Autore: Marco Centaro – 15/09/2023
LA GEOPOLITICA ANGLOSASSONE
Dalle origini ai nostri giorni
Recensione di Marco Centaro
La geopolitica anglosassone: dalle origini ai nostri giorni (Guerini, 2023) di Federico Bordonaro andrebbe letto come un necessario tentativo di fare ordine in un mondo bibliografico geopolitico, in questo caso anglosassone, alquanto complesso. Infatti, non è solo la realtà delle relazioni internazionali ad essere decisamente intricata, bensì anche la produzione stessa sul tema, tanto che lo scopo dichiarato dell’autore è esattamente quello di raccontare in modo conciso la storia del pensiero geopolitico anglo-americano in un preciso contesto: il convinto revival delle teorie cosiddette classiche (tra le tante), le quali oggi parrebbero essere lo strumento prediletto della classe dirigente americana per risolvere il crescente numero di crisi che il blocco occidentale si trova ad affrontare. Se letti bene, insomma, gli autori geopolitici classici, potrebbero aiutare a capire come mai gli Stati Uniti prendano determinate posizioni, per quale motivo alcune aree del pianeta rovinano il sonno delle amministrazioni presidenziali, e quali sono gli interessi irrinunciabili per una potenza che vuole continuare ad essere egemone.
Bordonaro, a proposito di classici, si pone un ulteriore obiettivo: evitare “eccessive semplificazioni” sui pensieri di geopolitici come Mahan, Mackinder e Spykman e porre l’accento sulla continuità delle loro teorie nell’influenzare anche le successive correnti geopolitiche.
Bordonaro fa chiarezza anche sul tipo di approccio geopolitico che andrà a privilegiare nel corso della trattazione, affermando che sarà di suo interesse ricostruire la storia di quelle ricerche che hanno indagato come e quanto la geografia influisca sulla politica, sulle scelte strategiche e sull’ascesa o declino degli Stati. L’autore per questo motivo parte da, appunto, i classici: Mahan, Mackinder e Spykman. Costoro avrebbero scritto in un periodo, tra il 1890 e la fine della Seconda Guerra mondiale, in cui era evidente come la geografia, la storia e il progresso tecnologico influissero sui rapporti di potere tra Stati. In particolare, dopo che tutti e tre ebbero compiuto approfonditi studi storici e geografici, giunsero alla conclusione che è la geografia l’elemento che più di tutti condiziona le scelte strategiche a disposizione degli Stati. Il motivo? Essenzialmente le condizioni topografiche, le dimensioni del territorio e la posizione sono letti in qualità di fattori permanenti, che condizionano (attenzione, non determinano) la vita degli Stati stessi. Unitamente a tali elementi, poi, vanno anche considerate contingenze tecnologiche, sociali, culturali e industriali, le quali, se analizzate nel micro e nel macro-livello in un certo momento storico, possono (finalmente) far azzardare ipotesi sulle dinamiche che danno il potere a determinate entità piuttosto che ad altre.
Quello che va a tenuto a mente, e Bordonaro è lapidario nell’evidenziarlo, è che tutti i classici esclusero la mono-causalità: in Mackinder, un incompreso sotto questo punto di vista, si legge testualmente in Democratic Ideals and Reality (1919) che “l’uomo dà inizio all’azione, ma, in grande misura, è la natura ad esercitare il controllo”. Mahan ribaltò la frase, ma sottolineò come gli elementi che derivano dalla geografia rappresentano un qualcosa di potenziale, e che solo le scelte politico-strategiche generano la potenza.
