Author: Lisa Caramanno 06/ 01 /2019
La crescita e l’innovazione del nostro paese, le strategie di sviluppo del sistema infrastrutturale italiano ed europeo, la capacità dell’Europa in crisi di competere con le politiche di crescita del continente asiatico, la Cina, e le potenzialità dell’area strategica del Mediterraneo ove “si stanno giocando le partite decisive legate alla sicurezza e agli interessi economico-sociali dell’intero pianeta”, queste le tematiche oggetto dell’intervista di Vision & Global Trends al Prof. Stefano M. Cianciotta, Presidente dell’Osservatorio nazionale Infrastrutture di Confassociazioni.
Presidente, iniziamo dal suo ultimo libro, scritto insieme ad Alberto Brambilla, dal titolo “I «no» che fanno la decrescita. Per un Paese che non ha ancora rinunciato al futuro” un testo lungimirante che, nella sua prima parte, spiega le ragioni che, negli ultimi decenni, hanno impedito all’Italia di progredire al pari degli altri paesi occidentali. Quali sono i ‘SI’ necessari per la crescita e l’innovazione del nostro paese?
In Italia si è consolidata la tendenza a dire no, una tendenza che condiziona fortemente i politici, affannati a inseguire gli istantanei umori e i timori delle masse. La conseguenza è che le istituzioni prendono o annunciano decisioni tattiche di breve termine per capitalizzare consenso, invece di indicare un indirizzo strategico di lungo periodo. Io e Alberto (ri)lanciamo cinque regole per crescere, una serie di proposte utili e potenzialmente proficue su fisco, spesa pubblica, mercato del lavoro, giustizia, scuola e università. L’istruzione, però, resta l’investimento più importante per il futuro di un Paese. Per questa ragione tra le nostre cinque regole per crescere, al primo posto abbiamo inserito la necessità di tornare a investire sulla creatività e sulla intraprendenza dei giovani.
L’Osservatorio nazionale delle Infrastrutture di cui lei è Presidente si occupa di indicare le strategie di sviluppo del sistema infrastrutturale italiano ed europeo, con un’attenzione particolare al tema delle smart grid e delle reti. Ci può dire qual è lo stato dell’arte?
Il primo Paper che l’Osservatorio ha presentato al Cnel nel marzo del 2018 è stato dedicato proprio alle infrastrutture digitali e al tema delle Smart Valley, che non sembra essere ancora al centro del dibattito italiano. In altre realtà europee ed internazionali, invece, è già oggetto di riflessione, analisi e sperimentazione. C’è bisogno pertanto di stimolare un percorso strutturato che avvii anche in Italia la costituzione di un ecosistema positivo e dinamico di relazioni ed interconnessioni. Le problematiche legate al cambiamento tecnologico stanno impattando gli assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali a livello globale. Per questi motivi anche in Italia il concetto di Smart Valley, che supera la logica territoriale dei Distretti industriali e delle Smart Cities, sembra risultare la soluzione più adeguata per rispondere a queste sfide, poiché rappresenta il giusto equilibrio tra una pianificazione urbanistica intelligente, che utilizzi in maniera sostenibile le risorse naturali, e la valorizzazione del capitale umano di chi vive ed opera nelle nuove comunità digitali, che sono sempre più ampie ed articolate.
Cosa c’è da fare per rimanere competitivi sia a livello nazionale che europeo?
Come riportato dalla Smart City Council, rendere un’area urbana intelligente comporta profondi benefici in termini di crescita ed innovazione, perché si agisce sui tre punti chiave di “livability, workability and sustainability” ossia, “vivibilità, creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo economico e sostenibilità”. Le azioni di sviluppo e ripensamento urbano in chiave smart, dovrebbero essere di fatto prioritarie nell’agenda nazionale ma, evidenti problematiche a livello di policy, istituzionale e anche infrastrutturale, ne rendono difficile l’attuazione. Alla luce di quanto detto, alcune città italiane hanno avviato un percorso per diventare smart che è solo l’inizio della costituzione di un modello in cui la formazione e l’educazione devono essere considerati come drivers di sviluppo e di crescita dell’intera comunità. Per raggiungere questo traguardo, come abbiamo scritto nel nostro studio I-Volution, Italia che Innova, il nostro Paese deve investire 3 punti di PIL ogni anno fino al 2030. Un’azione che garantirà una crescita aggiuntiva all’Italia che può valere fino a 8/10 punti di PIL all’anno. La sfida che attende l’Italia, però, è soprattutto culturale. Occorre, infatti, modificare la percezione delle infrastrutture, perchè quando si fanno ecosistema, non solo costituiscono un progetto economico fondato sul mercato, ma si trasformano in un progetto sociale, che dà forma e sostanza all’intero ecosistema.
