Autore: Pasquale Preziosa – 18/08/2021
Riflettere da subito sulla crisi determinatasi in Afghanistan è importante perché sarà molto decisiva per gli sviluppi dell’Ordine internazionale.
Le crisi impongono di prendere decisioni immediate e da tali decisioni dipenderanno le alternative tra il disastro e la salvezza.
Le crisi fanno emergere immediatamente i problemi dell’ordine politico, quasi sempre sotto traccia in tempi normali, evidenziano sia il grado residuo di efficienza delle istituzioni, sia l’inadeguatezza dei linguaggi usati per la gestione delle stesse.
La crisi afghana trae le sue origini nel 2003, anno in cui il focus statunitense sul terrorismo di matrice sunnita radicale dell’11 settembre si è affievolito per correre dietro ai fantasmi iracheni.
L’incoerenza strategica statunitense nei 20 anni trascorsi in Afghanistan ha fatto perdere agli USA e ai suoi alleati la “Global war on terrorism” dichiarata a valle dell’attentato alle Torri Gemelle e la credibilità nel saper mantenere gli impegni presi agli occhi del mondo.
La credibilità internazionale USA era stata comunque già minata in precedenza sia per l’abbandono dei Curdi nelle mani dei turchi in Siria sia per il ritiro dichiarato dal Presidente Trump dall’accordo sul nucleare iraniano (Iran Nuclear Deal) firmato dal Presidente Barack Obama suo predecessore.
Per i recenti fatti afghani, il Presidente Biden, nel suo ultimo discorso sul ritiro delle forze militari USA (dall’Afghanistan), non ha menzionato purtroppo gli alleati europei dando così un segnale poco confortante di solidarietà transatlantica, ha confermato invece la perdita di interesse primario nel combattere il counter insurgency, pur rimanendo in qualche modo interessati a combattere il terrorismo, senza specificare come. In molti Paesi purtroppo è difficile separare l’insorgenza dal terrorismo e comunque la strategia in Afghanistan è stata dettata dagli USA nei 20 anni di permanenza.
Difatti, gli accordi di Doha sono iniziati solo dopo il rilascio da parte afghana su richiesta USA di 5000 prigionieri Talebani molti dei quali accusati di aver commesso crimini di guerra.
Il Presidente USA ha anche sottolineato che sono stati spesi miliardi di $ per costruire le FA afghane che contavano 300.000 effettivi, purtroppo le FA sono uno strumento nelle mani di un governo che deve fornire obiettivi e supporto etico e morale per mantenere la coesione delle truppe.
I governi afghani non hanno mai brillato per trasparenza ma solo per corruzione e difatti sono scappati in esilio alle prime avvisaglie del possibile arrivo dei talebani a Kabul lasciando le FA prive di direttive.
Le conseguenze immediate di queste nuove decisioni statunitensi saranno duplici: sul fronte esterno gli altri paesi soprattutto europei ma anche asiatici dovranno ricalibrare le loro strategie sia di difesa sia per il contrasto al terrorismo internazionale, sul fronte interno invece sembra prendere corpo sia un aumento del consenso interno per aver posto fine alle guerre infinite accompagnata però da una nuova campagna di delegittimazione delle modalità del ritiro messe in atto dal Presidente.
Con queste difficili premesse, gli USA si preparano a rafforzare il loro ruolo nella competizione internazionale contro la Cina e la Russia.
La nuova denominazione dell’Afghanistan in “Emirato islamico in Afghanistan” non ha sorpreso gli analisti in quanto già riportato negli accordi di Doha, anche se con la specifica del non riconoscimento ufficiale da parte degli USA.
Tale apertura, apre la via agli islamisti radicali residenti in altri paesi ora teatri di operazioni antiterroristiche (Failed States) Corno d’Africa, Sahel, che rafforzeranno la loro fiducia nell’obiettivo di stabilire anche in quei paesi l’emirato islamico.
La crisi afghana attuale potrà avere un effetto domino quasi immediata su quella irachena, siriana, palestinese, in Yemen e Africa. Proprio il Nord Africa rappresenta il tallone di Achille per l’Europa per la clandestinità dell’immigrazione e dei traffici illegali.
Sui traffici illegali di droga l’Afghanistan ha giocato sempre un ruolo di primo piano internazionale.
Con l’avvento dell’Emirato islamico tale ruolo sarà accentuato per favorire il riempimento, col 10 % (la decima), delle casse dello stato prosciugate dal precedente governo.
Le conseguenze dell’aumento del traffico di droga saranno sperimentate soprattutto dall’Europa.
La fuga statunitense, della NATO e degli altri Paesi da Kabul aprirà la strada all’islam radicale su scala mondiale e pone fine all’esperimento di ingegneria sociale condotto dall’amministrazione Bush prima in Iraq col collasso dello Stato iracheno e ora in Afghanistan col collasso dell’esperimento durato 18 anni.
I fallimenti ottenuti in Libia, in Iraq, in Afghanistan, in Siria, nello Yemen sono l’esatto opposto di quanto indicato nei piani dagli architetti del nuovo ordine mondiale.
Gli interventi fuori area fino ad oggi fatti soprattutto nell’area Medio Orientale hanno causato la caduta degli Stati e l’inizio delle guerre civili.
Negli ultimi vent’anni quindi l’ordine mondiale preesistente è stato alimentato da un costante disordine che ha fatto perdere agli USA il ruolo guida ovvero il ruolo di “nazione necessaria” come affermato dal Presidente Clinton.
Il livello di crisi odierno è molto elevato perché alle crisi internazionali si sono sommate quelle interne dei singoli Paesi di tipo finanziario, economico e pandemico.
Il livello di crisi totale è così elevato che gli USA oggi hanno dovuto scegliere tra sostenere la propria credibilità internazionale e le richieste della massa della popolazione di porre fine ad una guerra che sembrava infinita.
Il vaso di Pandora è stato aperto e le conseguenze le sperimenteremo a breve.
L’Europa d’ora in poi dovrà pensare di più a correre con le proprie gambe, dovrà raggiungere la sua autonomia strategica per gestire le ulteriori crisi che si affacceranno all’orizzonte a breve.
Pasquale Preziosa – Presidente Osservatorio Sicurezza Eurispes