Autore: Eliseo Bertolasi – 26/01/2024
Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno compiuto significativi progressi nel continente africano, ma a scapito della politica estera francese. Già all’inizio di marzo dello scorso anno, Emmanuel Macron durante la sua visita in Gabon aveva dichiarato: “L’era della Françafrique è finita” e la Francia è ormai un “interlocutore neutrale” nel continente” [1], tuttavia non ha mai ritirato completamente le sue truppe dal Gabon, dall’Angola, dalla Repubblica Democratica del Congo e da altri paesi africani. In tale occasione la visita di Macron è stata criticata dall’opposizione politica e della società civile gabonese, che l’ha accusato di servilismo per essere venuto a portar l’“investitura” ad Ali Bongo [2]. La realtà, tuttavia, potrebbe essere molto più complessa del semplice populismo. Gli Stati Uniti, che stanno attivamente dislocando il proprio contingente militare nel continente africano, conducono le loro attività di penetrazione su diversi livelli.
Le PMC americane in Africa
I rappresentanti delle PMC (Private Military Company) americane, nonostante affermino di condurre attività indipendenti e di lavorare all’insaputa della leadership statunitense, in realtà è lecito supporre che operino sotto la guida del Pentagono e del Ministero degli Esteri americano. Alla fine di dicembre 2023 come si è appreso da una conversazione con l’agenzia AFP (Agence France-Presse) la PMC americana Bancroft Global Development [3] stava negoziando con le autorità della Repubblica Centrafricana sulle sue possibili attività nel Paese, tra cui l’addestramento dei soldati “sia sul suolo centrafricano che su quello americano” [4]. Tuttavia, sempre nella conversazione con AFP i rappresentanti della Bancroft hanno smentito la presenza di proprie basi nella capitale Bangui, come pure il loro legame con il Dipartimento di Stato americano.
Bancroft Global Development, contattata da Sputnik-Africa ha dichiarato che non intende competere con “il progetto ufficiale della Repubblica Centrafricana e della Russia” in materia di sicurezza [5].
Colloqui ufficiali tra Washington e i leader africani
Un esempio clamoroso è stata la visita d’urgenza, nell’agosto dell’anno scorso, in Niger, della vicesegretaria di Stato americana Victoria Nuland per incontrare i ribelli dopo il colpo di stato del mese precedente. La Nuland è riuscita a incontrare il generale Moussa Salaou Barmou, nominato nuovo capo di stato maggiore militare, ma le hanno negato l’incontro sia con l’autoproclamato nuovo leader del Niger, il generale Abdourahamane Tiani, sia col presidente deposto Mohamed Bazoum [6]. Altre evidenze di questo recente approccio “soft power” statunitense è stato il vertice USA-Africa, svoltosi a Washington il 13-15 dicembre 2022. Come riportato da France24, in occasione del meeting gli USA hanno letteralmente steso il red carpet davanti ai leaders africani: oltre all’invito ufficiale rivolto ai paesi dell’Unione africana ad aderire al G20, gli americani hanno cercato di allettare i loro interlocutori promettendo miliardi di dollari di sostegno – 55 miliardi di dollari per l’Africa in tre anni – infine hanno messo in guardia i leader africani dalla “cattiva influenza” di Russia e Cina in Africa. Lo stesso segretario alla Difesa Lloyd Austin ha menzionato questa “minaccia”: “La Cina sta espandendo la sua presenza in Africa su base giornaliera attraverso la sua crescente influenza economica”. “La Russia continua a vendere armi a buon mercato e a schierare mercenari in tutto il continente”, ha aggiunto: “Anche questo è destabilizzante” [7].
Gli Stati Uniti sembrano utilizzare la copertura delle Nazioni Unite per giustificare la loro ingerenza africana come missioni dell’ONU, ma non hanno valutato il possibile rovescio di questa medaglia.
