacino fa inoltre riferimento ai gradi di completezza degli elementi naturali, che trova compimento nella perfezione delle idee platoniche e nella scala naturae aristotelica.
L’Autore afferma poi che la Conferenza di Stoccolma, nonostante abbia espresso una visione ambientale fondamentalmente antropocentrica, ha rappresentato un momento fondamentale nello sviluppo del diritto ambientale, dal punto di vista risarcitorio, cautelare e precauzionale, rappresentando così un “momento groziano” nell’evoluzione della disciplina.
La Carta mondiale dell’ambiente del 1982, poi superata dalla Dichiarazione di Rio, ha invece rispecchiato un primo esempio di approccio alla tematica ambientale diverso da quello antropocentrico.
Difficile infine valutare, alla luce di questa contrapposizione dualistica tra concezione ecocentrica e antropocentrica, la portata dell’Articolo 2 (1) dell’Accordo di Parigi del 2015, al quale altri Autori fanno riferimento, che afferma la necessità di aumentare gli sforzi contro il cambiamento climatico, nell’ottica dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà.
Tali sforzi possono essere implementati tramite l’instradamento di investimenti pubblici e privati verso fondi d’investimento che rappresentino attività rispettose dell’ambiente.
Prospettive in materia di criteri Environmental Social and Governance
Susanna Quadri, nel suo contributo al volume (L’evoluzione dei principi 9 e 12: verso una finanza sostenibile?) esprime le ragioni per cui la finanza sostenibile può essere considerata una componente importante della transizione ecologica, sia nel contesto nazionale che a livello internazionale ed europeo. A questo riguardo sono fondamentali i Principi 9 e 12 della Dichiarazione di Stoccolma, finalizzati a risolvere i problemi derivanti dalle condizioni di sottosviluppo impattanti sull’ambiente e dai disastri naturali.
A livello di programmi internazionali, viene in luce l’Addis Ababa Action Agenda adottata nel 2015 per il finanziamento dello sviluppo sostenibile. Lo stesso tema fu affrontato altresì nell’ambito delle negoziazioni relative all’Accordo di Parigi del 2015. Tuttavia, in entrambi i casi non sono state sancite disposizioni vincolanti.
Quadri menziona inoltre il Regolamento UE 2020/852 relativo all’istituzione di una disciplina che favorisce gli investimenti sostenibili. Si tratta del cosiddetto Regolamento tassonomia. Diversamente dagli strumenti internazionali sopra elencati, si è qui in presenza di un atto giuridico vincolante, per la sua natura e per il suo contenuto. Esso, infatti, elenca i criteri che le attività economiche devono necessariamente rispettare, affinché possano essere considerate tra quelle che contribuiscono in modo concreto e sostanziale al miglioramento ecologico, o che non contrastino in modo significativo con il raggiungimento degli obiettivi ambientali.
L’accostamento tra investimenti sostenibili e principio del do no significant-harm appare di grande interesse anche nell’ottica di garantire un’offerta energetica a prezzi abbordabili, dunque accessibile alle fasce più deboli della popolazione.
Quadri rammenta che, seppur la tutela dell’ambiente e la lotta al cambiamento climatico rappresentino degli obiettivi generali nell’ambito dell’Unione europea, la competenza in materia di scelta delle fonti che contribuiscono alla produzione di energia è una prerogativa degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 194, comma 2, del TFUE. Tuttavia, tale facoltà viene meno nel caso sancito dall’articolo 192, paragrafo 2, lettera c) del TFUE, in base al quale il Consiglio – deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni – può adottare se del caso “misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo”.
Da notare che l’Autrice lancia l’idea di un nuovo regolamento europeo che definisca una tassonomia per valutare la sostenibilità degli investimenti anche rispetto ai diritti sociali.
Altra evoluzione della prassi concernente lo sviluppo di attività economiche e imprenditoriali in modo compatibile con le esigenze di tutela dell’ambiente e dei diritti sociali, è la sempre più ampia diffusione dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance), come indicato in alcuni contributi. Essi sono i criteri di natura “volontaria” che le imprese devono osservare nello svolgimento delle loro attività e nella realizzazione dei loro investimenti.
Tali criteri si riferiscono all’impatto di determinate attività su ambiente e territorio, nonché al loro impatto sociale e agli aspetti gestionali. Il primo criterio (Environmental) rappresenta parametri come l’attenzione al clima, alla sicurezza alimentare, al contenimento delle emissioni di anidride carbonica e ai tentativi di ridurre l’utilizzo delle risorse naturali. Si potrebbe notare qui un’attitudine maggiormente “ecocentrica”. Il secondo (Social) appare invece espressione di un approccio antropocentrico, riferendosi al benessere degli abitanti del territorio in cui l’investimento ricade. Si prendono in considerazione la qualità della vita, il rispetto dei diritti umani, la sicurezza, le condizioni di lavoro adeguate eccetera. Il paradigma della Governance si attaglia a tutti gli aspetti riguardanti la gestione dell’attività economica, come ad esempio il rispetto di politiche di diversità nella composizione degli organi di amministrazione delle imprese, la presenza di consiglieri indipendenti o le modalità di remunerazione dei dirigenti, ma anche i diritti degli azionisti e la lotta alla corruzione.
Col passare del tempo si sono concretizzate varie iniziative per incoraggiare soluzioni d’investimento veramente sostenibili. Ad esempio, il London Stock Exchange Group fornisce ai clienti alcuni dati dei mercati finanziari globali, potenzialmente utili per indirizzare eventuali investimenti verso attività economiche sostenibili a livello ambientale, mentre la Climate Bonds Initiative si propone di orientare il mercato mondiale delle obbligazioni nella direzione di soluzioni che agevolino la transizione ad un’economia connotata da basse emissioni di carbonio.
Notazioni finali
Le analisi svolte nei vari contributi contenuti nel volume inducono sicuramente alla riflessione su numerose questioni. A nostro avviso, ad esempio, viene in evidenza come l’applicazione dei criteri ESG possa in qualche modo “riconciliare” l’essere umano, anche nell’espletamento della sua attività economica, con la natura. Tutto ciò senza che essa sia solamente il “fondo” (Bestand) – per usare l’espressione di Heidegger in La questione della tecnica – da cui attingere per soddisfare il desiderio di creare ricchezza e sviluppare nuove tecnologie al servizio del genere umano.
Al contrario, qualsiasi intervento “ecocentrico” finirà inevitabilmente per beneficare anche l’essere umano, dal punto di vista del godimento di un ambiente più salubre e così via. Specularmente, l’attenzione “antropocentrica” alle tematiche ambientali, considerate ad esempio sotto il punto di vista di un corretto sfruttamento delle risorse energetiche e biologiche a favore dell’uomo e della sua economia, garantendo il benessere potrà ridurre il rischio di eventi sociopolitici avversi, potenzialmente dannosi anche per l’ambiente.