Author: Pietro Minei – 21/11/2018
Il 2015 è stato un anno molto importante per il futuro dell’ambiente, del clima e della salvaguardia degli ecosistemi dell’intero pianeta. L’accordo di Parigi (COP21), per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC, è stato raggiunto da 195 paesi e ratificato con sorpresa e con grande plauso da parte della Comunità Internazionale, anche da Cina e USA che insieme producono oltre il 38% delle emissioni totali di gas serra. Tra gli aspetti più interessanti di tale accordo si annoverano: il concreto interesse dimostrato dai Capi di Stato, dai governanti e dai principali protagonisti dello scenario internazionale sulle azioni da intraprendere per la salvaguardia del clima; il contrasto dell’impoverimento ambientale e la perdita di biodiversità; nonché il carattere vincolante dell’accordo che conferì finalmente alle COP un ambito prestigio politico, fino ad allora solo parzialmente riconosciuto.
Lo scopo delle Conferenze Annuali delle Parti rientra nell’accordo quadro delle Nazioni Unite, noto come Conferenza di Rio del 1992, all’interno del quale la salvaguardia del clima e della biodiversità vennero riconosciuti come impegno globale da perseguire. Un importante pietra miliare per la storia dell’umanità in quanto nel 1997 l’accordo siglato a Rio permise la stesura del protocollo di Kyoto che ha introdotto obiettivi di riduzione delle emissioni giuridicamente vincolanti per i paesi sviluppati. Da allora tanto è stato fatto, ma i continui ritardi nell’applicazione di nuove politiche volte a tutelare e a conservare l’ambiente, dimostrano puntualmente quanto sia difficoltoso e complesso per ogni paese riuscire a trovare ed applicare delle forme di sviluppo sostenibile senza rendere vulnerabile la propria economia.
Non a caso gli Stati Uniti del Presidente Trump sono stati i primi ad annunciare il ritiro dall’accordo di Parigi dopo nemmeno due anni dalla ratifica. Tuttavia, lo stesso accordo di Parigi rimane tutt’ora un ambizioso obiettivo da raggiungere, per il quale si è lavorato durante la conferenza Cop22 di Marrakech e durante la Cop 23 delle Fiji. Proprio in quest’ultima conferenza, ospitata in uno dei luoghi simbolo dell’effetto dei cambiamenti climatici sul pianeta, ha avuto risalto l’attuale linea politica statunitense, disposta a dialogare senza condizioni e solo con attori ritenuti influenti e credibili. In questo preoccupante ed incerto scenario, dal 3 al 14 dicembre prossimo nella città di Katowice in Polonia, si terrà la COP 24 del 2018.
Anche in questa occasione, la scelta di Katowice non è casuale dal momento che la città polacca è, infatti, un altro luogo simbolo degli effetti dannosi causati dall’uomo sull’ambiente. Katowice che rappresenta il cuore carbonifero della Polonia, con circa l’80% dell’energia elettrica prodotta dal consumo annuo di 180 milioni di tonnellate di carbone fossile, per l’occasione ha assunto un’altra veste trasformandosi in città di cultura, con servizi moderni, IT, aziende e istituzioni accademiche. Un luogo di alta qualità per ospitare conferenze internazionali. La Polonia, inoltre, rientra nel quadro del Gruppo dei Paesi dell’Europa Orientale (EEG) Eastern European Group, composto da 23 paesi noti anche come paesi con economie in transizione (CEIT).
L’uomo simbolo di questa edizione sarà il Polacco Vice Ministro dell’Ambiente Michał Kurtyka, (personaggio politico con un eccellente curriculum in tema di innovazione ed ambiente, nominato Plenipotenziario per la Presidenza della COP). A lui si deve la novità dell’istituzione del “Consiglio dei Presidenti COP” il quale agirà come piattaforma di alto livello istituzionale, necessaria per: scambiare informazioni ed esperienze relative all’organizzazione della conferenza; definire le sfide e le opportunità che la comunità internazionale deve affrontare; creare un organo consultivo di ampia influenza e prestigio internazionale; presentare gli obiettivi della Polonia in materia di clima e ambiente; condurre il dialogo sul clima; attuare l’accordo di Parigi attraverso l’elaborazione di un pacchetto di decisioni conformi alle decisioni adottate nelle precedenti COP 22 e 23; raggiungere la neutralità in termini di emissioni di gas serra, ossia un equilibrio tra le emissioni prodotte dalle attività umane e l’assorbimento da parte del suolo e della foresta.
Il 2018 è stato uno degli anni più caldi di sempre, caratterizzato tra l’altro da numerosi eventi meteorologici estremi che hanno penalizzato e distrutto vaste aree del pianeta, confermando il legame esistente tra tali eventi ed i cambiamenti climatici. “Se non cambiamo rotta entro il 2020, rischiamo di perdere il punto in cui possiamo evitare il cambiamento climatico in fuga, con conseguenze disastrose per le persone e tutti i sistemi naturali che ci sostengono” sono le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres pronunciate a settembre al Vertice globale sull’azione per il clima di San Francisco. In quest’ultimo scenario allarmante emerge la necessità che ogni stato assicuri azioni concrete utili a conseguire gli impegni presi sulla via dello sviluppo sostenibile.
Come sempre l’auspicio è quello che i protagonisti della politica internazionale non perdano mai di vista l’importanza della tutela ambientale come un importante e costante obiettivo da perseguire necessario per lo sviluppo, la pace ed il benessere dell’umanità.