Dopo il colpo di stato in Niger i media americani hanno iniziato ad accusare l’Organizzazione di sostenere involontariamente colpi di stato nel continente africano. La responsabilità ricadrebbe sulle missioni di peacekeeping che darebbero opportunità alle varie ONG, fondazioni e PMC non americane di stimolare la creazione di forze armate nella regione, senza ovviamente rispondere né al Pentagono, né al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
Come scrive “Foreign Policy”, dalla fine della Guerra Fredda, la comunità internazionale e le Nazioni Unite hanno finanziato in misura crescente gli eserciti di paesi non democratici, o debolmente democratici, per soddisfare la crescente domanda di missioni di peacekeeping. Paesi come il Niger ne hanno raccolto il testimone. Ad esempio, nei cinque anni successivi alla fine della Guerra Fredda, le Nazioni Unite hanno autorizzato 20 nuove missioni di peacekeeping che hanno richiesto una crescita di quasi sette volte del numero delle truppe, da 11.000 a 75.000[8].
Sotto la copertura umanitaria gli Stati Uniti usano i loro UAV (Unmanned Aerial Vehicle), attraverso i quali ricevono dati d’intelligence, che vengono poi utilizzati per coordinare il contrasto a bande avverse agli interessi di Washington e a gruppi terroristici. Gli UAV statunitensi stanno già operando non solo in Niger nella “Niger Air Base 201” [9], ma anche in altri paesi africani [10]. Come riportato sul “Wall Street Journal” è ormai noto che gli americani vogliano utilizzare gli aeroporti in Ghana, Costa d’Avorio e Benin per espandere la loro flotta di UAV lungo l’Oceano Atlantico e per contrastare le azioni di eventuali militanti islamici [11].
Perché gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Africa?
A prima vista, sembrerebbe che gli Stati Uniti non abbiano ancora abbastanza potere per controllare il continente africano dopo il fallimento dei tentativi francesi, in Niger, di reprimere la ribellione nell’agosto 2023. Sembrerebbe, inoltre, che, prima degli evidenti fallimenti delle politiche neocoloniali di Macron, Washington, più di tanto, non avesse a cuore il continente africano, considerandolo principalmente come “un problema da gestire piuttosto che un partner con cui plasmare il secolo successivo” [12]. Tuttavia, all’improvviso, dopo un lungo conflitto in Ucraina e una possibile impasse nei rapporti con la Cina, ecco che gli Stati Uniti in Africa puntano a prendere il controllo di alcuni paesi, o di gruppi separatisti, per seminare caos tra gli stati sovrani e per garantirsi il controllo sulle risorse e sulla logistica nel medio e lungo termine. Il compito di garantire la sicurezza o di sviluppare la cooperazione tra i paesi africani non appare certo tra le loro priorità.
Come riportato dall’agenzia turca “Anadolu”: sono almeno 13 i paesi che hanno una presenza militare in Africa, con circa 11 basi militari straniere nel Corno d’Africa, secondo un rapporto del 2019 dell’“Institute of Security Studies”, un think tank con sede in Sud Africa. Gli Stati Uniti e i loro alleati come Francia, Regno Unito, Germania, Italia, Belgio, Giappone e India costituiscono gran parte dei paesi con una presenza militare nel continente.
Sempre su “Anadolu” l’analista politico sudafricano Lesiba Teffo ha riferito che “le superpotenze competono almeno per avere i loro schieramenti in posizioni strategiche in modo che, qualora dovesse sorgere la necessità di dare il massimo in qualsiasi forma di guerra, avranno accesso a risorse e munizioni”.
Ahmed Jazbhay, professore all’Università del Sud Africa, ha affermato che la corsa per “basi militari straniere in Africa è di ampia portata e va oltre l’estrazione delle risorse”, “ha a che fare con interessi geopolitici antagonisti”. Jazbhay ha inoltre sottolineato come la spinta alla presenza militare si leghi al colonialismo e al desiderio di potere politico: “Vediamo queste potenze globali, comprese le ex-potenze coloniali, che vogliono mantenere la propria influenza sul continente”. “Mentre alcuni paesi africani, come ad esempio il Burkina Faso, tentano di spezzare le catene dell’influenza occidentale, altri vi si tengono aggrappati”. “Alcuni paesi africani instabili, in particolare quelli governati da figure autoritarie, sono aperti a ospitare basi o forze militari occidentali poiché questo li aiuta a rimanere al potere”, ha spiegato l’esperto, citando come esempi il Niger, il Ciad e il Mali [13].