In questo quadro, l’infrastruttura portuale in che modo può rivelarsi risorsa strategica?
La connessione ultraveloce diffusa e l’IoT fanno emergere nuovi paradigmi per la movimentazione delle merci, che viaggiando da un hub all’altro, creano le condizioni per il “crowdshipping delle consegne” abilitato dalla Blockchain, dall’automazione dei veicoli, dai camion platooning, e dalla transizione verso Industry 4.0; un vero cambiamento culturale nella logistica. La coniugazione di cemento e sensori sta consentendo al Porto di Rotterdam di essere uno dei porti più intelligenti al mondo in grado di garantire una serie di servizi innovativi, tra i quali la spedizione connessa. Il coordinamento e lo scambio di informazioni avvengono in modo efficiente e semplice tramite il Port Community System (PCS) di Portbase. L’Autorità Portuale di Rotterdam ha firmato un accordo di cooperazione con la startup blockchain olandese CargoLedger, al fine di utilizzare la sua tecnologia per il tracciamento dei cargo.
Il Porto di Anversa, grazie alle potenzialità sempre più emergenti della blockchain, sta introducendo lo Smart Contract – BlockChain, una soluzione per rendere lo scambio di documenti più veloce e sicuro, come avviene con le partnership Belfruco, Enzafruit, PortApp, 1-Stop e T&G Global, che ha sviluppato una soluzione per i certificati fitosanitari per garantire la sicurezza di frutti e ortaggi.
In Italia analoghe sperimentazioni stanno avvenendo al Porto di Bari. Tutta la portualità delle regioni meridionali potrà avere un ruolo decisivo grazie alla misura di sviluppo della Zona Economica Speciale.
Dai dati (Fonte: Construction Intelligence Center) riguardanti la distribuzione geografica degli investimenti infrastrutturali a livello globale, per gli anni 2015-2021, (v. fig.) pare che l’Asia è, e sarà nei prossimi anni il continente con il maggiore numero di investimenti in infrastrutture (50%-55%) rispetto al trend in diminuzione dell’Europa (24%-20%). Quest’ultima incapace di avere una politica unitaria in materia, con quale forza potrà negoziare con la Cina sul progetto della Nuova Via della Seta?
Gli investimenti nelle infrastrutture seguono i trend dell’economia, e l’East e il FarEast ormai muovono più del 50% dell’economia mondiale. Negli ultimi anni la Cina ha più volte manifestato l’interesse a individuare, nel bacino del Mediterraneo, un porto da trasformare in hub strategico di più rapido collegamento con i mercati europei di destinazione delle proprie merci. Per ora i Fondi cinesi hanno investito nel porto greco del Pireo grazie soprattutto alla miopia dell’Europa, ma hanno già manifestato l’interesse di trasformare i porti di Taranto e di Gioia Tauro (che ha ricevuto a maggio 2018 il nulla osta per ospitare una Zona Economica Speciale) in snodi essenziali della geoeconomia del XXI secolo che, attraverso la crescita asiatica, possono rilanciare la centralità del Mediterraneo.
Le operazioni di influenza strategica della Cina si rivolgono sempre più all’Unione europea, in particolare ai Paesi dell’Europa centro-orientale che fanno parte della formula di cooperazione regionale 16 + 1 promossa dalla Cina per intensificare ed espandere la cooperazione con gli 11 Stati membri dell’Ue e 5 Paesi balcanici: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, in settori quali investimenti, trasporti, finanza, scienza, istruzione, cultura e altri.
Pechino considera a tal proposito la Repubblica Ceca un’importante testa di ponte per la sua ulteriore espansione economica in Europa. Secondo il rapporto annuale del controspionaggio della BRI nella Repubblica ceca, l’amministrazione cinese e i suoi servizi di intelligence hanno posto l’accento sull’influenza sulle strutture politiche e statali ceche e sulla raccolta di informazioni politiche, con la partecipazione attiva di élite ceche selezionate, tra cui politici e funzionari statali.
Lo sfruttamento delle operazioni di informazione rappresenta i tentativi ibridi o non cinetici di Pechino di influenzare direttamente le aree strategiche della competizione in Asia e in Europa.
Venendo proprio al Mediterraneo, area strategica per le imprese, si stanno verificando importanti cambiamenti geopolitici, in particolare la presenza cinese in Africa. Qual è la sua opinione al riguardo?
