Autore: Fabio Porta – 16/05/2020
Una “Rete di Talenti per il Sud” per aiutare l’Italia ad uscire dalla più grave crisi economica dal dopoguerra ad oggi: è la sfida ambiziosa lanciata dal Ministro per il Sud e la coesione sociale, Giuseppe Provenzano, alle migliaia di competenze meridionali oggi presenti e radicate in tutto il mondo.
In realtà si tratta di una sfida per l’Italia. Il nostro Paese, infatti, nonostante possa contare su una collettività all’estero che non sembra abbia uguali nel mondo, per quantità e qualità della presenza, non ha mai saputo (o voluto ?) valorizzare questo patrimonio ai fini della crescita e dello sviluppo di un’economia ormai in difficoltà cronica e strutturale.
Le stime più accreditate ci dicono che, soltanto negli ultimi quindici anni, dal nostro Mezzogiorno sarebbero emigrati all’estero oltre 600 mila giovani, dei quali 240 mila in possesso di una laurea. Un trend in uscita dal Paese comparabile soltanto con l’ultima grande ondata migratoria del secolo scorso, quella della fine degli anni ’50. Una perdita netta di competenze ed esperienze, innanzitutto per le regioni dell’Italia meridionale, dove i livelli di disoccupazione giovanile rimangono altissimi. La ricerca di opportunità di studio e lavoro all’estero non è di per sé un male, anzi; una mobilità “virtuosa” potrebbe addirittura venire incentivata e sostenuta dal sistema formativo e della produzione, proprio con la finalità di costruire una “rete” di persone qualificate in grado di arricchire i loro territori di partenza. Il “vizio” sta in un’Italia che non riesce a dare altrettante opportunità di rientro a questi giovani, come anche ad attrarre con la stessa intensità competenze ed esperienze da Paesi terzi, così come avviene negli altri paesi occidentali.
La recente pandemia, paradossalmente, potrebbe rivelarsi la prima vera e grande possibilità di valorizzazione sistemica e strategica di questo potenziale, ed è per questo che l’iniziativa del Ministro Provenzano va seguita e incoraggiata con convinzione. Se negli anni ’60 le rimesse degli emigrati, soprattutto del Sud, rappresentarono uno dei fattori-chiave del boom economico, immettendo nella nostra economia risorse indispensabili alla crescita e allo sviluppo, nell’Italia del post-Covid19 le “rimesse di conoscenza” – così come il Ministro Provenzano le ha voluto ribattezzare – potrebbero costituire la versione 4.0 di questo straordinario strumento di ricostruzione socio-economica del Paese.
Come Presidente dell’Associazione di Amicizia Italia-Brasile ho ricevuto dal Ministro l’invito a farmi parte attiva di questo progetto; da meridionale e residente all’estero ho accolto l’appello a “costruire un’alleanza tra chi è al sud e chi è andato via” con entusiasmo, impegnandomi a divulgare l’iniziativa e a individuare “talenti” nel grande paese sudamericano.
In Brasile vive oggi una collettività di oltre trenta milioni di italo-discendenti; si tratta di una delle emigrazioni più antiche, oltre che più numerose, della storia italiana. Una presenza radicata e ramificata in tutti i settori vitali del gigante continentale, dalla cultura allo sport, dall’economia alla politica. Anche in Brasile negli ultimi decenni, l’emigrazione italiana è ripresa a crescere in maniera significativa. Dalle regioni dell’Italia meridionali sono stati migliaia a scegliere questo Paese per ampliare il proprio orizzonte di opportunità: laureati, professionisti, manager, intellettuali. Un patrimonio particolarmente visibile a San Paolo, la capitale economica del Paese, ma anche nelle altre capitali del sud come a Rio de Janeiro e nel nordest. Una legione di nuovi immigrati oggi particolarmente attiva nel mondo delle camere di commercio italo-brasiliane come di quello delle grandi aziende italiane presenti in Brasile (TIM, Enel, Fiat, Pirelli…); ma anche una presenza diffusa tra piccole start-up e medie imprese, come nel mondo delle professioni, del volontariato e dell’università.
