Autore: Giuseppe Romeo – 04/01/2020
Scriveva Fernand Braudel che il Mediterraneo rappresenta un continuum di diversità, un crocevia di rotte e di traiettorie culturali quasi unico nella storia dei popoli. Storie e culture costrette a interfacciarsi tra loro a distanze brevi, a volte anche troppo. In particolare, il Mediterraneo, definito eteroclito da Braudel,
si presenta al nostro ricordo come un’immagine coerente, un sistema in cui tutto (in cui tutto, alla fine) si fonde e (si)ricompone in un’unità originale.
Direi che basterebbe questa definizione a sottolineare come e in che misura tale spazio geopolitico e geoeconomico contrassegni, ancora oggi, i destini degli Stati e dei popoli che vi si affacciano, facendo sì che nessuno, anche il più distratto di essi, come appare oggi l’Italia, possa riuscire ad affrancarsi o credere di sorvolare sulla sua collocazione geograficamente, politicamente ed economicamente rilevante con buona pace di politiche estere da mercatino dell’usato. Dalla fine del regime di Gheddafi, tollerato e odiato a ritmi alterni all’esautorazione per egoismi postcoloniali da parte di una Francia da grandeur mai sopita con la compiacenza atlantica, sino all’offensiva diplomatica della Turchia di Erdogan che senza timidezze – se non quelle che noi vogliamo vedere per imbarazzo piuttosto che per sincerità di analisi – ha ormai ben piantato le proprie bandiere nei destini del Nord Africa, il mare che ci avvolge è diventato sempre meno nostrum. Non era difficile da prevederlo, siamo onesti! Credere che la politica mediterranea dell’Italia, eterna ruota di scorta di un’alleanza molto poco paritaria come quella atlantica, potesse esprimere una propria iniziativa sarebbe stato troppo. Troppo per i vincoli tra Europa e Nato. Troppo per i retaggi e i fantasmi storici dei nostri fallimenti. In questa corsa quasi neocoloniale nella quale ritornano i fantasmi di una storia mai sopita, e solo opportunisticamente condotta sotto cenere durante la Guerra Fredda per ragioni di sistema, ognuno sfodera le proprie capacità e le proprie specifiche visioni di mondi che non hanno mai abbandonato e di cui si sono sempre sentiti protagonisti. Ciò vale, appunto, per la Francia, quanto per la Turchia.
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L’Autore
Giuseppe Romeo. Accademico, analista politico e pubblicista, è autore di diversi articoli scritti per riviste di settore nell’ambito della difesa e della storia delle relazioni internazionali tra le quali “Rivista Militare”, “Informazioni della Difesa”, “Affari Sociali Internazionali”, “Eurasia”, “Imperi” oltre che per “Rivista di Politica”. Tra i volumi pubblicati, oltre alle opere monografiche dedicate al diritto e al Mediterraneo, si ricordano La politica estera italiana nell’era Andreotti (2000); Eurosicurezza. La sfida continentale. Dal disordine mondiale ad un ordine europeo (2001); La fine di un mondo. Dai resti delle torri gemelle una nuova teoria delle relazioni internazionali (2002); La guerra come destino? Palestinesi ed israeliani a confronto. La paura della pace (2002); L’acqua. Scenari per una crisi (2005); All’ombra della mezzaluna. Dopo Saddam, dopo Arafat, dopo la guerra (2005); L’acqua. Scenari per una crisi (2005); Il Fronte Sud dell’Europa. Prospettive economiche e strategie politiche nel Mediterraneo (2007); L’ultimo soldato. Pace e guerra nel nuovo mondo (2008); La Russia postimperiale. La tentazione di potenza (con Alessandro Vitale, 2009); Un solo Dio per tutti? Politica e fede nelle religioni del Libro (con Alessandro Meluzzi, 2018). Difesa comune e Forze Armate. Dall’esperienza UEO alla EU-Global Strategy. (con Umberto Morelli e Lorenzo Soncin – a cura di – 2020).
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