I cambiamenti in atto nel Mediterraneo impongono di considerare le opportunità che l’Europa del Sud potrebbe cogliere grazie alla sua posizione geografica, con un ruolo da protagonista nel riassetto degli equilibri internazionali, nonché di determinare le importanti occasioni di sviluppo economico, sociale, culturale, demografico e umano all’interno di tutta l’area mediterranea, dove transita oltre la metà del traffico marittimo globale diretto verso i porti del Nord Europa, senz’altro molto più efficienti in termini di servizi e di costruzione di un ecosistema positivo agli investimenti. Contemporaneamente nel Mediterraneo si stanno giocando le partite decisive legate alla sicurezza e agli interessi economico-sociali dell’intero pianeta: Siria, Libia, Egitto e Tunisia. Sarebbe auspicabile, pertanto, la realizzazione di un sistema infrastrutturale all’avanguardia che possa permettere all’Europa del Sud di far fronte ai trend dei nuovi traffici commerciali e, soprattutto, di farle acquisire un maggiore potenziale in termini di efficienza e di sicurezza. Tutte condizioni imprescindibili, queste, per conferire all’Europa meridionale una più ampia sovranità per sviluppare e rendere operativo il quadro delle reti TEN (reti di trasporto trans-europee) che permettono di seguire, intercettare e indirizzare i nuovi trend geoeconomici e geopolitici, dai quali il Mediterraneo allargato non può essere escluso, pena la perdita per l’intera Europa di un hub straordinario per riconquistare un ruolo centrale nel traffico commerciale marittimo e nella gestione degli approvvigionamenti energetici.
Quali rischi od opportunità per un’Europa in crisi?
Il rischio principale è che l’Europa, come è già accaduto con la Grecia, superi la crisi economica cedendo quote preziose della propria sovranità. L’acquisizione del Pireo da parte della Cina ha significato regalare ad un competitor strategico una piattaforma di sviluppo fondamentale per presidiare i traffici marittimi sul Mediterraneo. Questo è avvenuto perchè di fatto la politica economica ed industriale dell’Europa è inadeguata, se vogliamo usare un eufemismo. In questi anni l’Europa è rimasta a galla solo grazie al bazooka di Draghi e della BCE, davvero poco per un Continente che fino a qualche decennio fa produceva il 50% del Pil mondiale.
La principale opportunità resta il Mediterraneo, che è il crocevia delle nuove sfide energetiche che contrapporranno Europa, Russia, Israele e Paesi Arabi. Mentre a San Foca, in Puglia, si inasprisce il conflitto sul punto di approdo di Tap, a Tel Aviv il via libera a EastMed, il più grande gasdotto sottomarino del mondo che dovrebbe portare nel nostro Paese il gas naturale off shore dei giacimenti di Israele e Cipro, rilancia nei fatti l’ipotesi di utilizzo del gasdotto Poseidon di Edison a Otranto. La realizzazione del gasdotto e le nuove alleanze energetiche che ne deriveranno, cambieranno i rapporti forza all’interno dello scacchiere energetico mondiale. Se da una parte, infatti, l’Europa sarà sempre meno dipendente dalla Russia, dall’altra questa influenza costituirà un contrappeso al potere arabo, e va ad inserirsi nella complessa dinamica delle infrastrutture energetiche in fase di realizzazione tra il Caspio e l’Europa.
Sarebbe auspicabile, pertanto, la realizzazione di un sistema infrastrutturale all’avanguardia che possa permettere all’Europa del Sud di far fronte ai trend dei nuovi traffici commerciali e, soprattutto, di farle acquisire un maggiore potenziale in termini di efficienza e di sicurezza.
Bio Prof. Stefano M. Cianciotta: Presidente dell’Osservatorio nazionale Infrastrutture di Confassociazioni. E’ attualmente consulente del Centro di Formazione del Ministero della Difesa sui temi del Crisis Management e della Comunicazione strategica di crisi, ed è docente a contratto di Crisis Management alle Università di Teramo e Verona. Dal 2015 al 2017 è stato Direttore Scientifico del Master in Comunicazione Pubblica e Istituzionale alla Scuola Umbra di Amministrazione Pubblica. In rappresentanza dello Stato Maggiore della Difesa ha partecipato alla NATO Information and Communicators’ Conference, (Roma 17/21 settembre 2018), con una relazione dal titolo The Information Environment Assessment (IEA): correlation between financial investments, infrastructure, perceptions and security”. Case-study: the Chinese’s means of communication and its influence in Africa”. Ha scritto oltre 300 approfondimenti sulle riviste economiche sullo sviluppo delle infrastrutture ed ha pubblicato sul tema del management di crisi i manuali economici per Maggioli Editore Comunicare e gestire la crisi, Strategie, azioni e strumenti per tutelare la reputazione aziendale (2014), e Comunicare e Organizzare l’emergenza nella Pa (2015). Frequente ospite delle trasmissioni del Tg1 Rai Uno Mattina e Studio24 di Rai News 24, è editorialista dei quotidiani Il Foglio, Il Messaggero e Il Sole 24 Ore.