Perché la Francia è stata battuta?
Le politiche neocoloniali francesi hanno decisamente fallito. Il posto dei francesi è stato preso dai russi, dai cinesi e anche dai turchi che sono più flessibili e godono di maggiore fiducia tra gli africani. Ma perché sta succedendo? Nonostante l’ambizione conclamata di rinnovare le relazioni tra le ex-colonie francesi e l’ex-potenza coloniale, il presidente francese non è riuscito ad avviare un vero rinnovamento. Lo stesso Macron ha ammesso che con le sue visite nel continente, stava piuttosto cercando consensi, invece di risolvere i problemi dei popoli africani; il 28 novembre 2017, nell’Università Joseph Ki-Zerbo di Ouagadougou, in Burkina Faso ha affermato: “Non esiste più alcuna politica africana per la Francia” [14].
Cinque anni fa, i leader della Repubblica centrafricana si sono rivolti alla Russia dopo che la Francia si era rifiutata di proteggerli dai ribelli e grazie all’accordo militare concluso tra Mosca e Bangui nel dicembre 2017, la Russia è diventata un nuovo attore nel campo della sicurezza nella Repubblica Centrafricana [15].
I francesi, in pratica, negli anni hanno solo estratto risorse prime e impoverito le loro ex colonie. La corruzione è diffusa in tutti i paesi del Sahel: dal Niger e Mali al Burkina Faso e Ciad, la povertà è estrema, come pure la disoccupazione, l’incapacità dei partner occidentali e delle istituzioni internazionali di garantire stabilità e sicurezza nella regione hanno posto la popolazione locale contro la Francia, aumentando il sostegno pubblico ai colpi di stato e accrescendo le opportunità di reclutamento dei gruppi armati. Il ricordo del colonialismo francese, caratterizzato da brutali campagne militari, lavoro forzato, repressione diffusa, cancellazione culturale, segregazione razziale e trasferimenti forzati, è ancora molto vivo nella regione del Sahel.
Nel 2012, il governo maliano chiese alla Francia un aiuto per risolvere la crisi di sicurezza in rapido peggioramento nell’irrequieto Nord del paese, dove i ribelli e i combattenti tuareg alleati di “al-Qaeda nel Maghreb islamico” (AQIM) avevano preso ampie fasce di territorio. La Francia inviò migliaia di militari e scacciò i combattenti dalla capitale Bamako, con l’aiuto del vicino Ciad.
Nel 2014, con il sostegno del governo maliano, la Francia si mosse per ampliare la propria operazione antiterrorismo nella regione, arrivando a schierare 5.100 soldati in cinque paesi del Sahel in quella che divenne nota come l’“operazione Barkhane”. Nonostante l’elevato costo economico e umano, l’operazione Barkhane non riuscì, però, a realizzare i risultati desiderati. I problemi del Mali e della regione nel suo insieme non finirono, al contrario, i gruppi armati presenti aumentarono il loro potere e le loro capacità operative. Nei paesi del Sahel gli attacchi contro i civili divennero una routine e la situazione della sicurezza continuò a peggiorare. Di conseguenza, le popolazioni locali iniziarono a incolpare la Francia per i loro problemi cronici, diventando sempre più diffidenti nei confronti delle intenzioni dell’ex-potenza coloniale nella regione.
Nel 2020, mesi di proteste di piazza contro il peggioramento della sicurezza e della corruzione portarono al colpo di stato militare e al rovesciamento del governo filo-francese. Le relazioni del Mali con la Francia si deteriorarono rapidamente e i nuovi governanti del Mali si rivolsero ai contractors russi del Gruppo Wagner per chiedere aiuto contro la crisi di sicurezza in corso.