Respinta ogni accusa di determinismo geografico, la narrazione passa a spiegare come mai le analisi storico-geografiche di questi tre classici furono (e sono) così importanti per gli strateghi anglo-americani nella storia: le conclusioni, a cui più o meno similmente arrivarono, dipinsero la (a loro contemporanea) conformazione geopolitica in un modo tale che se mai fosse esistita un’entità politica in grado di controllare lo spazio in quel momento in mano agli Zar russi (prima) o ai Soviet (dopo), e che sviluppasse la tecnologia per sfruttare risorse e infine giungere ai mari caldi, allora sarebbe sorta una potenza incontrastabile. In poche parole, si paventava la nascita di uno Stato che partendo da tale area-perno (Heartland) si sarebbe ingrandito fino a minacciare la sicurezza della Gran Bretagna prima, e degli Stati Uniti poi. La quantità (in realtà molto scorrevole) di pagine che Bordonaro dedica alla spiegazione di tali teorie non è casuale, ma funzionale al far capire come mai nel Novecento Gran Bretagna e Stati Uniti abbiano assunto determinate posture geopolitiche, pur non essendo possibile né dimostrare l’influenza diretta di tali conclusioni sulla politica estera, né parlare di “geopolitica”, essendo vaghi i riferimenti al nome della disciplina (anche considerato il fatto che la cosiddetta Geopolitik tedesca degli anni ’20 e ‘30 era stata associata alle pretese di espansione razzista del nazionalsocialismo).
Nel corso della trattazione, tra l’altro, non è da trascurare la minuzia e la completezza degli studi precedentemente svolti da Bordonaro, poiché oltre a citare i tre grandi, riportando le loro parole, egli accenna anche ai lavori di personaggi che ugualmente possono considerarsi classici (per via del periodo storico in cui scrissero): Corbett, Semple, Fairgrieve, Bowman e altri. Il loro contributo è sempre da leggere sotto la lente di una disciplina che analizza le correlazioni tra geografia, politica e relazioni di potere. Proprio per questo l’autore non si capacita di come alcune critiche vengano mosse ai classici. Essi, nel loro studiare quello che oggi implica la geopolitica, inclusero tutti gli elementi che rendono effettivamente tale la materia, ossia studi sull’interazione tra società umane, tecnologia e geografia.
I successori dei classici, proseguendo nella storia, furono coloro che aggiunsero l’influenza ideologica della Guerra Fredda al corpus bibliografico della geopolitica, materia ormai espulsa dal mondo accademico e relegata ai circoli militari strategici. Se è vero che i classici, ormai, avevano condannato la classe dirigente americana a tenere sotto costante osservazione gli equilibri in Eurasia, altrettanto vero è che dal 1945 in poi le scelte di intervento geostrategico americano avrebbero dovuto rispondere ai movimenti espansivi dell’ideologia comunista. Il problema non era più solo la potenza industriale e militare che controllasse l’Heartland, ma quel blocco che gettava l’ombra della fine di ogni libertà su un mondo appena liberato dai totalitarismi. Fu così che le scelte geopolitiche avrebbero dovuto contenere l’ideologia comunista e prevenirla dal conquistare nuovi spazi e minacciare le democrazie liberali.
A questo punto anche il nucleare entrò a gamba tesa nella teoria, e lo fece affermando che questo, associato poi allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione, avrebbe azzerato ogni rilevanza della geografia e dello spazio, rendendo inutile lo studio sulle implicazioni geografiche della strategia politica. Bordonaro riporta, in questo ping-pong teorico, anche la risposta a tali conclusioni, citando Boulding e Zoppo, i quali ritennero al contrario che il nucleare (considerato uno strumento di deterrenza, e quindi non utilizzato) non avrebbe annullato la rilevanza della dimensione geografica, ma l’avrebbe resa ancora più complessa. Il nucleare, modificando lo spazio-tempo reale, avrebbe dovuto condurre a ripensamenti in termini geostrategici. Insomma, le concezioni classiche della geopolitica non sparirono dal mondo teorico durante la Guerra Fredda.
Superato il momento più teso della storia novecentesca, Bordonaro fa indirettamente notare come la produzione geopolitica subisca un’esplosione, tanto in termini quantitativi, quanto in differenziazioni tematiche. A questo punto il termine “geopolitica” venne riabilitato da un opinion leader indiscutibile come Kissinger, e fu possibile tornare a trattare la disciplina in ambito accademico.
In realtà non fu necessario aspettare l’implosione sovietica per assistere al fiorire di nuove correnti di pensiero, ed emblematico fu proprio il caso del sociologo Randall Collins: nel 1978, in sette punti, lo studioso individuò i princìpi che determinano ascesa e declino del potere territoriale dello stato. Il punto di partenza, anche in questo caso, fu la geo-storia, ma egli incluse nell’equazione una mole titanica di variabili, tra cui quelle di carattere tipicamente sociologico.
