Autore: Livio Zanotti – 18/11/2020
Il Perù tra un nuovo capo di stato e vecchi problemi, il caso di un paese a sviluppo ritardato di fronte alla multi-crisi della democrazia e del Covid.
È un rispettato intellettuale con esperienza di amministrazione più che un politico, il nuovo presidente provvisorio del Perù (in carica fino al prossimo aprile, quando a scegliere il successore saranno 25 milioni di peruviani con diritto di voto, in maggioranza donne). È stato chiamato a salvare il paese dalla esplosiva crisi istituzionale in cui era precipitato nelle ultime settimane. La sua elezione evita il naufragio della democrazia andina, intossicata da una pervasiva corruzione; ma la sua navigazione prosegue comunque a vista.
Francisco Sagasti, 76 anni, è un noto ingegnere e docente universitario che ha vissuto a distanza le turbolenze del Perù, dalla feroce guerriglia di Sendero Luminoso al nefasto regime di Fujimori, lavorando più all’estero che in patria. Soltanto recentemente ha manifestato disponibilità alla politica attiva. Moderato di idee liberali, qualche mese addietro aveva accettato di presentarsi alle prossime elezioni generali come vice di Julio Guzman, un economista, leader del partito Morado, centrista, uno tra i minori dei ben 24 partiti in cui è frazionato il Congresso nazionale, da tempo non al massimo del suo prestigio.
Julio Guzmán è in cambio un politico sperimentato e ambizioso, il vero nocchiero del salvataggio istituzionale perseguito con ferma determinazione e ottenuto in extremis. Consapevole delle trame in atto nello stesso Congresso, egli si era già vivamente opposto all’interdizione del presidente Martin Vizcarra da parte della Camera per un vecchio contenzioso amministrativo (il Perù ha un sistema parlamentare monocamerale, con 130 deputati). Ritenendola una forzatura giuridica che avrebbe provocato un pericoloso vuoto istituzionale. Senza riuscire tuttavia a evitarla.
La crisi è dilagata con la sanguinosa repressione della protesta di piazza ordinata dal nuovo capo di stato, il conservatore Manuel Merino (ora indagato dalla Procura della Repubblica). Del quale Guzman ha denunciato l’irresponsabilità e il cinismo, spingendo per le sue dimissioni, reclamate dalle folle dei manifestanti infuriati dall’uccisione di due di essi. E stringendo nel frattempo un accordo con la sinistra per sostituirlo con la poetessa e giornalista Rocio Silva Santesteban. Né si è arreso quando l’ha visto naufragare per la congiura di franchi tiratori, anche del suo stesso partito.
Con prontezza, senso tattico e gran padronanza delle procedure, ha prospettato l’irreparabile per superare le residue resistenze dei partiti di centro-destra e di quelli di centro-sinistra a eleggere Sagasti prima presidente della Camera e, in quanto tale, immediatamente dopo a capo dello stato.
Sua vice è stata votata Mirtha Esther Vásquez Chuquilín, del socialista Frente Amplio, che a sua volta l’ha subito sostituito al vertice del potere legislativo nel momento in cui egli ha assunto la massima magistratura della Repubblica. Con l’ampia maggioranza di 97 voti, Guzman ha vinto la partita che in un primo tempo gli era sfuggita di mano.
L’ordine istituzionale appare quindi ristabilito, evitato il pericolo più immediato. Il gioco politico rimane nondimeno irretito nella abnorme frammentazione dei partiti, nelle aspre rivalità degli innumerevoli aspiranti al comando del governo e dietro di essi da interessi spesso nascosti e non raramente criminali. L’impeachment di Vizcarra ha sullo sfondo la nuova legge universitaria che, in un paese in cui l’istruzione superiore è diventata un lucrosissimo mercato, ha acceso irresistibili appetiti e non meno risolute battaglie per tirarla da una parte o dall’ altra.
Livio Zanotti è nato a Roma e risiede a Buenos Aires.
Nel 2014 riceve il Premio Fersen al Piccolo Teatro di Milano, con la piece “L’ Onda di Maometto” scritta con Alberto La Volpe. Da giovanissimo nel giornalismo al settimanale L’ Espresso, diretto da Arrigo Benedetti, Eugenio Scalfari, Gianni Corbi. Per oltre due decenni lavora poi a La Stampa, con Giulio De Benedetti, Alberto Ronchey, Arrigo Levi, Vittorio Gorresio, Michele Tito, inviato speciale, corrispondente dal Sudamerica e da Mosca, allora capitale dell’ Unione Sovietica. Lascia il grande giornale di Torino per collaborare come editorialista a Il Giorno di Milano e agli “Speciali” del TG1-Rai-TV, diretti da Alberto La Volpe, per i quali realizza numerosi documentari-inchiesta di carattere socio-economico negli Stati Uniti, in Estremo Oriente, nel Sud-Est asiatico. Corrispondente da Berlino alla caduta del Muro e dall’ America Latina dei colpi di stato e delle guerriglie per i TG e radiogiornali RAI, ha pubblicato libri d’ indagine storica e svolto conferenze in Italia e all’ estero.