A queste risorse umane si rivolge oggi, per la prima volta, il governo italiano, con l’intuito di costruire una “piattaforma digitale che consenta di interrogare i ‘talenti’, individualmente o in via istituzionale, da parte di amministrazioni, imprese, cittadini impegnati in progetti di innovazione nel Mezzogiorno, con l’organizzazione di meeting periodici e workshop specifici.”
Un progetto inserito a pieno titolo nel “Piano Sud 2030”, il programma decennale di investimenti del valore di 123 miliardi su infrastrutture e nuove opportunità per i giovani, lanciato dal governo poche settimane prima dello scoppio della pandemia, che oggi si candida a divenire uno degli assi portanti della riorganizazione del nostro sistema economico, sociale e culturale. Un programma con vincoli precisi, come quello di destinare il 34% di ogni investimento pubblico al Sud, con priorità per la filiere dell’istruzione, dell’energia e delle infrastrutture. In questo contesto la “Rete di Talenti” potrebbe “favorire il trasferimento di conoscenze e buone pratiche, sfruttando i vantaggi delle reti telematiche e digitali; la diffusione di una cultura delle politiche di innovazione e della nuova imprenditorialità tecnologica; il sostegno a giovani che vogliono restare o ritornare al Sud per dar vita a start-up o lavorare in hub di ricerca; l’ingresso di ‘talenti’ in partnership imprenditoriali innovative.”
Dopo anni di politiche miopi e prevalentemente assistenziali indirizzate alla grande comunità degli italiani nel mondo, l’approccio del Ministero del Sud potrebbe segnare un punto di svolta, “complice” probabilmente il consigliere politico del Ministro Eugenio Marino, da anni grande esperto e studioso di tutto ciò che si muove nel mondo della vecchia e nuova mobilità degli italiani all’estero.
Mezzogiorno e italiani nel mondo: due risorse uniche e straordinarie per il rilancio dell’economia italiana nel post-Covid19; anche questa un’alleanza che potrebbe rivelarsi decisiva nell’offrire al Sistema-Italia un mix esplosivo di opportunità e potenzialità mai sfruttate fino in fondo da un Paese che nel passato ha considerato, forse con troppa indulgenza, il Sud e gli emigrati come un capitolo di spesa assistenziale e non un investimento intelligente e decisivo per la crescita e lo sviluppo.
Una sfida ambiziosa e decisiva, quindi, che interpella direttamente i tanti soggetti – istituzionali e non – che a vario titolo hanno responsabilità e impegni nel vastissimo mondo dell’Italia nel mondo. Un progetto il cui significato va al di là delle intenzioni di chi lo ha coraggiosamente presentato; un’iniziativa che merita quindi tutto il nostro sostegno insieme all’augurio di un successo che oltre ad aiutare l’Italia che verrà potrebbe rimettere in un circuito virtuoso risorse che il Mezzogiorno e quindi tutto il Paese rischierebbero di perdere per sempre. Un rischio che non possiamo, che non dobbiamo correre.
Fabio Porta, nato a Caltagirone, laureato in Sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma. Segretario Nazionale del Movimento Studenti di Azione Cattolica negli anni ’80, inizia a lavorare nel sindacato come ricercatore e poi cooperante in Brasile nell’ambito di un progetto del Ministero degli Affari Esteri. Nel 2000 assume la presidenza del patronato Ital-Uil in Brasile e dal 2008 al 2018 è parlamentare per la Circoscrizione Estero-Sudamerica. Membro della Commissione Affari Esteri e Presidente del Comitato italiani nel mondo della Camera dei Deputati. Attualmente è tornato a ricoprire la carica di Presidente dell’Ital-Uil Brasile; Presidente dell’Associazione di Amicizia Italia-Brasile; Garante del Comitato 11 ottobre di iniziativa per gli italiani nel mondo; Vice Presidente dell’ICPE (Istituto per la cooperazione con i Paesi Esteri) e di FOCUS Europe.