Autore: Fabrizio Noli – 11/05/2019
Dovendo fare un discorso non accademico sullo stato dell’Europa, oggi, mi viene da fare una riflessione immediata: un grande avvenire dietro le spalle. Troppe speranze deluse, troppe frustrazioni oggi si appalesano ogni qual volta si parla di Unione Europea. Eppure, le premesse erano state, non solo all’inizio, ma almeno fino all’inizio degli anni 2000, di tutt’altro genere. Si trattava di porre, una volta per tutte, nell’idea dei padri fondatori, le fondamenta per una costruzione solida, basata su tre motori principali, quello francese, tedesco e italiano. Un ideale mix per superare le scorie e gli odii della Seconda guerra mondiale. E per almeno mezzo secolo, noi italiani siamo stati molto romanticamente legati a quest’idea, anche se i paesi fondatori da sei erano diventati quasi 30, e anche se non poche volte tornavamo dai vertici europei con la sensazione che le cose non fossero andate proprio per il verso giusto, per il nostro paese. Certo è che, oggi più che mai, risultano evidenti i limiti di un progetto a cui manca una costituzione comune, una politica estera condivisa, un abbozzo, almeno, di idea di difesa comune, per non parlare di una politica fiscale condivisa.
L’Europa oggi funziona con sentenze della Corte di Giustizia e con direttive, non con leggi. Oggi, purtroppo, in Italia, ma non solo, parliamo di un’Europa a fortissima trazione tedesca, con la Francia a rimorchio e l’Italia e l’Europa mediterranea, in genere, a far da comprimari. Un’Europa nordica e distante per tanti versi, caratterizzata da parametri rigidi, a cominciare dal rapporto debito-Pil al 3%, che, sembra, sia stato ideato da un funzionario dell’Eliseo, non si sa in base a quale esatto criterio, e sempre più caratterizzata da un mix tra neoliberismo e ossequio al capitalismo finanziario, forse più adatto agli Stati Uniti, che non alla nostra storia e alla nostra mentalità.
Poi, non sono un monetarista, né un esperto di Italexit, ma è chiaro, oggi, che la vera anomalia sia stata quella di aver deciso di porre le basi per la costruzione di un’Europa unita, cominciando dal tetto. Perchè mi pare impossibile definire diversamente l’Euro. Una casa si costruisce dalle fondamenta, qua si è partiti dal tetto, inutile girarci intorno. Un tetto, peraltro, adottato da subito da alcune nazioni, ma rifiutato da altre, a cominciare dalla Gran Bretagna, quindi con delle infiltrazioni/imperfezioni ab origine…ora, bisognerebbe riavvolgere il nastro della storia e ricordarsi di quando si è deciso di varare la moneta unica. Fu un’idea di Mitterand, per disinnescare, in un certo senso, il pericolo di una eccessiva egemonia tedesca, dopo il processo di riunificazione, all’alba degli anni 90. Di fatto, mi pare si possa dire che abbiamo creato una valuta a immagine e somiglianza del marco, un supermarco, che ha ancora più reso inevitabile l’egemonia di Berlino e con una Banca Centrale Europea che non può, per statuto, fungere da prestatore ultimo. Per cui, oggi l’Europa appare sempre più con la testa a Berlino, il cuore a Bruxelles e il resto del corpo tra Parigi e i paesi del Nord Europa. Sempre più una creatura aliena, per la nostra realtà, con i suoi diktat, le sue raccomandazioni, le sue procedure d’infrazione. Ciò che più ha stupito però, negli ultimi anni, è stata anche la totale mancanza di solidarietà, nell’ambito dell’Unione, specie nei confronti di un paese a noi vicino, come la Grecia, dove, secondo gran parte della stampa, si è fatta macelleria sociale, in nome della lotta senza quartiere al nemico pubblico numero uno: il debito pubblico. Non che si debba esaltarlo, ma, insomma, rigidità e distanza sembrano essere le caratteristiche principali dell’Unione Europea 2019. Eppure, siamo pur sempre il continente che ha inventato il welfare, ma mi viene in mente anche la Dottrina sociale della chiesa, la Rerum Novarum… Purtroppo oggi c’è ben poco di sociale, nell’Unione Europea, ci sono però il fiscal compact e il bail in. Detto questo, però, non si può solo puntare il dito contro l’Europa, sarebbe ingiusto e fuorviante. In realtà, dobbiamo allargare lo sguardo e comprendere che stiamo vivendo un’epoca storica di enormi cambiamenti, chiamiamola anche di transizione.
La globalizzazione, anzitutto. È evidente che ci è sfuggita di mano, ma come contenere, mi chiedo, la voglia di centinaia di milioni di cinesi, o di indiani, di avvicinare gli standard di vita occidentali? Per non parlare dei migranti africani.
Qua l’Europa c’entra poco…è il principio dei vasi comunicanti ad essere chiamato in causa, per cui un flusso di ricchezza, alla lunga, non può non riversarsi dal nord al sud del mondo. È lapalissiano.
E ancora, altra conseguenza nefasta, di una globalizzazione che non fa prigionieri, la crisi finanziaria originatasi nel 2007 negli Stati Uniti, di cui ancora patiamo le conseguenze. D’altra parte, chi l’ha detto, non per tirare in ballo la decrescita felice, ma, ripeto, chi l’ha detto, che possiamo continuare a crescere in modo esponenziale sempre e comunque, perché così vuole il mercato e così presuppone un capitalismo sempre più finanziario e sempre meno legato all’economia reale?
Leggi il resto, scarica la Pubblicazione del Seminario (SPS – ISSN 2704-8969) “ #Europa – #Europae. L’Europa tra frazionamento neo-nazionalista e integrazione continentale ” – SPS_3_2019
Relazione presentata al Seminario di studio #Europa – #Europae. L’Europa tra frazionamento neo-nazionalista e integrazione continentale, tenutosi il 9 maggio 2019, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, Senato della Repubblica – Roma
Fabrizio Noli, Caposervizio Redazione Esteri Giornale Radio, RAI