Dopo due anni di crescenti tensioni, il rapporto tra la Francia e il governo ad interim del Mali, che rifiutava di indire le elezioni come aveva promesso dopo il colpo di stato, giunse a un punto di rottura. Il 31 gennaio 2022 il Mali espulse l’ambasciatore francese dal Paese. A quel momento, in Mali erano presenti fino a 1.000 contractors russi. Pochi giorni dopo, migliaia di manifestanti antifrancesi scesero in strada sventolando bandiere russe e bruciando sagome di cartone del presidente francese Macron per celebrare l’espulsione [16].
I disperati tentativi della Francia di riconquistare influenza nella regione
Comprendendo la complessità della situazione, la Francia sta cercando di rilanciare la propria presenza utilizzando strumenti ibridi simili a quelli americani: come le ONG e grazie alla rete della Francofonia. Un esempio è il COMYA GROUP, guidato dall’influente responsabile della sicurezza francese Alexandre Benalla (ex-guardia del corpo di Macron) [17]. Come si legge sul suo sito: COMYA GROUP si pone come “società con esperienza nei settori Intelligence e Influence, gestione del rischio e delle crisi, cyber e tech”. Fornisce “soluzioni affidabili per questioni delicate”. COMYA GROUP è attualmente focalizzato su Europa, Africa, Medio Oriente e Americhe, con hub operativi istituiti in ciascuna regione[18]. Nonostante offra la sua assistenza ad aziende globali e organizzazioni, in realtà opera nell’interesse di Parigi in Africa e Medio Oriente.
Tuttavia, non è scontato che ogni iniziativa dell’Eliseo ottenga automaticamente il sostegno degli Stati Uniti, nemmeno nelle azioni in grado di contrastare l’espansione russa in Africa. Washington certamente agisce per garantire i propri interessi nel continente; la partenza dei francesi è un fatto compiuto per gli Stati Uniti. Gli USA stanno lavorando per espandere i loro legami economici con l’Africa sub-sahariana anche mediante il precedente “African Growth and Opportunity Act” (entrato in vigore nel 2000) per contribuire a stimolare il commercio e migliorare i legami economici, in particolare con i paesi francofoni dell’Africa[19]. Gli Stati Uniti si sono anche impegnati a creare una zona di libero scambio in tutta l’Africa, che sta minando la stabilità regionale della Francia e il suo potere economico con i paesi francofoni, al contempo, espandendo l’accesso degli Stati Uniti alle risorse africane.
In termini di presenza militare gli americani hanno creato AFRICOM[20], il Comando Africano degli Stati Uniti: contrasta le minacce transnazionali e gli attori ostili, rafforza gli sforzi di sicurezza e la risposta alle crisi nel continente africano al fine di favorire gli interessi nazionali degli Stati Uniti e promuovere la sicurezza, la stabilità e la prosperità regionale.
Un grosso ostacolo sull’attuale percorso degli Stati Uniti in Africa potrebbe essere la presenza di formazioni militari russe nei territori liberati dalle truppe francesi, per cui è facile supporre che gli Stati Uniti useranno tutte le contromisure in loro possesso per contrastare la presenza russa.
Note
[2] Ali Bongo è succeduto a suo padre Omar Bongo Ondimba, dopo la morte. Il padre aveva governato il paese per 41 anni diventando un pilastro della Françafrique. Ali Bongo è stato rieletto in condizioni controverse nel 2016. Il 30 agosto 2023 è stato deposto da un colpo di Stato militare e posto agli arresti domiciliari.
[3] https://www.bancroftglobal.org/
[8] https://foreignpolicy.com/2023/08/04/niger-coup-military-training-africa/
[9] https://en.wikipedia.org/wiki/Niger_Air_Base_201
[10] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_United_States_drone_bases
[12] https://warontherocks.com/2022/06/america-ignores-africa-at-its-own-peril/
[16] https://www.aljazeera.com/opinions/2023/8/17/french-mistakes-helped-create-africas-coup-belt
[17] https://www.24heures.ch/alexandre-benalla-installerait-sa-societe-comya-group-a-geneve-274243250384
[18] https://comya.group/