I dubbi e le riflessioni che la fine dello scontro bipolare lasciò sul campo portarono alla ribalta temi geopolitici disparatissimi. Da un lato chi reinterpretava l’irrilevanza geografica andando a privilegiare il costruttivismo culturale delle percezioni spaziali, i cosiddetti geopolitici critici (coloro che mettevano in dubbio l’importanza oggettiva dello spazio, preferendo invece analizzare i discorsi e le narrazioni politiche per la loro promozione di significati geostrategici), semplificabili nel pensiero di O’ Tuathail; dall’altro chi bussava alla porta dei classici per tentare di ricostruire un equilibrio di potere su presupposti geografici ancora considerati validissimi. Questi ultimi ricevettero l’appellativo di autori neoclassici, e alcune loro teorie riecheggiano ancora nei corridoi del dipartimento di Stato americano: vi sono tra loro Brzezinski, Saul B. Cohen, Gray e Sloan solo per citarne alcuni.
Non si dica che Bordonaro pecchi di scrupolosità nel riportare le varie correnti nate nel dopo Guerra Fredda. La dedizione, la cura e la passione sono evidenti grazie alla completezza di questo studio compilativo. L’autore riesce perfettamente a trasmettere la curiosità e il rinnovato interesse per quegli studi che mettevano insieme storia, geografia, politica, tecnologia, sociologia e antropologia dando vita a numerosissime e disparate teorie. La rilevanza degli studi geoeconomici di Luttwak, ad esempio, non aveva nulla da invidiare all’influenza della teoria sullo scontro tra civiltà di Huntington.
Come se di carne al fuoco non ne avesse già buttata, Bordonaro tenta anche di dimostrare, e magistralmente ci riesce, che alcune teorie geopolitiche hanno tutt’oggi una certa influenza sulla politica estera e geostrategica americana, pur non essendo mai dichiarato l’esplicito riferimento. In un contesto eurasiatico (la preoccupazione più seria per gli strateghi anglosassoni) oggi scandito da conflitti, è pacifico come alcune pedine americane vengano mosse secondo criteri ben precisi, eredi di un modo classico, appunto, di intendere la scacchiera geopolitica.
Per finire, il lavoro di Bordonaro ha il merito non solo di proporre al lettore un cristallino e completo quadro sulla (assai copiosa) produzione geopolitica del mondo anglosassone, ma anche di fornire le conoscenze base per poter effettuare studi sulle dinamiche di potere che regolano i rapporti tra Stati. Chi legge con attenzione e fino in fondo il libro si accorgerà che le teorie e le parole degli studiosi non sono solo estremamente interessanti, ma utili per comprendere anche oggi il funzionamento di determinate dinamiche internazionali. Molti studiosi hanno rilevato delle costanti, le hanno combinate con le più disparate variabili, ed alcune hanno il pregio di avere azzeccato qualche previsione. Insomma, il lettore non ricaverà per sé solo un bagaglio di conoscenza sulla letteratura geopolitica anglosassone, ma anche una cassetta degli attrezzi per capire meglio l’oggi e poter svolgere ulteriori studi in materia di geopolitica.
Scheda
Federico Bordonaro
La geopolitica anglosassone. Dalle origini ai nostri giorni
Terza edizione aggiornata
ISBN: 9788881074808
Federico Bordonaro ha insegnato geopolitica e storia dell’Europa orientale nelle Università Webster (Vienna) e La Sapienza (Roma).
È specialista di problemi di sicurezza europea, dei rapporti politico-strategici fra Russia e Occidente e del pensiero geopolitico occidentale. Ha pubblicato, con Maria Romana Allegri e Giuseppe Anzera, La potenza incompiuta. Scenari di sicurezza europea nel XXI secolo (Roma 2005), e numerosi saggi di storia e geopolitica su riviste italiane e straniere, tra cui il saggio prefazione a Phil Kelly, Saggi scelti di geopolitica classica (Callive, 2023)
Marco Centaro – Laurea Triennale in Scienze per l’Investigazione e la Sicurezza con tesi su Travel Security, conseguita presso Università degli Studi di Perugia. Attualmente studente magistrale in Investigazione, Crminalità e Sicurezza Internazionale, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma. Stagista presso Vision & Global Trends International Institute for Global Analyses, nell’ambito del progetto Società Italiana di Geopolitica.